Qualche tempo fa l'app Unfriend Finder For Facebook mi ha informata che un "facciamico" mi aveva rimossa dagli amici senza un motivo apparente. Non interagivamo tanto spesso, ma sempre in maniera civile e garbata, e di certo non abbiamo mai avuto alcun tipo di scontro. Quando l'ho scoperto sono andata a ritroso fra i miei post per cercare di capire se per caso avessi pubblicato qualcosa tale da indispettirlo a tal punto da convincerlo a "disamicarmi" senza degnarmi di una spiegazione. Ho trovato un post nel quale commentavo con toni fin troppo enfatici una notizia che a ben vedere poteva essere pure una fake news, e ho pensato che fosse stata quella la causa scatenante. Ma non ho mai avuto il coraggio di contattarlo per chiarire – del resto, non avendomi lui bloccata, nulla me lo impediva – e adesso non potrò più farlo. Sì, perché è venuto a mancare due giorni fa a soli 59 anni. (Nello stesso giorno il crudele algoritmo di Facebook mi ricordava che era il compleanno di uno dei pochi amici "virtuali" che ho avuto il piacere di incontrare di persona, nel corso di una breve vacanza a Roma; ne avevo parlato qui. Se qualche contatto erede avesse reso il suo profilo commemorativo, non avrei ricevuto nessuna notifica)
Qualcosa di simile, a ruoli invertiti, mi era capitato con un altro "facciamico"; infastidita dall'atteggiamento un tantino arrogante con cui era intervenuto in una discussione sulla mia bacheca, gli avevo impedito di proseguire rimuovendolo dagli amici. In seguito mi sono pentita di averlo fatto, anche perché lo reputavo una persona degna di stima, e forse avremmo potuto chiarire tornando in contatto, se un malore improvviso non se lo fosse portato via.
Mi vengono in mente altri due ex contatti: uno l'ho rimosso io dagli amici in seguito a una discussione dai toni accesi, perlomeno da parte sua, ma dai contenuti davvero futili. Un altro ha "disamicato" me dopo che io avevo rimosso dalla mia bacheca un post i cui commenti avevano preso una piega che mi creava un fortissimo disagio; è la prova che non sei una persona con cui si può discutere, mi aveva accusata altrove, senza sforzarsi minimamente di comprendere le mie ragioni.
Tutto questo si ricollega a una parte dell'episodio di ieri del podcast Morning.
Forse servirà nel tempo, forse ci arriveremo naturalmente, a imparare ad acquisire sia alcune banali tecniche di verifica di immagini, fotografie – immagino che nasceranno anche dei servizi appositi a questo scopo – sia a sviluppare un certo scetticismo attorno alle cose che vediamo intorno a noi, non per diventare delle persone che non credono più a nulla, ma per provare a inserire in tanti momenti della nostra vita quotidiana, nel rapporto col digitale e con le immagini, una pausa. La chiave forse è proprio la pausa.
Qual è la pausa? Il momento che passa e che deve passare, dovrà passare sempre di più, tra quando vediamo una cosa sul web, una fotografia, un video, un tweet, e il momento in cui agiamo, che sia inoltrando quella foto a qualcuno, che sia ritwittandola, ripostandola, rilanciandola, indignandoci magari, arrabbiandoci perché quella foto ci ha fatto arrabbiare, che sia vendere le nostre azioni se pensiamo che il Pentagono sia stato appena attaccato. La pausa rende l'azione successiva non necessariamente giusta o sbagliata – si può comunque sbagliare – ma la rende un po' meno istintiva, un po' più pensata; non elimina il rischio di sbagliarsi, ma lo riduce un po', specialmente se ci abituiamo a farlo, se ci abituiamo ad adottarla, questa pausa. Chissà che non scopriamo che questa pausa può essere utile anche in un sacco di altre questioni, per esempio quando ci viene di scrivere qualcosa sui social.
Sapete che la mia politica è: mai twittare, possono solo venirne dei guai. Ma voi twittate pure, eh, ci mancherebbe; lo faccio anch'io, a volte. Ma ecco, la pausa. Vuoi scriverlo proprio, quel messaggio arrabbiato contro il sottosegretario? Vuoi mandare davvero quella risposta sarcastica a quell'utente che ha scritto una roba assurda che ti ha fatto proprio incavolare? Fallo, se vuoi: non è che sia vietato, e magari non è nemmeno sbagliato, però, prima, una pausa. Insieme a innovazioni e servizi che magari ci aiuteranno a distinguere il falso dal vero, mi sa che tornerà attuale anche quella vecchia massima del contare fino a dieci prima di parlare, prima di fare qualsiasi cosa, prima di credere a qualsiasi cosa.
A proposito, il direttore de Il Post Luca Sofri fa per due giorni, fino a domani, da "supplente" a Francesco Costa che ha un altro impegno, e dopo l'episodio di oggi non vedo l'ora che torni il titolare, che trovo decisamente più piacevole da ascoltare. :-)