Le inqualificabili dichiarazioni rilasciate sul naufragio di Cutro dal ministro dell'Interno Matteo Piantedosi – uno che sta riuscendo in un'impresa che sembrava impossibile, quella di far rimpiangere Salvini – mi lasciano senza parole, per cui prendo a prestito quelle di Enrico Galiano, scrittore ma prima di tutto insegnante.
Io glielo dirò, domani, cosa avete fatto.
Entrerò in classe e leggerò ai miei studenti le dichiarazioni del ministro che ha detto:
«Io non partirei se fossi disperato perché sono stato educato alla responsabilità».
Le leggerò e mi siederò lì ad ascoltare cos'hanno da dire. Hanno dodici anni, i miei studenti. Ed è giusto che sappiano.
Lo vedranno da soli che avete fatto arrestare chi voleva salvare delle persone.
Che avete scritto e detto cose orrende, che avete l'anima sporca di parole che nessuno potrà cancellare.
Glielo dirò che avete costretto in porto le navi che avrebbero potuto salvarli.
Glielo dirò che sono anni che usate la vita delle persone per raccattare quattro voti in più.
Glielo dirò che cosa avete fatto.
Cosa abbiamo fatto, in realtà. Perché siamo tutti responsabili.
Glielo dirò che quelli che c'erano prima non erano così diversi, solo che sapevano nasconderlo meglio.
E mandatemi la Digos, mandate chi volete, toglietemi la cattedra, la classe.
Alla fine è tutto quello che sapete fare: usare la forza con i più deboli. Con quelli davvero forti non ci provate neanche.
Sospendetemi pure: voglio poter dire a mia figlia, quando sarà grande e vedrà cosa stava succedendo in questi giorni, in questi anni, quando mi chiederà dov'ero, voglio l'orgoglio di poterle rispondere, a testa alta: dall'altra parte.
Oggi, alla fine della lezione dove abbiamo parlato di quel che è successo domenica mattina, dopo aver letto gli articoli e ascoltato le parole delle istituzioni, una ragazza di prima media ha detto:
"Ma prof, com'è possibile che noi abbiamo dodici anni e vediamo benissimo che queste cose sono sbagliate, mentre loro che sono grandi no?"
Non ho risposto, perché una risposta non ce l'ho.
Segnalo anche l'amarissima satira dei Socialisti Gaudenti, i quali ironizzano su quella che a tutti gli effetti è una spregevole colpevolizzazione delle vittime. La conclusione è fin troppo scontata...
(No, Giorgia Meloni presidente del Consiglio non mi rappresenta nemmeno un po', e di certo non solo perché si fa chiamare "il presidente" anche se "la presidente" sarebbe perfettamente corretto)
Sovvertendo i pronostici della vigilia e i risultati del voto dei circoli, Elly Schleinè uscita vincitrice dalle primarie del Partito Democratico per eleggere il nuovo segretario; ha superato il favorito Stefano Bonaccini, che a mio parere è bene rimanga a governare l'Emilia-Romagna, non solo perché a quanto sembra sta facendo un buon lavoro, ma anche perché non mi pareva il caso che il centrosinistra rischiasse di perdere una delle poche regioni che ancora amministra.
Io sono particolarmente contenta perché ieri la mia preferenza è andata a lei, e d'ora in poi spero di non dovermi più turare il naso votando PD... ma ovviamente non tutti concordano con me.
Giuseppe #Fioroni, ex dirigente della Margherita e tra i fondatori del #PD, lascia il partito: "È diventato un partito di sinistra"
Ma magari... fatemi sognare!!! :-D
Dall'account Twitter di Mario Adinolfi, uno dei miei "reverse benchmark" prediletti.
Schlein è per il “matrimonio” gay, l’utero in affitto, la legge trans alla spagnola, il gender, considera l’aborto un diritto e non una tragedia, stessa cosa su eutanasia e suicidio assistito. L’esatto opposto del Magistero del Papa. Solo un cattolico stordito può votare Pd ora.
Ma Elly ha anche dei difetti, ha commentato un mio "facciamico"! ;-)
Con Elly #Schlein Segretaria/e/i/o/u, il Partito Democratico si assesta definitivamente su posizioni di abortismo sfrenato, ideologia genderfluid radicale, ecologismo anti-umano, droga libera e guerra alla Libertà Educativa delle famiglie. Le impediremo di distruggere l'Italia.
A proposito della denominazione di "segretaria", la sociolinguista Vera Ghenoha scritto...
Segretaria di partito. Il modo migliore per togliere la connotazione di "quella che batte a macchina le lettere per il capo" (parlando per stereotipi) alla parola "segretario-al-femminile" è usarla anche in tutte le altre sue accezioni: segretaria di stato, segretaria di sindacato, segretaria di partito, segretaria di gabinetto...
... condividendo un estratto del suo libro Femminili singolari.
È assolutamente vero: la segretaria fa pensare istintivamente a un lavoro meno blasonato del segretario, come la direttrice di un direttore (non a caso, alcune donne “al comando” si fanno chiamare direttora), la maestra di un maestro come direttore d’orchestra. Ciononostante, queste connotazioni possono essere cambiate dall’uso. Il giudizio che diamo istintivamente su queste parole è quasi come un riflesso pavloviano, non del tutto cosciente: un automatismo linguistico dovuto a un pre-giudizio che quasi non passa dal giudizio raziocinante. Daniel Kahneman lo collegherebbe a quello che lui chiama Sistema 1, che “opera in fretta e automaticamente, con poco o nessuno sforzo e nessun senso di controllo volontario”. E il pregiudizio linguistico, fondamentalmente dovuto a un’abitudine, può venire cambiato come qualsiasi altro tipo di pregiudizio. Avere pregiudizi è in qualche modo naturale: servono per ‘farci un’idea’ di ciò che ci circonda senza ripartire tutte le volte da zero. Ma occorre fare attenzione perché i pregiudizi non diventino soverchianti. La tendenza umana è quella, poiché a nessuno piace cambiare idea: cambiare idea richiede sempre un piccolo sforzo. In questo caso, per fare solo un esempio, se le segretarie di partito o comunali (qualora, ovviamente, ce ne fossero) si definissero in massa così, al femminile, piano piano cambierebbe anche la connotazione ‘sminuente’ che non è contenuta nella parola, ma che le sovrapponiamo noi parlanti.
Ma come mai alcuni leader di partito si chiamano presidenti, mentre altri segretari? Dalla relativa voce Wikipedia...
In certi partiti vi è più di una posizione con le denominazioni sopra ricordate; in questi casi la ripartizione delle competenze è molto variabile: in alcuni partiti il leader o presidente è posto al vertice, mentre il segretario è posto alle sue dirette dipendenze e si occupa prevalentemente degli aspetti organizzativi; in altri partiti, invece, il segretario o il leader ha l'effettiva direzione del partito mentre al presidente spetta un ruolo di rappresentanza.
[L'immagine che apre il post è tratta dall'account Instagram @cussiddu_official]
Poco prima delle 5 di questa mattina un'imbarcazione su cui viaggiavano quasi duecento migranti è naufragata in Calabria al largo di Steccato di Cutro, città della provincia di Crotone che si affaccia sul mar Jonio. Sono morte decine di persone, tra cui anche diversi bambini.
Il governo – sì, proprio quello stesso governo che, nella persona del ministro dell'Istruzione "e del Merito" Giuseppe Valditara, non aveva proferito parola sul pestaggio di probabile matrice fascista avvenuto davanti un liceo di Firenze, ma ha riacquistato la favella per criticare la preside di un altro liceo fiorentino e la sua lettera definita dalla sottoscritta "da incorniciare" – ha diramato una nota.
