Due settimane fa sono andata al cinema a vedere il film fresco di premio Oscar Il caso Spotlight, in lingua originale semplicemente Spotlight (sì, lo so che c'è di peggio... ma siamo pur sempre alle prese con l'ennesimo titolo italiano inadeguato: Spotlight, in inglese riflettore, non era affatto un "caso", bensì il nome di una squadra di giornalisti del quotidiano Boston Globe al lavoro su inchieste particolarmente scottanti). Il resoconto di Enrico Sola, che ho già condiviso sul mio Tumblr, avrei potuto scriverlo io, se solo ne fossi stata in grado: «un film così freddo e puntuale, con la sua inoppugnabilità, ha la capacità di scatenarmi la rabbia molto più del più accalorato cinema retorico/militante». In effetti, man mano che andavo avanti nella visione, dentro di me era tutto un crescendo di indignazione, culminata poi sul finale quando ho scoperto che l'arcivescovo di Boston Bernard Law, dopo essersi dovuto dimettere per non aver denunciato pubblicamente i sacerdoti pedofili, mica è stato mandato a fare il cappellano in una prigione siberiana, no: è divenuto arciprete di una delle chiese più importanti d'Italia e del mondo, la Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma.
Davanti a un film del genere, la prima cosa che un buon cattolico dovrebbe fare sarebbe riflettere in silenzio... ma evidentemente non si può pretendere tanto da Mario Adinolfi, il quale non si è infatti saputo trattenere dall'insinuare che Spotlight abbia vinto l'Oscar solo perché attacca la Chiesa. Ma Leonardo a distanza ha ribattuto che stiamo parlando di «un film dove non si vede mai un solo prete toccare un bambino; un film così poco controverso che persino la diocesi di Boston, che fu devastata dallo scandalo, ne consiglia la visione ai suoi sacerdoti».
Oggi ho letto sul quotidiano locale Il Centro che un parroco di Villa Raspa di Spoltore, il quarantatreenne don Vito Cantò, è stato condannato – l'8 giugno scorso, ma la notizia è stata resa nota soltanto adesso – per violenze su un ragazzino; la sentenza non è stata emessa dalla giustizia ordinaria bensì dal tribunale ecclesiastico, ragion per cui il prete non sconterà i cinque anni di pena in galera, bensì in un monastero di Roma destinato ai «sacerdoti che si trovano in particolari difficoltà», con l'obbligo di seguire un percorso psicoterapeutico e la sospensione dal ministero sacerdotale per tre anni; per tutta la vita non potrà più svolgere alcuna attività parrocchiale a contatto con i minorenni... e questo mi sembra veramente, ma veramente il minimo. In parallelo comunque è stato avviato a suo carico anche un processo penale, che è tuttora in corso.
Mi è stato raccontato un tristissimo retroscena di questa dolorosa vicenda: dopo aver scoperto gli abusi che il ragazzino aveva dovuto subire da una persona nella quale i genitori riponevano la massima fiducia – di norma da un prete ci si aspetta che faccia solo del bene per vocazione, a maggior ragione se si è devoti come lo era questa famiglia – suo padre non ha retto al dispiacere ed è morto di crepacuore all'età di appena quarantacinque anni o giù di lì.
E niente, non ho più parole... solo parolacce! :'-(
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