Ieri mattina, aprendo
Feedly, ho letto il
post appena pubblicato dalla giornalista
Concita De Gregorio nel
blog dedicato a raccogliere le storie inviategli dai lettori. Una donna di Roma ha un figlio di quasi 11 anni iscritto alla
prima media presso una scuola nelle immediate vicinanze di casa. Il problema è che l'istituto impone che alle ore 14
sia presente un genitore o un delegato maggiorenne all'uscita della scuola per il rientro a casa, e questo è un problema in quanto sia la signora sia suo marito
lavorano a tempo pieno all'altro capo della città; finora hanno fatto ricorso a babysitter e aiuti vari, ma speravano che il passaggio alle medie li avrebbe alleggeriti di spese e pensieri, vista l'
autonomia oramai raggiunta dal figlio, il quale «
va al parco in bici da solo, resta a casa da solo da qualche anno, ha imparato ad attraversare la strada, sa prendere i mezzi pubblici e sa come e dove si oblitera il biglietto, e dove si acquista». La proposta di rilasciare una
liberatoria alla scuola per esimere la preside e i professori da qualsiasi responsabilità non è stata accolta. La De Gregorio conclude così: «
Il ritorno a casa da soli è un momento della vita che ricordiamo tutti come un passaggio di libertà e indipendenza. Se la scuola è vicina e l'itinerario sicuro mi pare che l'eccesso di premura sia più legato a un bisogno degli adulti che alla crescita dei ragazzi. Togliere le mani a volte aiuta più che stringere la presa».
A quanto pare il maggior rigore imposto dalle scuole è legato a una
sentenza della Cassazione che ha respinto il ricorso del ministero condannato a pagare parte dei danni morali alla famiglia di un ragazzino undicenne morto alla fermata dello scuolabus davanti a scuola quattordici anni fa.
Proprio ieri la ministra dell'Istruzione
Valeria Fedeli è intervenuta al riguardo, sottolineando che
la legge è legge – in genere sono io la prima a dirlo, ma le leggi non sono eterne ed immutabili, e quando è il caso si possono sempre correggere e migliorare – e concludendo che «
è anche un grande piacere per i nonni andare a prendere i nipotini», un piacere che purtroppo lei non può concedersi a causa dei suoi impegni istituzionali. Evidentemente, nel mondo fatato della ministra Fedeli, tutti gli altri nonni sono abbastanza anziani da essere già in pensione, ma al contempo abbastanza giovani e in buona salute da poter badare ai nipoti. (Proprio l'altroieri
Dania ha raccontato la sua esperienza al riguardo) L'eventualità che vivano in un'altra città, o che non ci siano più, sembra non passarle neanche per l'anticamera del cervello. Lia Celi
ha definito Valeria Fedeli «
l'unico ministro capace di far incazzare studenti, genitori e nonni»... e aggiungerei chi genitore non lo è ancora, come la sottoscritta. :-/
Rimanendo nell'ambito delle questioni che rientrano nelle competenze del Ministero dell'Istruzione,
particolarmente discussa negli ultimi tempi è l'
alternanza scuola-lavoro, obbligatoria per tutti gli studenti dell'ultimo triennio delle scuole superiori, e introdotta dal governo Renzi con la riforma della
Buona Scuola approvata nel 2015. Premesso che personalmente l'idea non mi convince granché, negli ultimi giorni ho letto due opinioni abbastanza favorevoli e piuttosto ben argomentate, e desidero condividerle qui di seguito. C'è l'
articolo scritto da
Alessandro Maggioni per
Gli Stati Generali, dal quale estrapolo alcuni passaggi chiave...
Poi, al tempo dell'Università, mi son messo a fare il furgonista. Ritiravo materiale elettrico un giorno a settimana a Milano e nel suo hinterland. Anche qui mi divertivo dannatamente; imparavo strade nuove, scorciatoie, percepivo "le strutture dello spazio antropico" e la morfologia urbana reali che intanto studiavo sui libri di Gianfranco Caniggia e di Aldo Rossi, conoscevo posti belli e altri di merda, capivo che il "lavoro" non di concetto o intellettuale ha una sua grande, sconfinata, nobiltà. E, soprattutto, insegna molto: organizzazione, resistenza alla fatica, necessità di adattamento, pragmatismo e pazienza.
[...]
A questi giovani, che usano la parola "operaio" come se fosse uno stigma, che non lavano i piatti perché non sanno manco come si inizia a farlo e che si riempiono la bocca di frasi fatte dico solo una cosa: rivendicare diritti – sacrosanti – è il termine di un percorso che vede prima lo sforzo di praticare doveri.
E io oggi, tra un laureato che ha fatto prima il lavapiatti e uno che spiattella dodici titoli, senza aver capito un accidente della vita, non ho dubbi: scelgo il primo.
... e il
post di Carolina Ballada, del quale riporto qui di seguito la prima parte.
E INVECE LAVARE I PIATTI È FORMAZIONE, ECCOME.
Lo dice una che i piatti li ha lavati, all'estero, di notte e per meno di 4 pound all'ora.
Cosa potrebbero imparare gli studenti lavando qualche piatto a gratis da Mc Donald?
In breve:
- Quanto poco ne sanno del mondo del lavoro e delle sue dinamiche.
- L'umiltà.
- Come ci si comporta sul posto di lavoro
- Il rapporto con il cliente, con i colleghi e con i superiori.
- Il rispetto.
- La puntualità.
- La responsabilità.
- Che nella vita per ottenere qualsiasi cosa ci si deve fare il mazzo.
- Che non esistono pasti gratis.
- Che la vita è migliore se hai ambizione.
- Che buona parte di tutto quello che hai studiato a scuola, nella vita reale, è praticamente inutile.
- Che la cosa che conta di più, nel mondo del lavoro, è saper imparare. E saperlo fare in fretta.
- Cosa sia un business di successo.
- Che cosa significhi partire dal basso.
- Che stare in basso non è il massimo e quindi è meglio se ti applichi e ti impegni per migliorare.
- Che oggi lavori gratis perché sei studente e che domani, se non saprai fare un cazzo, lavorerai gratis (o quasi) comunque, nonostante i tuoi titoli accademici.
E in effetti io stessa, essendo stata indotta dalle circostanze a svolgere per nove anni un lavoro da impiegata che aveva ben poco a che vedere con la mia maturità scientifica e ancor meno con la mia laurea in ingegneria, devo riconoscere che mi è servito al di là delle mie aspettative, anche se non ho mai smesso di aspirare a qualcosa di meglio. Rimane il fatto che nel caso dell'alternanza scuola-lavoro si tratta di lavoro gratuito, assimilabile quindi a una forma di sfruttamento. Molti hanno osservato, ironicamente ma non troppo, che in questo modo i ragazzi si abituano per tempo all'andazzo che troveranno quando finiranno gli studi, e nel mondo del lavoro cercheranno di entrarci per davvero... ;-)