Pare – io non ci ho fatto neanche caso – che ieri sera, al cospetto di Nicole Kidman, l'impacciato valletto del Festival abbia farfugliato – in effetti, per essere un attore, non articola granché bene le parole – qualcosa del tipo «Sono emozionato più di quando ho sceso la scala qui a Sanremo»: i grammarnazi pedanti del web si sono scatenati, e pure una giornalista che stimo come Gisella Ruccia è incappata nell'errore... di considerare un errore quel verbo scendere usato transitivamente. In realtà, come sottolineato da Vera Gheno, una che collaborando con l'Accademia della Crusca ha con l'argomento una dimestichezza superiore alla stragrande maggioranza di noi – per non parlare poi di quelli che usano piuttosto che in senso disgiuntivo...! – «"scendere le scale" è corretto, e soprattutto non è la stessa cosa che "scendere il cane"»; io l'avevo notato subito... Me la merito o no la sufficienza, prof? ;-) A meno che non si voglia credere che il premio Nobel per la Letteratura Eugenio Montale sia incappato in uno strafalcione quando ha scritto in memoria della moglie Drusilla Tanzi questi splendidi versi, che l'occasione è propizia per rispolverare.
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scaleAll'utilizzo transitivo dei verbi entrare/uscire e salire/scendere la summenzionata Accademia della Crusca ha dedicato un approfondimento, esprimendosi in sostanza in termini sfavorevoli... comunque la sottoscritta, considerando il fatto che la lingua non è un monoblocco immutabile ma evolve di continuo, si azzarda a prevedere che col passare del tempo tali costrutti entreranno a far parte a tutti gli effetti dell'italiano corrente; del resto...
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.
Come fanno notare alcuni utenti, l'uso di questi verbi in forma transitiva sarebbe “economicamente vantaggioso” [...]. Se poi dal registro colloquiale ci spostiamo a quello formale siamo costretti a usare una costruzione con fare o verbi come estrarre e introdurre (tanto alti da risultare spesso inadeguati) e innalzare, alzare, issare, sollevare e abbassare o calare sicuramente non adeguati in tutti i contesti.L'Accademia della Crusca si è pronunciata anche sulla comune espressione ma anche no, che credo di aver sentito per la prima volta proprio dalle voci della Gialappa's Band; poi se ne sono impadroniti Claudio Bisio e Maccio Capatonda (uno dei video a cui accenna la Crusca è questo). Inoltre ha proposto – come abbiamo fatto a non pensarci?! – di usare salvataggio interno al posto dell'espressione inglese bail in, oscura ai più; ma ce ne sono molti altri, di anglicismi dei quali si potrebbe tranquillamente fare a meno perché ammettono un validissimo equivalente nella nostra lingua.
A proposito dell'idioma di Albione, avrà sconvolto i grammarnazi d'Oltremanica la notizia che il pronome personale they – e il corrispondente possessivo their – usato al singolare per riferirsi al genere neutro sia stato scelto come Word of the Year (parola dell'anno) da oltre 200 linguisti americani. Un esempio? «Everyone wants their cat to succeed» anziché «Everyone wants his or her cat to succeed».
Concludo il post con due link:
- 10 errori grammaticali ormai "in odore di canonizzazione" (e come non sbagliare più). Qual'è con l'apostrofo a me personalmente non provoca nessuna reazione allergica – si può pensare che sia stata fatta un'elisione anziché un troncamento, no? – e pure su gli ho detto anziché ho detto loro chiuderei un occhio... ma su un pò con l'accento anziché con l'apostrofo (un po') e soprattutto, non mi stancherò mai di ripeterlo, sul deleterio piuttosto che con valore disgiuntivo non sono disposta a transigere, chiaro?! ;-)
- Bellissime parole italiane dimenticate. Le mie preferite tra quelle effettivamente in disuso – mentre altre, come lapalissiano, artefatto, apostrofare, ramanzina, ammaliare, forbito, luculliano non mi sembrano poi così desuete – sono sagittabondo (che scocca sguardi che fanno innamorare), sciamannato (disordinato, trasandato), trasecolare (rimanere sbalordito e sconcertato, allibire), bislacco (di chi si comporta in modo strambo), smargiasso (persona che si vanta di capacità o imprese inventate o ingigantisce le proprie qualità), granciporro (nel senso di errore madornale, mentre io lo conoscevo come nome di un crostaceo).
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