Il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, esprime il suo profondo dolore per le tante vite umane stroncate dai trafficanti di uomini. E' criminale mettere in mare una imbarcazione lunga appena 20 metri con ben 200 persone a bordo e con previsioni meteo avverse. E' disumano scambiare la vita di uomini, donne e bambini col prezzo del 'biglietto' da loro pagato nella falsa prospettiva di un viaggio sicuro. Il Governo è impegnato a impedire le partenze, e con esse il consumarsi di queste tragedie, e continuerà a farlo, anzitutto esigendo il massimo della collaborazione degli Stati di partenza e di provenienza. Si commenta da sé l'azione di chi oggi specula su questi morti, dopo aver esaltato l'illusione di una immigrazione senza regole.
A questo punto, visto che chissà cosa potrei scrivere, è meglio se cedo la parola alla ex deputata PD Giuditta Pini...
Sono morte almeno duecento persone a largo della Calabria. Sono morte per le politiche migratorie di questo governo e di quelli che li hanno preceduti. Sono morte per l’assenza di un sistema di accoglienza diffuso di cui un paese in crisi demografica ha bisogno di dotarsi, sono morte a causa della politica europea dei confini chiusi, sono morte perché abbiamo deciso di chiudere i corridoi legali per entrare nel nostro paese.
Davanti a queste morti Meloni da la colpa agli scafisti: ci spieghi Meloni come persone che scappano da fame e guerra dovrebbero arrivare in Europa senza canali legali di entrata. Ci spieghi quante vite devono essere sacrificate sull’altare della propaganda sovranista. Ci spieghi, oppure taccia insieme al suo governo. Perché se abbiamo imparato qualcosa in questa ultima settimana è che, quando vuole, questo governo sa tacere.
Cara Giorgia Meloni, affermare che per salvare le vite dei migranti bisogna impedirne le partenze è una schifosa menzogna.
Anche se non riuscissero a salire sulle bagnarole dei trafficanti di esseri umani, i migranti morirebbero lo stesso, dall’altra parte del mare, nei lager. La differenza sono quei cadaveri di uomini, donne e bambini messi in fila. Cadaveri che si vedono, a differenza di quelli ammassati in Libia o in quei Paesi “pagati” per “smaltirli”. Cadaveri che dovrebbero pesare sulle coscienze di chi per stupidità o cattiveria mette i bastoni tra le ruote a chi cerca ogni giorno di salvare vite umane.
Cara Giorgia Meloni, i migranti sono stati e sono il “pezzo forte” della vostra propaganda: avete fatto credere a greggi di analfabeti funzionali che fossero un problema gravissimo, il più grande problema dell’Italia.
Avete fatto leva sull’istinto di sopravvivenza dei penultimi, che vedono gli ultimi come una minaccia; avete fatto leva sul demenziale fastidio di chi li vede chiedere qualche moneta fuori i supermercati; avete fatto leva su quelle metastasi di razzismo che purtroppo infestano da sempre il corpo del Paese.
C’è stato un naufragio con decine di morti al largo della Calabria. L’unica cosa che mi va di pensare in momenti come questi riguarda la responsabilità diretta in simili tragedie della politica italiana e delle sue scelte. Da Minniti a Salvini, dalla De Micheli a Conte, fino all’attuale ministro Piantedosi, estendendo magari la responsabilità anche ai magistrati, amministratori e gendarmi che hanno ostacolato, ognuno nell’ambito delle proprie prerogative, i tentativi di salvataggio delle ONG dei migranti nello spazio di mare fra il nostro Paese e l’Africa, ebbene l’unica cosa che mi va di pensare è che queste persone, tutte queste persone, dopo una vita di cinismo e crudeltà, bruceranno infine come meritano fra le fiamme dell’inferno.
P.S.: Stamattina sono andata a votare alle primarie del PD. L'ho fatto senza alcun particolare entusiasmo, ma con la timida speranza di sostenere l'unico partito in grado di fare una reale opposizione al governo peggiore della storia repubblicana.
Se anche tu come me ci tieni a fare come si deve la raccolta differenziata dei rifiuti, ti consiglio di ascoltare la puntata speciale del podcast Ci vuole una scienza uscita venerdì 17 febbraio sul sito de Il Post nonché sulle principali piattaforme di streaming on demand, tra cui Spotify. Emanuele Menietti e Beatrice Mautino hanno risposto alle domande più frequenti sull'argomento – È vero che non tutta la plastica può essere riciclata? Come separare vetro e carta? Che cosa succede se sbaglio? Il cartone della pizza si può riciclare oppure no? – dando parecchie informazioni utili ma per forza di cose relativamente generiche, visto che i criteri da seguire non sono uniformi su tutto il territorio nazionale; in ultima analisi ciascuno dovrebbe fare riferimento alle indicazioni fornite da chi effettua il servizio nella sua zona (nel comune dove abito l'alluminio va con la plastica, mentre in quello dove lavoro, a una trentina di chilometri di distanza, va con il vetro, giusto per fare un esempio "di vita vissuta").
La notizia della scomparsa di Maurizio Costanzo per quanto non del tutto inaspettata – il giornalista e conduttore televisivo era anziano e non sembrava granché in salute – mi ha suscitato un certo smarrimento, come mi succede ogniqualvolta muore una persona che ha (quasi) sempre fatto parte della mia vita, anche solo sul piano mediatico. Infatti mia madre era un'assidua telespettatrice del Maurizio Costanzo Show, che andava in onda da quando io avevo sei anni. Molto ci sarebbe da dire su Costanzo, ma in questa sede mi limiterò a riferire il modo che non esito a definire fuori luogo – e infatti successivamente è stato modificato – in cui è stata data la notizia su Repubblica: «è stato un gigante della televisione, e non solo per la sua mole».
(Volendo essere pignoli, lui era alto solo 164 centimetri, pur essendo indubbiamente sovrappeso. E pensare che i coccodrilli in genere si preparano con largo anticipo...)
In questo ci vedo un nesso con un'altra notizia di cui si è molto discusso negli ultimi giorni: Puffin Books, l'editore britannico dei libri per ragazzi dello scrittore britannico Roald Dahl (1916-1990) che fa parte del gruppo Penguin Random House, in accordo con i detentori dei diritti ha deciso di introdurre una lunga serie di piccole modifiche nelle più recenti edizioni destinate ai giovanissimi. «Dahl aveva uno stile irriverente e nei suoi libri le caratteristiche morali dei personaggi negativi sono spesso associate a caratteristiche fisiche, come la bruttezza e la grassezza», ricorda Il Post. E quindi, bando a parole come "grasso" e "brutto". Ma il rimaneggiamento è andato ben oltre:
Ad esempio, nella vecchia edizione [di Le Streghe, NdC], a un certo punto la nonna spiega al nipote che le streghe indossano guanti per nascondere di avere «lunghi artigli aguzzi e ricurvi» al posto delle unghie e parrucche per nascondere di essere calve. Lui le risponde che quindi tirerà i capelli a tutte le donne per riconoscere le streghe, e la nonna replica:
Non dire stupidaggini. Non puoi tirare i capelli a tutte le donne che incontri, anche se portano i guanti. Provaci e vedrai.
Nella nuova edizione britannica la risposta è diventata:
Non dire stupidaggini. Peraltro ci sono molte altre ragioni per cui una donna potrebbe indossare una parrucca senza che ci sia nulla di sbagliato.
Qui non si tratta soltanto di evitare termini "politicamente scorretti": per non rischiare di urtare la sensibilità di qualcuno, si è stravolto completamente il senso della frase.
Nelle nuove edizioni c'è una nota che dice «Le parole sono importanti. Le magnifiche parole di Roald Dahl possono trasportare in mondi diversi e far conoscere personaggi meravigliosi. Questo libro è stato scritto tanti anni fa e quindi ne rivediamo regolarmente il linguaggio per assicurarci che possa essere apprezzato da tutte le persone anche oggi».
A tal riguardo mi sembra che valga la pena di riportare il parere della scrittrice Licia Troisi: «preferisco
passare in futuro per fascista, razzista, retrograda, o che i miei
libri non se li legga più nessuno, piuttosto che qualcuno ci metta mano
senza il mio consenso. E no, il fatto che Dahl abbia da vivo cambiato
cose non implica che accetterebbe questo».
