Un declino per certi versi analogo l'ho riscontrato in Massimo Gramellini, peraltro concittadino di "Lucianina" (sono entrambi torinesi). Ho quasi sempre apprezzato parecchio i suoi Buongiorno quotidiani, il suo romanzo autobiografico Fai bei sogni poi l'ho adorato... ma nelle ultime settimane ho l'impressione che il vicedirettore de La Stampa stia perdendo colpi. Alcune volte pur di scrivere qualcosa va a pescare spunti un po' debolucci per poi imbastirci sopra un ragionamento: ad esempio qui si è occupato degli inglesi che all'indomani della Brexit sarebbero andati in massa a cercare su Google cosa fosse l'Unione Europea; una non-notizia ridimensionata a dovere da Paolo Attivissimo. Ammetto di esserci cascata pure io, però la sottoscritta non è mica una giornalista professionista con decenni di esperienza e con tanto di redazione alle spalle! ;-) Ma soprattutto, di recente i corsivi di Gramellini sono stati a più riprese bersagliati da critiche più o meno dure sui social. Un esempio è questo, mentre l'ultimo caso in ordine di tempo risale a due giorni fa, quando all'indomani dei fatti di Nizza è uscito l'articoletto Caro musulmano i tuoi fratelli adesso siamo noi, del quale riporto il testo qui sotto.
Caro musulmano non integralista che vivi in Occidente, esci fuori. Lo so che esisti, ti ho conosciuto. In privato mi hai confidato tante volte il tuo sgomento per l’eresia wahabita che ha deformato il Corano, trasformando il suicidio in un atto eroico, e la tua rabbia verso la corte saudita che si atteggia a nostra alleata e invece finanzia quell’eresia dai tempi di Bin Laden. Il piano degli aspiranti califfi è piuttosto chiaro: utilizzano ragazzotti viziati come gli stragisti del Bataclan e relitti umani come il camionista che ha seminato la morte sulla promenade di Nizza per alimentare la paura e l’odio verso l’Islam, così da portare i razzisti al potere in Occidente e creare le condizioni per innescare una guerra di civiltà. È la trama dei fanatici di ogni epoca, la conosciamo bene. Negli Anni Settanta del secolo scorso il terrorismo di sinistra insanguinò le nostre strade con altri metodi (bersagli simbolici e non indiscriminati) ma identici obiettivi: scatenare la rivoluzione. Fallì quando l’operaio comunista che credeva suo alleato gli fece il vuoto intorno. E l’operaio gli si rivoltò contro perché aveva qualcosa da perdere: una casa, uno stipendio, un pallido benessere. Nessuno, credimi, fa la rivoluzione se ha qualcosa da perdere. Il simbolo di quel cambio di stagione fu il sindacalista Guido Rossa, che pagò con la vita la rottura dell’omertà in fabbrica.
Oggi Guido Rossa sei tu. Ti auguro lunga vita, ma è da te che ci aspettiamo il gesto che può cambiare la trama di questa storia. I farabutti che sgozzano in nome dell’Islam non vengono dal deserto: sono cresciuti in Occidente e quasi sempre ci sono anche nati. Frequentano i tuoi negozi e le tue moschee, parlano la tua lingua, credono (a modo loro) nella tua religione. Hanno figli che vanno a scuola con i tuoi, mogli che chiacchierano con la tua. Per troppo tempo li hai guardati come dei fratelli che sbagliavano, ma che non andavano traditi. Non condividevi i loro comportamenti, ma non te la sentivi di denunciarli: in qualche caso per paura, ma più spesso per una forma perversa di solidarietà religiosa e razziale.
Adesso però il gioco si è fatto troppo duro e non puoi più restare sull’uscio a osservarlo. Adesso anche tu, come l’operaio comunista di quarant’anni fa, hai qualcosa da perdere. Bene o male l’Occidente ti ha accolto, offrendoti la possibilità di una vita più dignitosa di quella che ti era consentita nella terra da cui sei scappato. Ora sei uno di noi. Tuo fratello non è più il camionista di Nizza, ma il bambino che le sue ruote hanno stritolato sul selciato. Non puoi continuare a negare l’evidenza o a girarti dall’altra parte. Hai oltrepassato quel confine sottile che separa il menefreghismo dalla complicità.
