martedì 5 dicembre 2023

Quando sarebbe il caso di tacere, e quando vale la pena di parlare

Ci sono persone che parlano, parlano anche quando le circostanze consiglierebbero loro di tacere. Ad esempio Mario Roggero, che nel 2021 ha ucciso a colpi di pistola due rapinatori ormai in fuga dopo aver assaltato la sua gioielleria a Grinzane Cavour, una circostanza tale da escludere evidentemente la legittima difesa, ha commentato la condanna a 17 anni di carcere per omicidio volontario comminatagli – una sentenza addirittura più severa rispetto alla richiesta del pubblico ministero – con le parole «È una follia, viva la delinquenza, viva la criminalità. Bel segnale per l'Italia» (incassando la solidarietà di Matteo Salvini, ça va sans dire). E Nicola Turetta, il cui figlio Filippo è l'assassino reo confesso dell'ex fidanzata Giulia Cecchettin, intervistato dal programma Chi l'ha visto? ha blaterato frasi abbastanza senza senso, ipotizzando che il figlio volesse semplicemente sequestrare la ragazza per non darle la soddisfazione di laurearsi prima di lui, poi dev'essergli chissà come "saltato un embolo" e così è accaduto l'imprevedibile, perché lui a Giulia voleva bene, le preparava addirittura i biscotti!

A questi sproloqui mi sembra doveroso contrapporre le parole dense di composta umanità e dignità pronunciate oggi da Gino Cecchettin, il papà di Giulia, nel corso dei funerali della figlia.