Oggi, a porre (forse) fine alla diatriba, è arrivato il comunicato della casa editrice: con buona pace di chi già se la stava prendendo con la famigerata cancel culture, le edizioni originali continueranno a essere pubblicate accanto a quelle rimaneggiate, per la gioia dei lettori adulti, e pure di quelli più giovani, ma già sufficientemente maturi e consapevoli da avere gli strumenti per comprendere e contestualizzare quello che leggono, magari con l'aiuto dei genitori o degli insegnanti.
In conclusione, a proposito di Roald Dahl, guarda caso i Ricordi di Facebook mi fanno notare che esattamente 8 anni fa condividevo questo post di MedBunker.
"...una mattina, mentre già iniziava a stare meglio, ero seduto sul suo letto e le facevo vedere come fare dei piccoli animali con degli scovolini colorati, e quando era il suo turno ho notato che le sue dita e la sua testa non stavano lavorando le une con l’altra, e che lei non riusciva a fare niente.
«Ti senti bene» le ho chiesto?
«Mi sento assonnata», mi ha risposto.
Nel giro di un’ora aveva perso conoscenza. Dodici ore dopo era morta”.
Roald Dahl (scrittore).
Questo succedeva nel 1962 all'autore de "La fabbrica di cioccolato" e di "Gremlins". Ha perso una figlia per il morbillo.
In questi giorni in Germania è in corso un'epidemia, 574 casi solo a Berlino e purtroppo un decesso, un bambino di 18 mesi.
Deve succedere anche da noi?
Forse molti non sanno che l'ultima epidemia importante di morbillo in Italia non è avvenuta nel 1800 ma nel 2002.
Nella sola Campania (regione con bassa copertura vaccinale ai tempi) si sono avuti 40.000 casi di morbillo, 600 ricoveri, 16 casi di encefalite e 4 morti.
Non facciamo soffrire i nostri figli per colpa dell'ignoranza.
E già, l'antivaccinismo non è mica nato col COVID, ma esisteva già da un bel po'.
Ieri nella mia "bolla abruzzese" è diventata virale la foto qua sotto, scattata lungo la strada che costeggia la ferrovia a Pescara.
Quello strafalcione così marchiano purtroppo non è un fake, mentre lo è questo qui sotto, condiviso dai 99 Cosse prendendo spunto dal manifesto mostrato sopra.
Nei commenti gli utenti si sono sbizzarriti con le loro creazioni riguardanti altri luoghi della città...
(questo mi sa che non è un fotomontaggio: a occhio pare che almeno la o di Abruzzo sia sparita sul serio)
... e prodotti tipici.
Sempre i 99 Cosse hanno segnalato che, in seguito allo "sputtanamento" social, chi di dovere – a quanto pare l'affissione non è di competenza dell'amministrazione comunale, bensì di RFI – è corso ai ripari.
P.S.: Il titolo del post richiama questa celebre scena di Totò e Peppino e la... malafemmina ambientata a Milano.
Ancora non mi capacito del fatto che Ignazio La Russa, uno che colleziona cimeli del Ventennio, sia stato eletto presidente del Senato in una seduta presieduta dalla senatrice a vita Liliana Segre, superstite dell'Olocausto nel quale i fascisti ebbero un ruolo per nulla marginale... ed ecco che l'esponente di destra, intervistato da Francesca Fagnani nel corso della prima puntata della nuova edizione del talk show Belve, alla domanda su cosa proverebbe se suo figlio gli dicesse di essere omosessuale ha risposto «Accetterei con dispiacere la notizia. Perché credo che una persona come me, eterosessuale, voglia che il figlio gli assomigli. Ma se succede, pazienza. Sarebbe come se fosse milanista...».
Sorvolando su quanto sia discutibile il fatto che un padre etero voglia un figlio "che gli assomigli" – ineccepibile al riguardo il commento del giornalista Alessandro Milan – su un punto mi tocca dar ragione a La Russa. Mi spiego subito: neanch'io, se avessi un figlio, farei i salti di gioia se lo sapessi omosessuale. Perché mi preoccuperebbero troppo le difficoltà che lo aspettano in un paese dove tanta, troppa gente la pensa come La Russa, o come il capogruppo di Fratelli d'Italia alla Camera Tommaso Foti, il quale sullo scivolone del collega di partito ha messo una pezza peggiore del buco: «Il presidente La Russa ha una riserva, io personalmente non avrei quella riserva, lo dico apertamente, anche se devo dire che in casa mia ho una figlia, è una figlia normalissima, ma però, se mi avesse detto...».
Riguardo all'aggressione agli studenti del liceo "Michelangiolo" di Firenze, della quale sono stati riconosciuti responsabili sei membri del movimento giovanile Azione Studentesca, vicino a Fratelli d'Italia, Annalisa Savino, dirigente scolastica del liceo scientifico "Leonardo da Vinci" di Firenze, ha inviato agli studenti – e per conoscenza alle loro famiglie, ai docenti, alla DSGA e al personale ATA – una comunicazione con oggetto "messaggio sui fatti di via della Colonna".
Cari studenti,
in merito a quanto accaduto lo scorso sabato davanti al liceo Michelangiolo di Firenze, al dibattito, alle reazioni e alle omesse reazioni, ritengo che ognuno di voi abbia già una sua opinione, riflettuta e immaginata da sé, considerato che l'episodio coinvolge vostri coetanei e si è svolto davanti a una scuola superiore, come lo è la vostra. Non vi tedio dunque, ma mi preme ricordarvi solo due cose.
Il fascismo in Italia non è nato con le grandi adunate da migliaia di persone. È nato ai bordi di un marciapiede qualunque, con la vittima di un pestaggio per motivi politici che è stata lasciata a sé stessa da passanti indifferenti. "Odio gli indifferenti" – diceva un grande italiano, Antonio Gramsci, che i fascisti chiusero in un carcere fino alla morte, impauriti come conigli dalla forza delle sue idee.
Inoltre, siate consapevoli che è in momenti come questi che, nella storia, i totalitarismi hanno preso piede e fondato le loro fortune, rovinando quelle di intere generazioni. Nei periodi di incertezza, di sfiducia collettiva nelle istituzioni, di sguardo ripiegato dentro al proprio recinto, abbiamo tutti bisogno di avere fiducia nel futuro e di aprirci al mondo, condannando sempre la violenza e la prepotenza. Chi decanta il valore delle frontiere, chi onora il sangue degli avi in contrapposizione ai diversi, continuando ad alzare muri, va lasciato solo, chiamato con il suo nome, combattuto con le idee e con la cultura. Senza illudersi che questo disgustoso rigurgito passi da sé. Lo pensavano anche tanti italiani per bene cento anni fa ma non è andata così.
Da incorniciare!
P.S.: Il titolo del post è una semi-citazione del film d'animazione giapponese Porco Rosso di Hayao Miyazaki.
A un mese esatto di distanza dal mio precedente post sull'argomento "il vino fa male", condivido il testo di un ottimo post pubblicato due settimane fa su Facebook dal giornalista Rai Gerardo D'Amico, caporedattore salute e sanità di RaiNews, curatore e conduttore della rubrica di medicina e salute Basta la Salute, coordinatore della Task Force Rai contro le Fake News e l'Approfondimento Scientifico sulla pandemia e membro del Comitato Tecnico Sanitario del Ministero della Salute, sezione rilascio licenze pubblicità sanitaria.
Io non ho niente contro il vino, due dita di rosso accompagnano i miei pasti.
Lo faccio sapendo che è piacevole ma fa male: un po’ meno se saltuario, parecchio di più se le dita diventano spanne.
Faccio tante altre cose, sapendo che fanno male: sto col motorino fermo nel traffico, mangio troppo, faccio poca attività fisica.
Faccio delle scelte, sapendo che fanno male.
