L'altro giorno una mia "facciamica", impegnata a pulire la casa al mare prima di ripartire per tornare in città, ha suggerito che questa potesse essere una sorta di metafora dell'età adulta.
Mi sono limitata a sorridere tra me e me, evitando di commentare «A me me pare 'na str***ata». ;-) Ma al tempo stesso ho cominciato a riflettere: che cosa significa davvero essere adulti? E soprattutto io lo sono/mi sento tale?
Secondo il
Dizionario Sabatini Coletti l'aggettivo
adulto ha due accezioni:
- Di essere umano che ha concluso la crescita (sin. grande)
- fig. Che esprime compiutamente le potenzialità della persona (sin. maturo)
La prima cosa che mi viene in mente? Vediamo... essere adulti significa possedere o sapersi procurare le risorse psicologiche, emotive e laddove necessario materiali per affrontare e per quanto possibile superare le situazioni che la vita ci pone di fronte, senza tirarci indietro.
Quando nel settembre di quattro anni fa sono venuta a vivere con il mio amore – una decisione che probabilmente se le condizioni di salute di mia mamma fossero state peggiori di com'erano all'epoca non avrei avuto il coraggio di prendere – è stato il passo più lungo che credo di aver mai compiuto in tutta la mia vita... però non più lungo della gamba, non sarebbe stato da me! ;-) Dopo un bel po' di tempo è arrivato anche un buon lavoro, migliore di quanto avrei mai potuto sperare. A coronare tutto questo, all'inizio di questo 2020 io e il mio lui abbiamo iniziato a darci da fare per regolarizzare la nostra posizione reciproca dinanzi allo Stato – in una parola, sposarci ;-) – ma poi il maledetto COVID-19 ci ha messo lo zampino mandando tutto all'aria, almeno per il momento. A giugno mamma ci ha lasciato, così non solo non avrò la gioia di vederla assistere al mio matrimonio – a causa del peggiorare delle sue condizioni di salute, avevo rinunciato già da un po' all'idea che potesse partecipare alla cerimonia – ma nemmeno quella di darle la soddisfazione di sapermi ufficialmente "sistemata": so quanto ci tenesse.
(Il sogno di essere accompagnata all'altare da papà è sfumato ormai più di cinque anni fa, e oramai si può dire che ci ho fatto il callo, anche se non del tutto)
Parlavamo dell'età adulta. I miei genitori mi hanno sempre trattata come la "piccola di casa", quasi avessero timore di rendermi troppo indipendente. Io in questa situazione per un po' mi ci sono crogiolata, finché non ho deciso di spiccare pian piano il volo. Ma delle premure un tantino eccessive che ho ricevuto durante l'infanzia e l'adolescenza pago il pegno ancor oggi: quante volte vorrei chiamare papà e mamma – soprattutto lei, anche perché la sua perdita è molto più recente, e nonostante i 600 km di distanza la chiamavo tutti i santi giorni dopo cena, cascasse il mondo – per avere un consiglio, chiedere spiegazioni su qualcosa, farmi raccontare frammenti del passato della nostra famiglia, commentare le notizie del giorno... o anche solo semplicemente per sentire la loro voce?! Se non avessi l'enorme fortuna di avere accanto un uomo che mi ama e mi sostiene in tutti i modi, sinceramente non so proprio come avrei fatto a non crollare. E questo pensiero mi inquieta abbastanza.
Mi rendo conto che questo può sembrare uno sfogo abbastanza sconclusionato, e a rileggerlo domani mi metterò le mani nei capelli... ma è così che mi sento adesso.