Oggi mi sono imbattuta, perché l'aveva condiviso l'autore satirico Luca Bottura, in un lungo tweet dell'utente @SandroR75196788, alias Timostene. Lo riporto qui di seguito perché, in un'epoca in cui a votare ci vanno sempre meno persone, e quelle poche hanno consegnato il Paese nelle mani di chi sta facendo danni d'ogni sorta, mi sembra illuminante.
La metà degli italiani non vota più. E no, non è protesta. È che non gliene frega un cazzo. E peggio ancora, non se ne vergognano.
Vivono nel proprio piccolo regno di abitudini, dove nulla entra e nulla esce, dove tutto si tiene purché nessuno chieda loro di alzare la testa, di leggere, di capire, di prendere parte. Non è solo apatia. È ignavia. È l’assenza di qualsiasi senso del dovere. È il rifiuto anche solo di guardare in faccia la realtà, purché la domenica ci sia la Serie A e il sabato la spesa all’outlet.
Ignavi. Quelli che non scelgono non per paura, non per delusione, ma perché non gli interessa niente e nessuno.
Non scelgono perché non sentono più il bisogno di distinguere il giusto dallo sbagliato, purché la bolletta non dia fastidio e il cellulare abbia campo.
E allora meglio niente. Meglio il silenzio. Meglio il divano.
Meglio far finta che la politica sia lontana.
Ma la politica non è lontana.
La politica vi ha già tolto la sanità, la scuola, i contratti stabili, le pensioni dignitose.
Vi ha svuotato il frigo e riempito le strade di precari.
Vi ha regalato Santanché, La Russa, Rampelli, Lollobrigida, Valditara.
Vi ha tolto i diritti e vi ha venduto la retorica del decoro, della sicurezza, della famiglia come giustificazione per ogni porcata.
E voi?
Zitti.
Fermi.
A guardare.
Parlate di rivoluzione, qualcuno. Ma quale rivoluzione?
Voi non fate nemmeno il gesto più semplice, più minimo, più gratuito: andare a votare.
Parlate di sistema corrotto, ma non vi prendete nemmeno il disturbo di scegliere chi prova a cambiarlo.
Avete scambiato la critica per cinismo, e il cinismo per intelligenza.
Ma è solo codardia.
È solo disimpegno.
È indifferenza mascherata da profondità.
E mentre voi vi fate i cazzi vostri, le destre si organizzano, si mobilitano, si spartiscono tutto.
Dalla RAI al CSM.
Dai fondi del PNRR agli incarichi negli enti pubblici.
Le poltrone, le aziende, i media, perfino i manuali scolastici.
Prendono tutto.
Perché voi non ci siete. Perché non vi interessa esserci.
E non dite che non si può fare nulla.
Non dite che “tanto sono tutti uguali”.
Chi non va a votare è colpevole quanto chi vota fascista.
Anzi no, peggio. Perché chi vota ha almeno scelto, ha almeno combattuto, anche se dalla parte sbagliata.
Voi no. Voi non avete lasciato il campo: non ci siete mai entrati.
Avete spento la luce e vi siete chiusi in camera, a guardare i TikTok dei balletti.
E lo capisco, in parte.
Lo capisco perché anche io, a volte, ho pensato che fosse tutto inutile.
Ma la differenza è che io ci torno, in cabina.
Perché mollare vuol dire consegnarsi.
E consegnarsi, oggi, vuol dire mettere il proprio silenzio al servizio del potere.
Il fascismo non ha più bisogno di fare paura.
Non gli serve più. Gli basta aspettare che ve ne freghiate.
Non è la politica che vi ha abbandonato.
È che voi, della politica, non avete mai voluto sapere nulla.
E ora vi fa comodo dire che non serve.
La democrazia non muore con un colpo di Stato.
Muore a forza di “tanto non cambia niente”.
Muore di ignavia, di menefreghismo, di diserzione civile.
Muore mentre vi distraete.
Così muore un Paese.
Non tra le bombe. Ma nel vuoto lasciato da chi non c’è.
Poco più di due ore dopo l'utente, evidentemente ispirato dai riscontri ricevuti, ha approfondito il suo pensiero.
ADDENDUM – Il mito dell’“io inascoltato”
Dopo ogni testo come questo, i commenti si assomigliano tutti. Un fiume di gente che, con tono offeso o risentito, scrive: “non vado a votare perché non c’è nessuno che mi rappresenta.”
Oppure: “sono tutti uguali.”
Oppure: “chi dovrei votare? dimmelo tu, se hai il coraggio.”
Una parte di questi commenti è francamente ridicola: profili fake, account Novax, gente che scrive a malapena in italiano e si vanta del proprio disinteresse come fosse una medaglia. Sono esattamente il profilo degli ignavi. Gente a cui non frega un cazzo della cosa pubblica, e che si sente pure superiore per questo.
Ma c’è anche un altro fronte, più sottile, più insidioso: quello dell’“anima nobile”. Quelli che dicono che nessun partito li rappresenta, che non trovano un progetto degno, che si sentono delusi, traditi, non ascoltati.
Viviamo in una società iper-individualista, edonista, dove il “noi” è stato dissolto, polverizzato, svuotato. Ognuno si sente un mondo a parte, un’opera d’arte incomparabile, un’opinione da santificare. Ma in una democrazia i partiti non sono specchi. Sono piazze.
I partiti sono luoghi d’incontro, conflitto, compromesso. Sono comunità imperfette, fatte di correnti, discussioni, voti a maggioranza, mediazioni. E dentro quelle piazze ci si sta non perché tutto ti rappresenta, ma perché qualcosa ti orienta.
E da lì si parte, si lavora, si spinge, si sposta l’equilibrio.
Chi pretende un partito fatto a propria immagine e somiglianza, non vuole la democrazia. Vuole l’autocrazia del proprio ego.
Vuole un partito con un solo iscritto: se stesso.
Non è che nessuno lo rappresenta.
È che lui non vuole farsi rappresentare da nessuno, se quel “nessuno” non recita esattamente il suo monologo sul palco.
E diciamocelo: chi se ne esce con queste giustificazioni, nella maggior parte dei casi, è un elettore di destra.
Magari non lo ammette, magari si nasconde dietro la maschera del “né di destra né di sinistra”, ma non si è mai riconosciuto in nulla che abbia a che fare con l’uguaglianza, la solidarietà, i diritti.
Non potrebbe mai riconoscersi in una qualsiasi forma di sinistra, perché nel suo mondo il noi non esiste. C’è solo l’io.
La politica è lo spazio del compromesso.
Il non voto è lo spazio del nulla.
Chi non vota perché non si sente rappresentato non sta facendo una scelta alta:
sta solo dimostrando di non aver capito come funziona una democrazia.