Quello che mi indigna profondamente, nella gazzarra che si è scatenata attorno al vino, è l’ipocrisia che sfocia nella manipolazione che degenera nelle fake news.
In nome di un enorme interesse commerciale, legittimo, invece di spiegare che bere una piccola quantità di alcol fa meno male ma comunque fa male- questa l’evidenza scientifica- e quindi a voi la scelta, nutrizionisti e perfino medici affermano il contrario di quello che la medicina basata sulle evidenze ha dimostrato chiaramente: e questa è ignoranza, o disonestà.
Gravissimo, se sei un medico che hai giurato sul “primum non nocere”.
Nessuno vuole vietare niente a nessuno. Qui però è entrata in ballo la credibilità scientifica di chi ancora cita studi osservazionali ampiamente dimostrati inaffidabili, come fa il Presidente del CREA, che sarebbe il vecchio Istituto Nazionale di Nutrizione, che pure è un cardiologo.
Il fatto che il CREA sia controllato dal Ministero dell’Agricoltura, che legittimamente difende i produttori di vino, non può rendere tollerabile uno sviamento tanto eclatante dalle chiare posizioni dell’OMS e delle Società Scientifiche nazionali ed internazionali.
La posizione della Federazione Mondiale di cardiologia non lascia dubbi, entrando nel merito di quegli studi osservazionali di cui parlavo: nel link uno degli ultimi documenti, datato 2022 ( grazie al prof. Enrico Bucci che me lo ha girato).
Non esiste dose minima di alcol che non faccia male, questo il sunto: ed il vino, come la birra, contiene alcol.
Lo vogliamo bere? Prosit. Ma nessuno, per favore, ci venga a dire, nel 2023, che libera le coronarie e fa bene alla circolazione.
Soprattutto se è un medico.
P.S.: Tre anni fa oggi, nel giorno che in pratica segnava l'arrivo "ufficiale" della pandemia in Italia, pubblicavo questo post. Per quanto io sia pessimista, mai mi sarei aspettata che succedesse quello che poi è successo. Potrei dire (sottovoce) che a questo punto ne stiamo uscendo, ma sono stati tre anni davvero tremendi.
A poco più di una settimana dalla conclusione del Festival di Sanremo, condivido alcuni divertenti video a tema.
La canzone vincitrice, Due vite di Marco Mengoni, è stata oggetto di due brevi video con protagonisti i bravissimi Oblivion, che prima o poi voglio assolutamente tornare ad applaudire dal vivo: una versione mimata, e un'esilarante parodia divenuta virale. (Qualche altra parodia sanremese si trova nella sezione shorts del loro canale YouTube)
Pure i Gem Boy hanno pubblicato una simpatica parodia di Due vite, ma non la linko per dispetto: infatti avevano parodiato pure Tango di Tananai in un modo che non rende assolutamente giustizia al significato del brano.
I TU - la band troppo duo hanno proposto la loro consueta sintesi del Festival appena terminato: tutte le canzoni in gara condensate in sei minuti o poco più. Geniali, come sempre! :-D
Infine Valerio Lundini, comico dalla vena surreale come quella di Nino Frassica (il quale infatti lo apprezza) ma anche musicista, ha ospitato su Rai Radio2 Ariete, i Baustelle, Mara Sattei, Mr Rain, gIANMARIA, Rosa Chemical, Manuel Agnelli, Paola & Chiara, Tananai, gli Eugenio in Via di Gioia, Leo Gassmann, i Colla Zio, Will, Elodie, Piero Pelù, Olly, Colapesce Dimartino, Madame, Sethu, Ditonellapiaga, Lazza, Levante e Richard Benson, e ha fatto cantare loro singole frasi che in seguito sono state montate in modo tale da mettere insieme È finito Sanremo, una "hit" a dir poco originale pubblicata tre giorni fa.
Questo weekend sono stata a Pescara perché avevo delle faccende da sbrigare, e per l'occasione mi sono data appuntamento con una ex collega di lavoro, in seguito divenuta pure una cara amica, anche se purtroppo ci sentiamo poco e ci vediamo ancora meno. L'ultima volta che c'eravamo viste lo scorso novembre, per dire, non aveva fatto parola della nuova "avventura" che aveva intrapreso.
Ma andiamo con ordine (cronologico). Quando lavoravamo insieme, la mia amica mi aveva accennato al fatto che dopo la maturità scientifica si era iscritta alla facoltà di Lingue Straniere, ma ad un certo punto aveva acconsentito alla richiesta fattale dall'allora fidanzato di aiutarlo nella sua attività, il che le richiedeva un impegno non indifferente e poco compatibile coi suoi studi, poi dopo il matrimonio è arrivata la decisione di lasciare definitivamente l'università avendo sostenuto 10 esami sui 20 previsti. A me questa storia aveva provocato un misto di tristezza e rabbia, anche se a lei non l'ho mai manifestato: una delle persone più intelligenti e brillanti che io conosca aveva dovuto rinunciare ai suoi sogni per accontentarsi di un lavoro non proprio in linea con la sua indole e le sue aspirazioni.
Ebbene, la novità è questa: a cinquant'anni suonati, con famiglia e tre figli – il maggiore è ormai adulto, il minore quasi adolescente – e continuando a lavorare a tempo pressoché pieno, la mia amica, alla quale in fondo non era mai andato giù di aver interrotto gli studi circa un quarto di secolo fa, si è iscritta di nuovo all'università. Non più a Lingue Straniere, anche perché difficilmente le avrebbero convalidato i vecchi esami, né a Storia, che non è più nell'offerta formativa dell'Università di Chieti-Pescara, bensì al corso di laurea triennale in Beni Culturali, che tenendo conto delle sue inclinazioni e del suo amore per la storia era la scelta a lei più congeniale. Ebbene, ha già sostenuto quattro esami, prendendo due bei 30 e lode, mentre il voto più basso è un 27.
Tanto di cappello alla mia amica alla quale invidio (con benevolenza) l'entusiasmo e la buona volontà. I suoi ritmi magari non potranno essere gli stessi di un neodiplomato che non ha altri impegni gravosi né pensieri se non quelli tipici dei vent'anni, ma quando esce dal lavoro alle tre e mezza del pomeriggio e torna a casa, ha ammesso con gli occhi che le brillavano, aprire i libri non le pesa affatto, anzi le piace da morire e le dà un senso di gratificazione. Lei sta facendo tutto questo in primo luogo per sentirsi realizzata a livello personale, ma chissà che al termine di questo percorso non possa trovare soddisfazioni inaspettate dal punto di vista professionale. Io glielo auguro di cuore!
Sto raccogliendo talmente tanti spunti su ChatGPT che oramai sarebbe impossibile condensarli tutti in un unico post... e così ho deciso di centellinarli: comincio con l'Astronomy Picture of the Day realizzata da Marco Lorenzi, Angus Lau, Tommy Tse e pubblicata l'altroieri con il titolo The Hydra Cluster of Galaxies (L'ammasso di galassie dell'Idra), il cui testo è stato prodotto appunto da ChatGPT ispirandosi alle poesie di Edgar Allan Poe (al quale APOD porge le sue scuse).
Ecco il testo originale...
Once upon a midnight dreary, while I pondered weak and weary, O'er volumes of astronomy and forgotten lore, I stumbled upon this snapshot, cosmic and eerie, A sight that filled my heart with awe and more.
Two stars, like sentinels, anchored the foreground, Of our Milky Way galaxy, a sight to behold, Beyond them, a cluster of Hydra, galaxies abound, 100 million light-years away, a story to be told.
Three large galaxies, ellipticals and a spiral blue, Dominant and grand, each 150,000 light-years wide, But it was the overlapping pair that caught my view, Cataloged as NGC 3314, a sight I cannot hide.
Abell 1060, the Hydra galaxy cluster's name, One of three large galaxy clusters close to our Milky Way, A universe bound by gravity, a celestial game, Where clusters align over larger scales, I cannot sway.
