mercoledì 11 ottobre 2023

Itanglish per noialtri

Sette giorni fa sul quotidiano economico britannico Financial Times è uscito un articolo, firmato da Amy Kazmin, dal titolo Italians have embraced ‘fake English’. Se questo link non ti permette di leggere l'articolo senza abbonarti, prova a cercare con Google "fake english" site:ft.com e cliccare sul primo risultato, a me ha funzionato. Male che vada, oppure se non vuoi o non sai leggere in inglese, può andar bene anche il resoconto che ne hanno fatto Il Post e Il Sole 24 Ore. In estrema sintesi, self-bar, pullman, autostop, lifting, smart working etc. sono parole ed espressioni in "inglese farlocco", come le definisce la linguista Licia Corbolante.

Personalmente mal tollero gli anglicismi usati a sproposito, e sul lavoro termini come schedulare (programmare), briffare (informare, aggiornare), detettare (dal verbo to detect, rilevare), trainare (nel senso di addestrare, e non di trascinare con fatica) mi fanno venire la pelle d'oca. Ecco perché mi ero iscritta al gruppo Facebook CAMPAGNA PER SALVARE L'ITALIANO - La nostra lingua senza inutili anglicismi. Ma dopo essere incappata nell'ennesimo post che denotava un rifiuto dell'inglese pressoché degno dell'era fascista, proprio oggi ho deciso di abbandonare il gruppo. Non tutti gli anglicismi sono inutili, IMHO (in my humble opinion). Bye bye! ;-)

P.S.: L'immagine che apre il post l'ho presa dalla bacheca Itanglish per noialtri, pubblicata su Pinterest da Sergio Gridelli.

2 commenti:

  1. Argomento molto interessante: se fossi ancora su FB (ne sono uscito due anni fa) gli darei un’occhiata.

    Anch’io cerco, ormai da molti anni, di evitare forestierismi. Probabilmente esagero pure cercando di ridurre la percentuale di uso il più prossima allo zero possibile.
    Non per rigurgiti ideologici fascisti ma solo per compensare, nel mio piccolissimo, gli eccessi di uso dell’inglese che arrivano da tutte le fonti: media e mondo politico compresi.

    A volte mi invento perfino dei neologismi: cosa che non ha senso dato che lo scopo delle parole è veicolare un significato comprensibile da tutti! In genere nei casi dove il significato potrebbe non essere evidente ci aggiungo qualche parola che aiuti a capire.
    Per esempio invece di “blog” uso “ghiribizzo” che, se vai a vedere su Treccani.it, ha un vago significato affine, qualcosa tipo: “uno scritto di carattere personale che affronta varie tematiche…”
    Però quando lo uso scrivo “[…] l’ho pubblicato mesi fa su questo mio ghiribizzo […]” o cose del genere.

    Per la cronaca le parole inglese che più mi danno “difficoltà” in quanto le trovo difficili da sostituire sono:
    1. escalation → sono costretto a usare noiosi giri di parole basate su “intensificazione a un livello superiore”
    2. schock → sorpresa… ma non sempre è sufficiente: “sotto sorpresa” non va bene!
    3. leader → l’ideale sarebbe poter usare “duce” ma ormai tale termine ha delle “leggere” sfumature negative! :-) recentemente adopero “guidone” che ho trovato in un romanzo di D’Annunzio (“Forse che sì, forse che no”)…
    4. partner → nel senso di compagno (sentimentale) non ci sono problemi ma “compagno commerciale” suona male...

    Vabbè, non ti voglio annoiare oltre con questa mia mania!

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    1. Non mi hai annoiata affatto, anzi: ho trovato molto interessanti le tue considerazioni. :-) Ritengo che un giusto compromesso sarebbe impegnarsi a usare l'italiano ogni volta che è possibile, rassegnandosi all'utilizzo di parole inglesi o in generale straniere quando l'alternativa sarebbe ricorrere a perifrasi poco sintetiche e ancor meno efficaci e comprensibili.

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