Un genitore che sopravvive a suo figlio, specie se quest'ultimo è ancora un bambino, è una delle situazioni più atrocemente contro natura che io possa immaginare. Se poi il genitore deve patire lo strazio di aver provocato, in maniera più o meno diretta per quanto niente affatto intenzionale, la morte della sua creatura, allora il dolore può farsi davvero insostenibile.
È di due giorni fa la notizia della morte di una bimba di un anno e mezzo che era stata dimenticata in auto per ore dalla sua mamma; quest'ultima, colta a quanto pare da un improvviso vuoto di memoria, si è recata al lavoro senza prima lasciarla all'asilo nido. Sui social ho letto accuse crudeli rivolte alla donna, colpevole secondo i commentatori di aver commesso una leggerezza inconcepibile... eppure io non ce la faccio a condannarla, visto che la vera condanna dovrà scontarla nel suo cuore spezzato ogni giorno che le resterà da vivere, o ad affermare con assoluta certezza che a me non potrebbe mai e poi mai capitare niente di simile, perché purtroppo la mente stressata è soggetta a blackout che sembrerebbero fuori da ogni logica; ho già scritto un paio di post al riguardo, il primo esattamente due anni fa.
Nei giorni scorsi ho seguito la vicenda del piccolo Marco Scaravelli, morto una settimana dopo essere rimasto vittima di un terribile incidente in minimoto. La mia indignazione "di pancia" nei confronti dei genitori che fanno praticare uno sport tanto pericoloso a un bambino così piccolo si è trasformata in compassione dopo che ho visto la bacheca di suo padre Cristian su Facebook. In questo post l'uomo ha comunicato la scomparsa del suo angelo e la decisione sua e di sua moglie di donarne gli organi, mentre in quest'altro è tornato dopo qualche giorno a riflettere sul senso di quanto accaduto, condividendo uno struggente quadretto familiare immortalato il giorno del suo matrimonio, con la presenza di un paggetto d'eccezione: Marco, appunto.
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