At a distance of 100 million light-years, this snapshot's size, 1.3 million light-years across, a cosmic delight, A momentary glimpse into the universe's guise, But even this shall fade, and be nevermore in sight.
... e una traduzione fatta da Google Translate e rimaneggiata appena dalla sottoscritta.
C'era una mezzanotte triste, mentre meditavo debole e stanco, Su volumi di astronomia e tradizioni dimenticate, Mi sono imbattuto in questa istantanea, cosmica e inquietante, Uno spettacolo che mi ha riempito il cuore di stupore e altro ancora.
Due stelle, come sentinelle, ancoravano il primo piano, Della nostra galassia Via Lattea, uno spettacolo da vedere, Al di là di loro, un ammasso di Idra, le galassie sono piene, A 100 milioni di anni luce di distanza, di una storia da raccontare.
Tre grandi galassie, ellittiche e una spirale blu, Dominante e grandiosa, ciascuna delle quali grande 150.000 anni luce, Ma è stata la coppia sovrapposta a catturare la mia vista, Catalogata come NGC 3314, uno spettacolo che non posso nascondere.
Abell 1060, il nome dell'ammasso di galassie Hydra, Uno dei tre grandi ammassi di galassie vicini alla nostra Via Lattea, Un universo legato dalla gravità, un gioco celeste, Dove gli ammassi si allineano su scale più grandi, non posso oscillare.
A una distanza di 100 milioni di anni luce, le dimensioni di questa istantanea, 1,3 milioni di anni luce di diametro, una delizia cosmica, Uno sguardo momentaneo nella sembianza dell'universo, Ma anche questo svanirà e non sarà mai più in vista.
P.S.: Chissà quale sarà mai stato l'input che ha prodotto quest'output da parte di ChatGPT... :-)
Qualche giorno fa il calciatore ceco Jakub Jankto, che tra il 2014 e il 2021 ha giocato in Italia per Ascoli, Udinese e Sampdoria e in questa stagione milita nello Sparta Praga, ha fatto coming out dicendo apertamente di essere gay in un messaggio pubblicato sui social che finisce così:
Voglio vivere la mia vita liberamente. Senza paura. Senza pregiudizi. Senza violenza. MA con amore.
Sono omosessuale e non voglio più nascondermi.
Oggigiorno una cosa del genere non dovrebbe neppure fare notizia... fatto sta che Jankto è il primo calciatore in attività, ampiamente conosciuto in ambito internazionale e con ancora la prospettiva di molti anni ad alti livelli ad essersi dichiarato omosessuale. E considerata l'arretratezza culturale imperante nel mondo del calcio e, diciamolo, anche in molti di quelli che lo seguono – le battutacce sui compagni di spogliatoio di Jankto che d'ora in poi dovranno guardarsi le spalle si sono sprecate :-/ – plaudo al suo coraggio, e gli auguro il meglio per il futuro.
A tal proposito, il quotidiano Libero ha titolato come segue: «Arriva a fine carriera e si ricorda che è gay», aggiungendo «Jakub Jankto fa outing» (in realtà si dice "coming out", e un giornalista la differenza fra i due termini dovrebbe conoscerla).
Abolizione del suffragio universale ha commentato in modo ineccepibile.
Domanda: “Perché c’è bisogno di fare coming out?” Risposta: “Perché ci sono ancora titoli come questo”.
P.S. Si dice coming out, non “outing”. Non è a fine carriera: Jankto è del 1996, ha 27 anni. Non ci si “ricorda” di essere gay, al massimo lo si nasconde a causa di giornali di merda come questo.
Come ricorda Il Milanese Imbruttito, a San Valentino la tradizione vorrebbe che i maschietti portassero un omaggio floreale alla propria lei... ma il mio compagno sa benissimo che detesto i fiori recisi, per il motivo a cui allude la vignetta qui sotto.
Ecco a te. Ho trovato delle cose belle e le ho uccise in modo che tu potessi guardarle marcire.
Basta e avanza il mio "pollice diversamente verde" che mi rende il terrore di qualsiasi pianta in vaso... I fiori destinati ad appassire in ogni caso entro un paio di giorni anche no, grazie! ;-)
A proposito di fiori, una delle hit di questo periodo è Flowers, che la cantante e attrice Miley Cyrus ha dedicato al suo ex marito Liam Hemsworth – con molta più classe di quanta ne abbia avuta Shakira, diciamolo – riprendendo abbastanza esplicitamenteWhen I Was Your Man di Bruno Mars, che ho scoperto per l'occasione trovandola stupenda. Qui un mashup dei due brani... per quanto non regga il confronto con quelli di Bruxxx Music Shaker.
Ironia della sorte, pochi giorni prima di San Valentino pure io mi sono comprata dei fiori: questi della LEGO, che di certo non appassiranno... anche se domenica scorsa mentre li montavo ho notato che tendono a "decomporsi" con una certa facilità! ;-) (Quasi sicuramente me li avrebbe regalati il mio lui, se solo avesse saputo che erano nella mia lista dei desideri... invece mi ha "solo" offerto la cena martedì sera <3)
Infine, un'idea regalo bella, buona e sostenibile per chi non ama i fiori recisi ma le verdure sì, e magari è pure bravə a cucinarle, sono gli "unwasted bouquet", bouquet che non vanno sprecati, illustrati in trebrevivideo pubblicati nel canale YouTube della catena di supermercati Bennet.
Vivo in Lombardia dal 2016, ma la residenza l'ho presa due anni dopo, quando le scorse elezioni regionali si erano già tenute, quindi domenica scorsa era la prima volta che votavo per il Pirellone. Che dire, la vittoria della destra-centro sia qua sia in Lazio con un margine perfino superiore alle mie già pessimistiche aspettative mi preoccupa alquanto. Riferisco il succo di un paio di discussioni alle quali ho partecipato su Facebook al riguardo.
Alla supposizione di un mio "facciamico" – «il popolo lombardo odia noi di sinistra» – ho replicato che a me sembra che i lombardi odino anche sé stessi, vogliano farsi del male, come dei novelli Tafazzi. Che altro dire della riconferma di Attilio Fontana dopo cinque anni di disastri e fallimenti, penso in particolare alla gestione della pandemia? Purtroppo la gente ha la memoria corta... E comunque ho aggiunto che in fondo anche la sinistra odia sé stessa: tra i miei contatti c'è gente sedicente di sinistra che o ha disertato le urne perché si rifiutava di votare una coalizione che include il M5S – questo contribuirebbe a spiegare l'astensionismo da record – oppure ha votato per Letizia Moratti (la Moratti!!!). A proposito, ascoltando il podcast Morning ho messo a fuoco un aspetto da non sottovalutare: in Lombardia il PD si è alleato con il M5S, storicamente debole da queste parti, lasciando che il Terzo Polo corresse da solo, mentre in Lazio al contrario i dem si sono accordati con Azione e Italia Viva mandando all'aria le precedenti alleanze con i pentastellati, i quali laggiù sono più forti. Ma putem ving la guerr?!, come si dice in Abruzzo.
A un mio compagno di liceo – il quale, essendo residente a Roma, era coinvolto anche lui in prima persona – ho riferito questo commento letto in giro: «mi meraviglio che vi meravigliate. È questo che voi non capite. Non si lamentano affatto, i lombardi. Quelli che li hanno votati sono felicissimi: l'evasione fiscale è consentita e incoraggiata, la distruzione del territorio è un hobby regionale di grande successo, la privatizzazione della sanità è quello che vogliono, gli anziani uccisi direttamente dall'assessorato nelle Rsa hanno liberato posti e adesso non sono più a carico delle famiglie, i capannoni e le strade non sono più minacciati dai potentissimi ambientalisti, i treni li prendono i poveracci. Il paese del Bengodi. Perché dovrebbero votare altri?». Un quadro fin troppo severo, forse. E infatti il mio amico ha osservato che la maggior parte dei lombardi non è né ricca né collusa. Alla mia obiezione «già... ma allora come si spiega?» ha replicato «disimpegno, stupidità, incomprensione, superficialità e, certo, anche interessi».