Facciamo un patto. Noi cercheremo di tenere i nostri razzisti lontani dal governo e di migliorare il livello della sicurezza, anche se è impossibile proteggere ermeticamente ogni assembramento umano. Tu però devi passare all’azione. Devi prendere le distanze dagli invasati che si sentono invasori e dagli imam che li fomentano. Denunciarli, sbugiardarli, controbattere punto su punto le loro idee distorte. Pretendendo, tanto per cominciare, che nella tua moschea si parli la lingua che a scuola parlano i tuoi figli: francese in Francia, italiano in Italia. Senza di te perderemmo la partita. Ma vorrei ti fosse chiaro che fra gli sconfitti ci saresti anche tu.A questo appello la giornalista italiana e musulmana Sabika Shah Povia ha voluto replicare Caro Gramellini, tu non sei mio fratello, e poi di seguito...
Eccomi. Sono qui. Sono uscita. Sono uscita giorni, mesi, anni fa. Sono uscita tutti i giorni dall'11 settembre in poi. Forse non mi hai vista. Forse non mi hai voluta vedere, ma io sono uscita ed insieme a me sono usciti i miei fratelli, musulmani e non, italiani e non. Gente figlia dell'amore, gente che crede nell'unità del popolo, nella libertà e nell'uguaglianza.
Hai ragione quando dici che servono gesti che cambino la trama di questa storia, ma sbagli ad aspettarteli solo da me. Sbagli a pensare che tu puoi permetterti il lusso di “restare sull'uscio ad osservare”, mentre io combatto la nostra battaglia: quella di tutti noi cittadini europei che crediamo nella pace e nella convivenza tra popoli, religioni, etnie. Quella che già combatto da tempo, ma che non posso vincere senza di te.
Un fratello condivide il tuo dolore. Un fratello ti sostiene. Un fratello scende in piazza accanto a te, non ti lascia solo. Tu mi hai lasciata sola. Tu non sei mio fratello.
Da un lato mi dici che questi farabutti sono nati e cresciuti qui, insieme a me e te, dall'altro dici che parlano la “mia” lingua, frequentano i “miei” negozi, che i loro figli vanno a scuola con i “miei”. E i tuoi, caro Gramellini? Dove vanno a scuola i tuoi figli? Che negozi frequenti tu? Che lingua parli? Dici che sono “una di voi”, ma continui a parlare di “nostri” e “vostri”.
Gli attentatori non sono mai ragazzi religiosi, non frequentano quasi mai le moschee e io non ho mai a che fare con loro. Proprio come te. Sono ragazzi disturbati, che provengono dalle periferie dimenticate delle grandi città; sono degli emarginati con precedenti penali, e non c'entrano niente con me.
La solidarietà religiosa e razziale che mi accusi di provare non esiste, anche perché non provo solidarietà per i fomentatori di odio e i violenti. Se provo solidarietà è solo per i miei fratelli europei che, loro malgrado, sono diventati il bersaglio di una violenza indiscriminata e ingiustificabile.
L'Italia è la mia casa. Non mi ha accolta e non mi ha offerto nulla. Ogni cosa che ho in questa terra, me la sono guadagnata con il sacrificio, la fatica e il lavoro, miei e dei miei genitori, che sono arrivati qui ormai più di 40 anni fa. Un italiano che credeva nella ricchezza della diversità ha saputo guardare oltre il loro essere giovani musulmani pakistani, e gli ha voluto bene. Tanto, da dare loro il suo cognome e convincerli a restare.
Le tue parole feriscono l'anima di persone come loro, di persone come mio nonno e dei tuoi un milione di concittadini musulmani da cui hai tante pretese, forse anche giuste, ma al fianco dei quali non vuoi combattere, e che accusi di essere complici di barbarie come quella commessa da un folle a Nizza. Non è giusto.
Hai oltrepassato quel confine sottile che separa il populismo dall'islamofobia.
E per questo, io non voglio fare nessun patto con te, anche perché il tuo mi sembra più una minaccia che un patto. I nostri razzisti li terremo lontani dal governo io e i miei fratelli, con il nostro voto e il nostro impegno. Siamo già passati all'azione, abbiamo già preso le distanze dagli invasati e contraddetto punto su punto chi si è avvicinato a noi con idee distorte, e continueremo a farlo.
Sai, è perché stiamo giocando senza di te che stiamo perdendo la partita. Ma vorrei ti fosse chiaro che se ci sconfiggeranno, sarà stata anche colpa tua.Il summenzionato corsivo di Gramellini è stato smontato pure da Leonardo, mentre sulla delicata contrapposizione tra "noi" e "loro" ha detto la sua Alessandro Gilioli.
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