Una decina di queste parole esprimono concetti talmente comuni che mi chiedo come mai non sia ancora stato ideato un termine italiano corrispondente. Ecco quali:
- Pochemuchka (russo): una persona che fa troppe domande.
- Bakku-shan (giapponese): una ragazza bellissima... fino a che la si guarda da dietro!
- Tsundoku (giapponese): l'abitudine di comprare libri e ammucchiarli in pile senza mai leggerli [vale anche con il Kindle? ;-) Tanto non mi riguarda... ché ho tutta l'intenzione di mettermi a leggere quanto prima i dieci ebook che ho acquistato finora da Amazon! :-)].
- Prozvonit (ceco): fare uno squillo con il telefono, sperando che l'altro richiami e non ci faccia spendere soldi.
- Iktsuarpok (inuit): la frustrazione che si prova quando si aspetta qualcuno in ritardo.
- Mamihlapinatapei (yaghan): il gioco di sguardi di due persone che si piacciono ma hanno paura di fare il primo passo.
- Ilunga (tshiluba): una persona che la prima volta perdona qualunque cosa, la seconda volta sopporta, ma alla terza non ha pietà.
- Kyoikumama (giapponese): madre che pressa i figli perché abbiano grandi risultati nello studio.
- Age-otori (giapponese): stare peggio dopo essersi tagliati i capelli [è più o meno così che mi sento in questi ultimi giorni... ;-)].
- Schadenfreude (tedesco): godere delle disgrazie altrui.
Alcune altre di queste parole sono semplicemente curiose, e stenti quasi a credere che si sia sentita la necessità di creare un termine specifico: ad esempio il pascuense Tingo, il namibiano Hanyauku, il maori Papakata, il tedesco Schilderwald, il norvegese Utepils e il finlandese Tokka (ma forse, a pensarci bene, in Scandinavia è abbastanza normale aver bisogno di una parola per designare un grande branco di renne...). Altre parole magari non mi capiterebbe mai l'occasione di usarle, ma le trovo decisamente affascinanti: mi riferisco al tedesco Fernweh, al giapponese Komorebi, allo svedese Gökotta, al giapponese Aware, al tedesco Waldeinsamkeit, al giapponese Wabi-Sabi e al coreano Won. Per illustrare questo post ho scelto il disegno riferito a quest'ultima, realizzato come gli altri dalla designer neozelandese Anjana Iyer, perché mi piaceva troppo la frase che lo accompagna: «It does not do well to dwell on dreams and forget to live», «Non serve a niente rifugiarsi nei sogni e dimenticarsi di vivere». Parola di Albus Silente! :-)
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