Stasera condivido la traduzione di un post pubblicato dalla pagina Facebook Strange Maps, e basato su un'illustrazione tratta dall'account Twitter di Peter Gorman (@barelymaps).
Non vedrai queste costellazioni nei cieli; trovale invece sulla mappa dell'Europa. Ciascun gruppetto mostra la posizione relativa delle cinque città più grandi di ciascun Paese.
La città più grande ottiene la stella più grande. Di solito è la capitale del Paese, ma ci sono alcune eccezioni. All'interno dell'Europa, questo è il caso di Paesi relativamente piccoli come Belgio, Liechtenstein, Malta, San Marino e Svizzera, ma anche in Paesi più grandi alla periferia dell'Europa (inclusi in questa mappa): Turchia e Kazakistan.
La posizione delle cinque città più grandi può essere sufficiente a creare una rudimentale corrispondenza con la forma complessiva del Paese, come nel caso, diciamo, della Bosnia o dell'Italia. Oppure quella mini-costellazione può essere totalmente differente dalla geografia del Paese; vedi ad esempio la Svezia o l'Islanda.
Si è concluso ieri sera il settantatreesimo Festival di Sanremo. Come previsto ha vinto Marco Mengoni, il quale ha interpretato in modo impeccabile Due vite, un brano tecnicamente impegnativo anche se forse non destinato a diventare un classico. Mi è dispiaciuto che Tananai sia stato scavalcato in classifica da Lazza, Mr. Rain e soprattutto da Ultimo... anche se mi pare già tanto che il cantautore romano non sia arrivato secondo insidiando addirittura il primo posto di Mengoni. Comunque non mi scandalizza il fatto che tra i primi cinque classificati non ci fosse neanche una donna: Giorgia, sulla quale puntavo parecchio a tal punto da averla scelta come capitana al FantaSanremo, si è rivelata deludente, riguardo a Madame, andrò in controtendenza, ma proprio nun me piace, Elodie è stata brava ma non eccezionale... L'unica donna che presentava un brano davvero di mio gradimento era California dei Coma_Cose, premiati per il miglior testo.
Ma ora basta parlare di Sanremo 2023: facciamo un tuffo nel passato. Un caso fortuito ha voluto che di recente la sottoscritta abbia avuto il piacere di entrare in contatto su Facebook con Veronica Ventavoli, la quale aveva partecipato a Sanremo 2005 con il brano L'immaginario, che ricordavo benissimo. Per curiosità sono andata a vedere che fine avessero fatto gli altri partecipanti a quell'edizione... ed ho scoperto con sgomento che Enrico Boccadoro, interprete di Dov'è la terra capitano che raccontava speranze e delusioni dei migranti, è scomparso nel 2017 all'età di soli 42 anni.
A proposito di emozioni, nel guardare questa interpretazione della splendida No potho reposare da parte di Andrea Parodi, il quale di lì a un mese sarebbe morto di tumore, mi sono prima venuti i brividi, poi alla fine sono scoppiata in un pianto dirotto. Straziante! :'-(
[Cosa c'entra con Sanremo? Beh, Parodi era una delle voci dei Tazenda, i quali avevano riscosso un gran successo a Sanremo 1991 insieme a Pierangelo Bertoli con Spunta la luna dal monte, irresistibile mix di lingua italiana e sarda. Piccola nota dal sapore amaro: nel testo c'erano i versi «tue n'dhas solu chimbantunu/ma paren' chent' annos», tu ne hai solo cinquantuno ma sembrano cento anni. E 51 anni è l'età che aveva Parodi quando è morto nel 2006]
Anche quest'anno a ciascuna delle co-conduttrici del Festival di Sanremo è stato concesso il momento del monologo, giusto per dar loro modo di dimostrare che non erano lì solo per ricoprire il ruolo delle belle statuine, ma avevano addirittura qualcosa da dire. Fastidiosamente autoreferenziale l'influencer Chiara Ferragni, la quale stasera torna sul palco dell'Ariston e non vedo l'ora (si fa per dire) di scoprire cos'altro si inventerà, intensa e impegnata la giornalista Francesca Fagnani, che – l'ho scoperto solo adesso – è da dieci anni la compagna del ben più anziano e noto collega Enrico Mentana, schietta e autentica, a dispetto del "gobbo" che non essendo del mestiere leggeva con poca disinvoltura, la pallavolista Paola Egonu. Ma quella che mi ha colpita di più in positivo, ieri sera, è stata l'attrice e scrittrice – ha pubblicato quattro romanzi – Chiara Francini, che fino a quel momento non mi era piaciuta: nemmeno la sua evidente toscanità era riuscita a rendermela simpatica... e io tipicamente i toscani li adoro! ;-) Comunque si è riscattata alla grande appunto col suo monologo, ahimè andato in onda a notte fonda, ben più tardi rispetto allo spazio concesso alle sue colleghe; ho potuto guardarlo in diretta solo perché oggi non lavoro e non dovevo svegliarmi presto.
Arriva un momento nella vita in cui è chiaro che sei diventato grande: quando hai un figlio.
Ora io un figlio non ce l'ho, però credo che sia una di quelle cose dopo la quale è chiaro che non potrai essere più giovane come quando avevi sedici anni, con il liceo, la discoteca e il motorino. E c'è un momento in cui tutti intorno a te cominciano a figliare. È una valanga.
Ma... inizia sempre da una che lo sapevi che sarebbe diventata mamma prima di tutte. Nel mio caso, la Lucia.
C'è stato un giorno, dopo qualche anno dalla fine del liceo, che la Lucia mi aveva chiesto di vederci. Era pomeriggio, eravamo al bar della piscina, e lei mi guardava tutta emozionata, e io anche un pochino perplessa di tutto questo entusiasmo. Stava lì e non diceva nulla. E poi a un certo punto, con una faccia che non le avevo mai visto mi fa: «ODDIOOOOO!!! Finalmente te lo posso dire! Sono incinta!».
Incinta. Quando qualcuna ti dice che è incinta e tu non lo sei mai stata, non sai mai che faccia fare. Quando qualcuna ti dice che è incinta e tu non lo sei mai stata, c'è come qualcosa che ti esplode dentro, una specie di buco in mezzo agli organi vitali, e mentre accade tutto questo tu devi festeggiare, perché la gente incinta è violenta, e vuole soltanto essere festeggiata. E non c'è spazio per la tua paura, per la tua solitudine: tu devi festeggiare. Come l'albero di Natale che tengo nel mio salotto, un albero di Natale sempre acceso, un albero di Natale assolutamente insensato che continua ad accendere le sue lucine anche a luglio, fuori tempo massimo. Una festa continua senza nessuna natività. E io ho festeggiato. «Ma dai, Lucia, ma è stupendo!»... e poi, non sapere più che cosa dire.
E quello era soltanto l'inizio, perché di lì a poco mi pareva che tutti intorno a me avessero avuto, stessero avendo, o avrebbero avuto un figlio. Passeggini, passeggini ovunque. Un esercito di donne coi capelli corti e di maschi stempiati con la panza che spingono passeggini con dentro neonati mostruosi e pieni d'amore. E io, e io, e io che continuavo a fare le mie cose sempre meglio, con sempre più persone che mi guardavano e mi amavano.
E poi. E poi io a un certo punto mi sono accorta che se non mi sbrigavo io forse un figlio non ce l'avrei mai avuto. E che anche se mi sbrigavo, poi, non era mica detto. Perché poi anche quando ti decidi poi, magari, il corpo ti fa il dito medio e allora tu pensi di aver aspettato troppo, di essere una fallita.
La parte più difficile di fare un figlio è immaginarselo. Immaginarsi come sarà. E se poi fa delle cose che io non condivido? E se poi viene troppo diverso da me? Beh, nel mio caso di sicuro verrà diverso da me!
