martedì 16 febbraio 2016

Piezz'e core

Avendo perduto il mio papà lo scorso anno, il tema del rapporto tra padre e figlia mi tocca in modo particolare... eppure Un giorno mi dirai, la canzone con cui gli Stadio – onore alla loro quasi quarantennale storia – hanno vinto l'ultimo Festival di Sanremo, è riuscita nella difficile impresa di non emozionarmi neanche un po', anzi. Cosa ci sia che non va in quel testo, Selvaggia Lucarelli l'ha spiegato molto meglio di come avrei saputo fare io (anche se personalmente perchè con l'accento grave non l'avrei mica scritto ;-) ).
ha vinto una canzone -quella degli Stadio- in cui un padre rivela alla figlia ormai grande che anni prima voleva sfanculare la madre per l'amante [è questo il senso di «ho rinunciato alla mia felicità per te» e «ho rinunciato agli occhi suoi per te», NdC] ma poi ha tenuto duro in nome della famiglia tradizionale. Aggiungerei che 'sto padre è pure un po' stronzo perchè glielo fa pesare e perchè con la frase "Un giorno mi dirai che un uomo ti ha lasciata e che non sai più come continuare a vivere" le lancia pure una gufata da manuale.
Come notazione personale aggiungo che, pur essendo stato il mio un padre piuttosto presente, mi sarei sentita parecchio a disagio se avesse preteso di ricoprire il ruolo di mio confidente sentimentale, e dopo la più grossa delusione d'amore che ho vissuto avrei reagito con stizza se lui avesse provato a consolarmi con frasi del tipo «se era vero amore è stato meglio comunque viverlo», tanto più che il soggetto in questione l'amore non sapeva neppure dove stesse di casa. Papà si è invece limitato a empatizzare con me in modo abbastanza discreto, e suppongo che abbia dovuto fare uno sforzo per resistere alla tentazione di andare a dirgliene quattro, al tizio che aveva fatto soffrire la sua "bambina".
Riporto qui di seguito un elenco in ordine sparso di spunti sul rapporto genitori/figli che ho iniziato a raccogliere da quando il mio papà se n'è andato.
Una splendida e arcinota poesia di Khalil Gibran.
I vostri figli non sono figli vostri... sono i figli e le figlie della forza stessa della Vita.
Nascono per mezzo di voi, ma non da voi.
Dimorano con voi, tuttavia non vi appartengono.
Potete dar loro il vostro amore, ma non le vostre idee.
Potete dare una casa al loro corpo, ma non alla loro anima, perchè la loro anima abita la casa dell'avvenire che voi non potete visitare nemmeno nei vostri sogni.
Potete sforzarvi di tenere il loro passo, ma non pretendere di renderli simili a voi, perchè la vita non torna indietro, né può fermarsi a ieri.
Voi siete l'arco dal quale, come frecce vive, i vostri figli sono lanciati in avanti.
L'Arciere mira al bersaglio sul sentiero dell'infinito e vi tiene tesi con tutto il suoi vigore affinché le sue frecce possano andare veloci e lontane.
Lasciatevi tendere con gioia nelle mani dell'Arciere, poiché egli ama in egual misura e le frecce che volano e l'arco che rimane saldo.
Le sagge parole di Madre Teresa di Calcutta.
I figli sono come gli aquiloni:
Insegnerai a volare ma non voleranno il tuo volo;
Insegnerai a sognare ma non sogneranno il tuo sogno;
Insegnerai a vivere ma non vivranno la tua vita.
Ma in ogni volo,in ogni sogno e in ogni vita
Rimarrà per sempre l'impronta dell'insegnamento ricevuto.
Ogni volta che ascolto Elisa che canta A modo tuo alla figlioletta Emma Cecile, mi commuovo fino alle lacrime. Di certo non mi fa lo stesso effetto la versione di Ligabue, che comunque quel brano ha l'indubbio merito di averlo scritto.
Ma come si fa a non versare una lacrimuccia guardando il video qui sotto?! (trattasi dello spot di una compagnia assicurativa di Hong Kong, ma vabbè)


Dopo aver assistito all'intervento di Walter Veltroni nel corso dell'ultimo Festival delle Letterature dell'Adriatico, ho aggiunto alla mia wishlist il suo ultimo libro Ciao, una conversazione immaginaria con il padre Vittorio, scomparso quando lui aveva appena un anno. Puoi trovare qui alcune pagine del libro, e qui le recensioni scritte da Pierluigi Battista del Corriere, da Michele Serra di Repubblica e da Massimo Gramellini de La Stampa, il quale è in grado di comprendere Veltroni come pochi, avendo vissuto da bambino la tragica perdita di sua madre: un'esperienza raccontata nel bellissimo romanzo autobiografico Fai bei sogni.
Mesi fa il radiologo ospedaliero che tiene il blog unradiologo.net ha scritto una riflessione personale sull'amore paterno, ben diversa dai suoi consueti resoconti professionali. Leggila, perché davvero ne vale la pena...
Concludo riportando alcune citazioni assortite sui figli, tratte da Wikiquote.
Amate i figli che la Provvidenza vi manda; ma amateli di vero, profondo, severo amore; non dell'amore snervato, irragionevole, cieco, ch'è egoismo per voi, rovina per essi.
I figli riempiono una vita, diventano il centro di tutto: delle emozioni, dell'amore, della dedizione. Quando sono piccoli sono una continua scoperta, via via che i loro occhi e la loro mente si aprono alla vita. Dipendono completamente da noi, e ci rendiamo conto che solo le nostre cure permettono loro di vivere, di esprimersi e di svilupparsi. Man mano che crescono rappresentano un susseguirsi di gioie, di ansie, di soddisfazioni, di preoccupazioni, di momenti felici. I sacrifici fatti per loro non hanno peso. Qualunque genitore queste cose le sa benissimo. Soprattutto le madri.
I figli sono l'immortalità. I figli faranno altri figli e quindi la vita non finisce mai. Il nostro corpo muore, ma il nostro DNA continua. I figli hanno la stessa carne, lo stesso metabolismo, e così via. La morte è solamente quella del corpo.
[La foto che apre il post è tratta da 9GAG]

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