venerdì 3 dicembre 2021

Doppiaggio, sì o no?

Continuo a ripromettermi di migliorare la mia capacità di comprendere l'inglese parlato guardando film e serie TV in lingua originale sottotitolati, con la speranza di arrivare prima o poi al punto di poterne fare a meno, dei sottotitoli... ma spesso non ho tempo né voglia di guardarli manco in italiano, i video che superano una certa durata, figuriamoci in inglese che a meno di non essere madrelingua richiede una particolare attenzione e concentrazione, e magari di fare ripetutamente rewind all'occorrenza [a beneficio di chi a differenza della sottoscritta non è un inguaribile boomer, «Rewind ("riavvolgere" in lingua inglese) è il tasto che serve per riavvolgere il nastro in un riproduttore di cassette»].

A tal proposito mi ha colpita uno spezzone di uno spettacolo del comico romano Edoardo Ferrario, il quale critica il doppiaggio definendolo una tradizione folkloristica portata avanti da "un gruppo di più o meno dieci famiglie, dieci gruppi tribali", nonché una pratica assolutamente antieconomica, desueta e che non ha più alcun motivo di esistere.

Che il doppiaggio non sia indispensabile lo dimostra l'enorme successo della serie coreana Squid Game, distribuita dalla piattaforma di streaming Netflix a settembre in versione sottotitolata; solo da pochissimi giorni è disponibile il doppiaggio in italiano (ma non per questo mi convincerò a guardarla). Il più grosso inconveniente dei sottotitoli è illustrato in maniera un tantinello caricaturale nel meme qui sotto.


«Quando stai cercando di leggere i sottotitoli e guardare il film allo stesso tempo»

Ferrario stigmatizza anche l'effetto (spesso involontariamente) comico dei dialoghi che vengono adattati in italiano usando un linguaggio che nessun nostro connazionale userebbe mai nella vita reale. Particolarmente controverso, aggiungo io, è il caso dei film d'animazione dello Studio Ghibli, il cui adattamento dal giapponese viene curato da Gualtiero Cannarsi.

Nessun commento:

Posta un commento