Ma io [entra in scena una carrozzina] vorrei sapere come faccio con te, bambino. Ancora non sei nato, ancora non so neanche se riesco a farti nascere che già non ci capiamo?
Io te lo dico, eh? Avere una mamma come me ti creerà soltanto un sacco di problemi. Io so, e quasi spero, che se sarai maschio sarai gay, e io t'amerò senza una fine. Però forse preferirei che non lo fossi, perché per te sarà più difficile, e io vorrei che per te fosse facile.
Ti prego, vienimi su brillante, con la battuta pronta. Odia, odia, odia ciò che si deve odiare, odia l'ingiusto, odia il male, perché è soltanto con quell'odio lì che si fanno le cose. Non è vero che si fanno con l'amore. Sì, con l'amore si fanno certe cose, ma il grosso si fa con quell'odio lì. Profondo, viscerale, instancabile. Ti prego, non essere una di quelle creature troppo buone, perché sennò dovrai passare tutta la vita a difenderti, e c'è il caso che tu venga una creatura meno capace di guardare, meno capace di camminare. Io vorrei fare come la mia mamma, che non mi ha mai preso nel suo lettone. Piangerai nel tuo letto. Devo essere abbastanza forte da lasciarti piangere. Non devo essere debole.
Ma lo vedi come parlo? Come se tutto dipendesse da me, come se tu non esistessi ancor prima di esistere.
Io da qualche parte penso di essere una donna di merda perché non so cucinare, perché non mi sono mai sposata e perché non ho avuto figli. Io lo so che razionalmente non è così, però c'è questa voce, esiste, e io alla fine penso che abbia ragione lei, che io sia sbagliata.
E io già lo so, bambino, tu mi porterai via tutta la creatività, tutta la luce, ci sarai soltanto tu al centro della scena e io sarò una semplice comparsa e poi diventerò grande e poi diventerò vecchia e non potrò più far finta che il tempo non stia passando, perché ci sarai tu a ricordarmi in ogni momento che la mia gioventù è finita. E io penso che mi farai così felice che poi non mi farai mai così felice, perché è così che vanno le cose della vita: non sono mai come te le eri aspettate. E io t'aspetto e ti desidero così tanto che sarai per forza una delusione.
Ma come parlo...? Ma che mamma sono? No, ancora non sono una mamma...
Ma quanto m'è costato diventare come sono? E quanto costerà a te?
E in mezzo a tutto questo bisogno di arrivare, in mezzo a questo amore, a questa vita io, io forse non so più dove metterti.
O forse penso che sei tu che non vuoi venire da me, perché pensi che io mi sia dimenticata di te, che io mi sia dimenticata della vita.
Ma io volevo soltanto essere brava, io volevo soltanto essere preparata, io volevo soltanto che tu fossi fiero di me.
Anche se ancora non ci sei.
Forse, perché ci sei sempre stato.
Ebbene, quasi tutti questi concetti ed emozioni li sento molto miei. L'idea di avere un figlio non l'ho ancora accantonata definitivamente, anche se sono più grande di tre anni rispetto alla Francini, ma sono ben consapevole che se avessi l'incredibile colpo di fortuna di diventare mamma non potrei di certo mantenere il mio attuale impiego, che mi vede fuori casa per quasi dodici ore al giorno con rarissime occasioni di smart working. Purtroppo né io né il mio compagno possiamo contare sull'aiuto di parenti e amici; nessun nido ti tiene i bambini così a lungo, bisognerebbe sopperire con le babysitter... ma se fai un figlio per affidarlo a persone estranee e vederlo solo all'ora di cena, quando magari sei troppo stanca e stressata per dedicargli tutto l'affetto e l'attenzione che merita, allora non è forse meglio lasciar perdere? La pressione sociale fortunatamente non la sento più di tanto... anche se qualche anno fa mi sono beccata una frecciata tanto più terribile perché inattesa da una persona cara che oggi non c'è più, e se ci ripenso sento ancora un male cane.
Meno di un mese fa mi sono sottoposta a un accertamento ginecologico. Il medico mi ha domandato da quanto tempo non avessi il ciclo e io, illudendomi che fosse una normale conseguenza della (in fin dei conti piccola e non preoccupante) cisti ovarica che mi era stata riscontrata, ho risposto «Dall'inizio di novembre». Dalla reazione del dottore ho capito che non era affatto normale: «Può darsi che lei stia entrando in menopausa», è stato il responso che finora avevo negato a me stessa, e che mi ha colpita come uno schiaffo. Guarda caso, pochi giorni dopo il ciclo è ritornato... ma so bene che alla mia età le probabilità di rimanere incinta, portare a termine la gravidanza senza problemi e partorire un bimbo sano si affievoliscono di mese in mese. Cosa dire... c'est la vie. :'-(
A proposito di belle sorprese di questo Festival, un accenno se lo merita anche Tananai. Quando l'altra sera si è esibito per la prima volta presentando una classicissima canzone d'amore, peraltro interpretata pure decentemente dal momento che il giovanotto ha preso lezioni di canto per far dimenticare le tremende stecche dell'anno scorso, la prima reazione della sottoscritta, che finora l'aveva apprezzato in vesti ben più scanzonate, è stata di delusione: ma che è 'sta roba?!
Ebbene, devo ammettere che non avevo capito niente. Il brano in realtà è la struggente storia di un amore a distanza fra un uomo e una donna separati dalla guerra in Ucraina; lo si poteva intuire dal testo, che parla di «palazzine a fuoco» e rivendica che «noi non siamo come loro» ("loro" sono i russi invasori, immagino). E il video è commovente come pochi.
Qualche settimana fa Tananai, che l'anno scorso si era classificato ultimo diventando però popolarissimo nei mesi successivi, ha annunciato scherzosamente, riguardo all'eventualità di poter fare il "bis": «Io ultimo? No, mo' basta. Se capisco che sto arrivando ultimo, mi faccio squalificare». Ma non dovrebbe esserci questo rischio, visto che quest'anno lui è piazzato piuttosto bene in classifica. Secondo me merita il podio, senza dubbio più di... Ultimo, da me ribattezzato 4 anni fa "nomen omen" (e da allora non ho cambiato idea).
Stasera condivido la traduzione dall'inglese, corredata da un po' di link esplicativi, dell'articolo 50 Signs You’re a Programmer Geek (50 segni che sei un programmatore geek, in realtà sono 51) trovato sul blog di Finxter; l'autore Christian Mayer ha riconosciuto di aver attinto da numerose fonti online per pubblicare questo elenco.
Considero 256 un bel numero tondo [perché è uguale a 28, NdC].
Mi irrito quando 10K significa 10000 [per gli informatici il prefisso k esprime il fattore 210 = 1024, non 103 = 1000, NdC].
Ho scritto un programma inutile solo per "divertimento".
In effetti, preferisco scrivere programmi inutili.
Comincio a contare da 0 e finisco con 1 in meno rispetto a tutti gli altri.
Scrivo "uguale a" come == e "diverso da" come !=.
Capisco (0x2b||!0x2b)[2b or not 2b, to be or not to be, essere o non essere, NdC] e lo trovo divertente.
So dove trovare i tasti delle {parentesi graffe} senza guardare.
Chiamo le frasi di testo "stringhe".
Sogno in codice [a questo io non ci sono ancora arrivata, però mi sogno spesso intenta a scervellarmi al computer, NdC].
Mi riferisco al mangiare e al bere come upload.
Mi riferisco all'uso del bagno come download.
Uso spesso parole come iterazione, implementazione, contiguo, versione, array, polimorfico, parsing e WTF in conversazioni informali.
Quando qualcuno mi chiede quali lingue parlo, rispondo «Python, C++, JavaScript e Solidity» [questa non rende bene tradotta in italiano, perché in inglese "language" significa sia "lingua" sia "linguaggio" (di programmazione), NdC].