Carissimi tutti, abbiamo vissuto un momento di profonda angoscia; ci ha travolto una tempesta terribile, e anche adesso questa pioggia di dolore sembra non finire mai. Ci siamo bagnati, infreddoliti, ma ringrazio le tante persone che si sono strette attorno a noi per portarci il calore del loro abbraccio. Mi scuso per l'impossibilità di dare riscontro personalmente, ma ancora grazie per il vostro sostegno, il vostro sostegno di cui avevamo bisogno in queste settimane terribili. La mia riconoscenza giunga anche a tutte le forze dell'ordine, al vescovo e ai monaci che ci ospitano, al presidente della regione Zaia e al ministro Nordio, e alle istituzioni che congiuntamente hanno aiutato la mia famiglia.
Mia figlia Giulia era proprio come l'avete conosciuta: una giovane donna, straordinaria, allegra e vivace, mai sazia di imparare. Ha abbracciato la responsabilità della gestione familiare dopo la prematura perdita della sua amata mamma. Oltre alla laurea, che si è meritata e che ci sarà consegnata tra pochi giorni, Giulia si è guadagnata ad honorem anche il titolo di mamma. Nonostante la sua giovane età era già diventata una combattente, un'oplita, come spesso si definiva, come i soldati greci, tenace nei momenti di difficoltà. Il suo spirito indomito ci ha ispirato tutti.
Il femminicidio è spesso il risultato di una cultura che svaluta la vita delle donne, vittime proprio di coloro che avrebbero dovuto amarle, e invece sono state vessate, costrette a lunghi periodi di abusi, fino a perdere completamente la loro libertà, prima di perdere anche la vita.
Come può accadere tutto questo? Come è potuto accadere a Giulia? Ci sono tante responsabilità, ma quella educativa ci coinvolge tutti: famiglie, scuola, società civile, mondo dell'informazione. Ma mi rivolgo per primo agli uomini, perché noi per primi dovremo dimostrare di essere agenti di cambiamento contro la violenza di genere: parliamo agli altri maschi che conosciamo, sfidando la cultura che tende a minimizzare la violenza da parte di uomini apparentemente normali. Dovremo essere attivamente coinvolti, sfidando la diffusione di responsabilità, ascoltando le donne e non girando la testa di fronte a segnali di violenza, anche i più lievi. La nostra azione personale è cruciale per rompere il ciclo e creare una cultura di responsabilità e supporto.
A chi è genitore come me parlo con il cuore: insegniamo ai nostri figli il valore del sacrificio e dell'impegno, e aiutiamoli anche ad accettare le sconfitte. Creiamo nelle nostre famiglie quel clima che favorisce il dialogo, un dialogo sereno, perché diventi possibile educare i nostri figli al rispetto della sacralità di ogni persona, ad una sessualità libera da ogni possesso e all'amore vero, che cerca solo il bene dell'altro.
Viviamo in un'epoca in cui la tecnologia ci connette in modi straordinari, ma spesso purtroppo ci isola e ci priva del contatto umano reale. È essenziale che i giovani imparino a comunicare autenticamente, a guardare negli occhi degli altri, ad aprirsi all'esperienza di chi è più anziano di loro. La mancanza di connessione umana autentica può portare a incomprensioni e a decisioni tragiche. Abbiamo bisogno di trovare la capacità di ascoltare e di essere ascoltati, di comunicare realmente con empatia e rispetto. La scuola ha un ruolo fondamentale nella formazione dei nostri figli. Dobbiamo investire in programmi educativi che ci insegnino il rispetto reciproco, l'importanza delle relazioni sane e la capacità di gestire i conflitti in modo costruttivo, per imparare ad affrontare le difficoltà senza ricorrere alla violenza. La prevenzione della violenza di genere inizia nelle famiglie, ma continua nelle aule scolastiche, e dobbiamo assicurarci che le scuole siano luoghi sicuri e inclusivi per tutti. Anche i media giocano un ruolo cruciale da svolgere in modo responsabile: la diffusione di notizie distorte e sensazionalistiche non solo alimenta un'atmosfera morbosa, dando spazio a sciacalli e complottisti, ma può anche contribuire a perpetuare comportamenti violenti.
Chiamarsi fuori, cercare giustificazioni, difendere il patriarcato quando qualcuno ha la forza e la disperazione per chiamarlo col suo nome, trasformare le vittime in bersagli solo perché dicono qualcosa con cui magari non siamo d'accordo, non aiuta ad abbattere le barriere. Perché da questo tipo di violenza, che è solo apparentemente personale e insensata, si esce soltanto sentendoci tutti coinvolti, anche quando sarebbe facile sentirsi assolti. [Impossibile non apprezzare la citazione di De André, NdC]
Alle istituzioni politiche chiedo di mettere da parte le differenze ideologiche per affrontare unitariamente il flagello della violenza di genere: abbiamo bisogno di leggi e programmi educativi mirati a prevenire la violenza, a proteggere le vittime, e a garantire che i colpevoli siano chiamati a rispondere delle loro azioni. Le forze dell'ordine devono essere dotate delle risorse necessarie per combattere attivamente questa piaga, e degli strumenti per riconoscere il pericolo. Ma in questo momento di dolore e tristezza dobbiamo trovare la forza di reagire, di trasformare questa tragedia in una spinta per il cambiamento.
La vita di Giulia, della mia Giulia, ci è stata sottratta in modo crudele. Ma la sua morte può, anzi deve essere il punto di svolta per porre fine alla terribile piaga della violenza sulle donne. Grazie a tutti per essere qui oggi; che la memoria di Giulia ci ispiri a lavorare insieme per creare un mondo in cui nessuno debba mai temere per la propria vita.
Vi voglio leggere una poesia di Gibran che credo possa dare una reale rappresentazione di come bisognerebbe imparare a vivere. «Il vero amore non è né fisico né romantico: il vero amore è l'accettazione di tutto ciò che è, è stato, sarà e non sarà. Le persone più felici non sono necessariamente coloro che hanno il meglio di tutto, ma coloro che traggono il meglio da ciò che hanno. La vita non è una questione di come sopravvivere alla tempesta, ma di come danzare nella pioggia».
Cara Giulia, è giunto il momento di lasciarti andare. Salutaci la mamma; ti penso abbracciata a lei, e ho la speranza che strette insieme il vostro amore sia così forte da aiutare Elena, Davide e anche me non solo a sopravvivere a questa tempesta di dolore che ci ha travolto, ma anche ad imparare a danzare sotto la pioggia. Sì, noi tre che siamo rimasti vi promettiamo che un po' alla volta impareremo... impareremo a muovere i passi di danza sotto questa pioggia.
Cara Giulia, grazie per questi ventidue anni che abbiamo vissuto insieme, e per l'immensa tenerezza che ci hai donato. Anch'io ti amo tanto, e anche Elena e Davide ti adorano. Io non so pregare, ma so sperare. Ecco, voglio sperare insieme a te e alla mamma, voglio sperare insieme ad Elena e Davide, e voglio sperare insieme a tutti voi qui presenti, voglio sperare che tutta questa pioggia di dolore fecondi il terreno delle nostre vite, e voglio sperare che un giorno possa germogliare, e voglio sperare che produca il suo frutto di amore, di perdono, e di pace. Addio, Giulia, amore mio...

Quest'uomo, che ad appena un anno di distanza dalla scomparsa della moglie deve affrontare il dolore più straziante che possa toccare a un genitore, vorrei stringerlo virtualmente in un forte abbraccio, e gli auguro di cuore di ritrovare al più presto per quanto possibile un po' di serenità, per il bene degli altri due figli, ma anche per sé stesso, ché se lo merita proprio.

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