Nel primo Dania fa ricorso alla psicologia inversa per invitare a leggere più libri. Solo il primo punto, quello del tempo, l'ho trovato un tantino deboluccio, almeno dal mio punto di vista: ritagliarsi del tempo libero da dedicare alla lettura di libri per me è un problema anche per "colpa" di gente come lei, che ha reso la Rete un posto così interessante e con tante cose da leggere, che peraltro non richiedono un'attenzione prolungata come quella che andrebbe dedicata a un romanzo (per quanto ben pochi contributi possano vantare un valore paragonabile a quello dei classici della letteratura).
Nel secondo Raffaele spiega come cambiare le proprie abitudini per riuscire a leggere all'incirca quattro volte di più; non occorrono tecniche di lettura veloce o roba simile, il trucco consiste semplicemente nel riempire tutti i tempi morti con la lettura. Ad esempio, quando ci si accinge a una "seduta meditativa" alla toilette, «Invece di portarsi dietro lo smartphone per fare una partita a Clash of Clans, basta portare un libro e leggere un paio di paragrafi» – ehm... :-/ – oppure ancora «Tiro fuori un libro mentre [...] faccio la fila alle poste o dal dottore o in qualsiasi altro ufficio». E indovina un po' dove ho letto il suo post? Sullo smartphone, mentre mi trovavo nella sala d'attesa del medico! ;-)
Come accennavo, non posso certo definirmi una lettrice forte, ahimè... La sottoscritta non è ancora uscita dalla fase dello tsundoku, parola giapponese della quale ho parlato qui e che si riferisce all'abitudine di comprare libri e ammucchiarli in pile senza mai leggerli. Ciononostante, con la testardaggine che mi ritrovo, capita assai di rado che abbandoni un libro a metà dopo averlo iniziato; perciò mi riconosco ben poco in questo articolo nel quale quattro persone differenti ricordano il loro rapporto conflittuale con altrettanti classici della letteratura. Eppure, come ha scritto Guido Vitiello, citato nell'introduzione all'articolo in questione...
Perché accanirsi a leggere un libro orrendo? Per un malinteso senso d’orgoglio, per spirito di disciplina, per sfida a sé stessi? O – peggio ancora – per il semplice fatto che lo si è comprato? «Ho speso tredici euro per Acido solforico di Amélie Nothomb, a questo punto lo leggo fino in fondo». Che è esattamente come dire: «Ho buttato del denaro, ora per pareggiare i conti devo buttare anche del tempo». Non vi daranno indietro né l’uno né l’altro.
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