Sento la parola "scuzzy" e non penso che sia una brutta cosa ["scuzzy" in inglese significa "schifoso", ma è anche il modo in cui si pronuncia SCSI, NdC].
Prendo le cose troppo alla lettera. Ad esempio, mia moglie si arrabbia quando chiede «Vuoi portare fuori la spazzatura?» (no) invece di «Porterai fuori la spazzatura?» (sì).
Rispondo alle domande in modo troppo logico. Ad esempio, quando una cameriera mi chiede «Vuole un caffè o un tè?» rispondo «Sì».
Rispondo alle domande negative in modo tecnicamente corretto ma imbarazzante. Quando mia madre mi chiede «Non ti andrebbe un bicchiere di latte?» rispondo «Sì, non mi andrebbe un bicchiere di latte».
Mi riferisco al fare sesso come alla creazione di una LAN!
Quando commetto un errore o dico qualcosa che non avrei dovuto dire, vorrei poter premere Ctrl+Z.
Quando cerco qualcosa su un libro cartaceo, mi sento frustrato perché non posso semplicemente premere Ctrl+F per trovare il testo che sto cercando.
Quando il cassiere di un negozio mi chiede il mio codice ZIP, chiedo di vedere l'informativa sulla privacy del negozio [questa è pressoché intraducibile, perché gioca sull'ambiguità in inglese tra ZIP code, codice postale, e il formato di file ZIP, NdC].
Vengo colto da improvvisi attacchi di nostalgia agrodolce quando penso al mio Commodore 64, Sinclair ZX-81, TRS-80 o Amiga 1000 perduto da tempo [il mio C64 non è affatto perduto, ce l'ho in soffitta anche se non lo accendo da decenni, e di recente ho comprato questo, NdC].
È difficile per me fare una dichiarazione assoluta, perché tengo sempre conto che potrebbe esserci un caso limite.
Eseguo il test unitario del mio partner, aspettandomi risultati deterministici e solidi per un determinato input con condizioni al contorno.
Dico al mio partner di «smetterla di lanciare eccezioni che non intendo catturare».
Mi invio degli appunti tramite e-mail piuttosto che scriverli.
Tengo un mouse più della mano del mio partner.
Concludo le mie frasi con un punto e virgola...
... in realtà non più da quando ho scoperto Python.
Do per scontato che la maggior parte delle persone ami il proprio lavoro come lo amo io.
Preferirei mandare un messaggio al tipo nella stanza accanto piuttosto che parlargli.
La notte e il sonno non sono più irrevocabilmente legati.
Penso che queste battute sulla programmazione siano esilaranti.
Penso che xkcd sia il fumetto online più divertente di sempre.
Ho più di un monitor [fino al 2018 non sapevo cosa volesse dire lavorare con un monitor esterno, adesso non posso farne a meno neanche a casa, e a questo punto neppure mi basta più!, NdC].
Ho più indirizzi email che paia di scarpe.
Il numero di computer in casa mia supera il numero di relazioni sentimentali che ho avuto nella mia vita.
Gestisco un server Web a casa.
Invece di giocare sulla mia Xbox, ho impostato un nodo Bitcoin.
Porto una chiavetta USB in tasca ovunque io vada.
So cos'è un router e so cos'è un bit, ma non so cosa sia un router bit [se non sbaglio vuol dire "fresa per taglio", che in effetti non so bene cosa sia, NdC].
Ho aiutato mia nonna a creare il suo blog.
Parlo al mio computer nel modo in cui la maggior parte delle persone parla con la propria dolce metà.
Mi mando un'e-mail per ricordarmi di fare qualcosa.
Creo meccanismi elaborati per eseguire compiti elementari.
Quando leggo una rivista e vedo un passaggio sottolineato, mi sento in obbligo di cliccarci sopra.
[La sottoscritta si riconosce in particolare nei punti seguenti: 3, 7, 12, 18 (alternato all'utilizzo dell'underscore), 19, 23, 24, 30, 31, 35, 36 (questa era verissima quando ero più giovane), 37, 40, 42, 45, 49, 51]
È notizia di oggi: «Il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha deciso che l’anarchico Alfredo Cospito dovrà rimanere al regime carcerario del 41-bis, respingendo l’istanza di revoca che era stata presentata dall’avvocato di Cospito, Flavio Rossi Albertini. Cospito, detenuto prima nel carcere di Sassari e ora in quello di Opera a Milano, sta facendo da più di cento giorni uno sciopero della fame contro il regime carcerario a cui è sottoposto. La decisione di Nordio era ampiamente attesa ed era già stata anticipata pubblicamente dal ministro».
Il caso Cospito è divenuto assai discusso nelle ultime settimane, soprattutto dopo l'inqualificabile discorso del deputato di Fratelli d'Italia Giovanni Donzelli, imbeccato dal sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro. Io al riguardo sono abbastanza combattuta: è vero che reati così gravi meritano una pena esemplare, ma è fuor di dubbio che un regime severo come il 41-bis contrasti con l'articolo 27 della Costituzione – secondo il quale «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato» – e se abbinato all'ergastolo ostativo mi sembra perfino peggiore della pena di morte, non ammessa dal nostro ordinamento.
Il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni.
... e il testo dell'Amaca di Michele Serra pubblicata su Repubblica il 4 febbraio scorso con il titolo L'uomo che non sa che lavoro fa.
Come si fa a spiegare a uno come Andrea Delmastro concetti come “diritti dei detenuti”, “doveri dello Stato” e - addirittura - “Costituzione”? E come è possibile fargli capire che se un parlamentare, in carcere, incontra un mafioso al 41 bis, non si tratta di un “inchino alla mafia”, ma dell’accertamento delle condizioni di una persona detenuta, prerogativa concessa a tutti i parlamentari (ne fece ampio uso il Salvini per portare solidarietà, in carcere, a svariati sparatori di ladri?)
La risposta è semplice: non è possibile spiegargli niente di tutto questo. Non gli interessa capirlo, non vuole capirlo, gli costerebbe troppo capirlo. Decidete voi quale di queste ipotesi è la più probabile. Io propendo per la terza: ci sono persone che non possono permettersi il lusso di capire quello che stanno dicendo, quello che stanno facendo. Ne sarebbero sopraffatte.
Il problema è che questo signore è viceministro della Giustizia, ma l’importanza e le responsabilità del suo incarico sembrano sfuggirli. Benevolmente, possiamo supporre che intenda servirsi della sua carica per avvantaggiare la sua fazione e danneggiare l’opposizione - non sarebbe il primo. Ma è un’ipotesi fausta. Quella infausta è che Delmastro sia un uomo che non sa che lavoro fa. Crede di essere ancora il giovane e animoso fascista di Gattinara (Vercelli) che fu in gioventù. Qualcuno gli spieghi che, entrando nel governo di Roma, ha giurato fedeltà alla Costituzione, e soprattutto gli spieghi che cos’è. I suoi amici - ne avrà pure - capiscano che è una persona bisognosa di soccorso e di buoni consigli. Di qui in poi può solo peggiorare la sua posizione.
Questa sera condivido un video breve – una ventina di secondi – pubblicato sul canale YouTube Rinascimento Culturale, nel quale il filosofo Umberto Galimberti fa un'osservazione che magari può sembrare non particolarmente originale... almeno finché non ci si sofferma a rifletterci su.
E però la cosa più bella, perché ogni tanto capitano questi fantastici giochi di parole, è che il telefonino ha lo stesso nome del mezzo di trasporto dei detenuti: cellulare. E questo dovrebbe farvi riflettere. Grazie.
Il video si intitola Commenta la prima cosa che ti viene in mente, ma un po' perché non mi è venuto in mente niente di speciale riguardo a questo tipico esempio di polisemia, un po' perché non vedo l'ora di spaparanzarmi sul letto davanti al televisore acceso sul Festival di Sanremo per un'altra oretta prima di arrendermi al sonno, cedo la parola a chi dovesse passare da queste parti e avesse qualcosa da dire. Non deludetemi, please! ;-)