Giorni fa sono andata dal mio medico di famiglia perché avevo bisogno di alcune ricette, tra cui la prescrizione delle analisi del sangue e delle urine, che tipicamente eseguo con cadenza annuale. Già che c'ero ho chiesto alla dottoressa:
«È da agosto che non ho le mestruazioni... Dopo quanti mesi ci si deve considerare in menopausa?»
«Dopo dodici mesi, di solito»
«Ma per saperlo con certezza ci vuole una visita ginecologica?» (Per quest'anno non ne ho in programma)
«No, in genere sono sufficienti degli esami del sangue, che le prescrivo. Poi quando avrà i risultati me li porti, così li valutiamo insieme»
L'altroieri, 14 febbraio, sono andata a fare le analisi. Sul foglio che mi è stato rilasciato c'era scritto che i risultati avrebbero dovuto essere pronti il 16 febbraio, cioè oggi, ma già la sera stessa mentre ero a cena col mio compagno per la festa degli innamorati – per citare un mio "facciamico", «non credo a San Valentino, credo a qualsiasi scusa mi porti al ristorante» ;-) – ho ricevuto un SMS che mi informava che il referto era disponibile nel mio fascicolo sanitario elettronico. Non appena sono rientrata a casa l'ho scaricato, stampato e gli ho dato un'occhiata. Colesterolo alto a parte — non mangio poi così male, temo che l'effetto combinato dei geni ereditati da papà e mamma si stia facendo sentire, e sarà il caso di correre ai ripari — ho esaminato i risultati dei dosaggi ormonali legati al mio stato di fertilità. Ebbene, mi riservo di parlarne con la dottoressa con la quale ho appuntamento martedì prossimo, ma ho notato almeno un paio di valori contenuti all'interno di una gamma contrassegnata da una parola inequivocabile: menopausa.
A settembre prossimo saranno dieci anni che io e il mio compagno stiamo insieme, otto che conviviamo, ma non abbiamo mai parlato concretamente di mettere in cantiere un bambino, anche perché per poterlo fare, non avendo peraltro parenti stretti su cui poter contare, avremmo dovuto rivoluzionare le nostre vite; nel mio caso in particolare sarebbe stato impensabile conservare il mio attuale impiego, che mi tiene fuori casa per quasi 12 ore al giorno, e al massimo avrei potuto cercarne un altro, magari meno qualificato e part-time, che si potesse svolgere da remoto oppure in una sede molto più vicina a casa.
Una parte di me ha da tempo la sensazione di non avere più le energie per sostenere un impegno così importante. Oltretutto io sono nata quando mamma aveva 42 anni, un'età alla quale all'epoca (ri)diventare madri non era affatto così frequente come oggi, e pur essendole profondamente grata per non aver dato retta al ginecologo che le consigliò di "pensarci bene" prima di portare avanti la gravidanza "alla sua età" (tradotto: non sarebbe il caso che abortisse?), sono sempre stata del parere che i figli fosse meglio averli da giovani. E oramai i 42 anni li ho superati da un pezzo. Inoltre temevo che la mia indole al contempo ansiosa e un po' distratta potesse fare di me una pessima madre.
D'altra parte vedo diventare mamme donne alle quali non affiderei neanche un criceto, e la mia mente accarezzava l'idea che con l'aiuto del mio compagno avrei potuto farcela a crescere come si deve e con tanto amore una creatura che avrebbe rappresentato il coronamento del nostro rapporto, nonché il nostro "bastoncino della vecchiaia"... Ma no, scherzo, questa era la definizione che mia madre soleva dare di me; sta di fatto che l'ho delusa (anche) sotto questo aspetto, perché i suoi ultimi anni di vita li ho trascorsi a 600 chilometri di distanza da lei, pur tornando a farle visita più spesso che potevo.
Ogni tanto il mio compagno diceva con tono semiserio che gli sarebbe piaciuto avere da me una piccola "ingegnere capo"... e questo mi faceva sentire amata e gratificata, anche se tra me e me temevo che potesse essere troppo tardi.
E niente, è andata a finire che con ogni probabilità il mio tempo è scaduto sul serio. A questo punto, se proprio non volessimo rinunciare a diventare genitori, ci sarebbero due strade percorribili:
- La fecondazione in vitro con donazione di ovociti, visto che i miei ormai sono "andati a male" e non li ho congelati quando avrei potuto. Non mi dispiacerebbe mettere al mondo una creatura con un corredo genetico che non mi appartiene, mi basterebbe portarla in grembo... ma rimarrebbe il problema di cui sopra: l'età avanzata. Senza contare il fatto che un percorso del genere, con relativo bombardamento ormonale, sarebbe parecchio oneroso dal punto di vista fisico ed emotivo.
- L'adozione — se il bambino è già un po' grandicello il problema della differenza d'età si riduce, ma in compenso è probabile che ne sorgano degli altri — è un percorso anch'esso difficile, sotto altri aspetti, e per portarlo avanti e sopportare e superare le inevitabili criticità che esso comporta ci vuole una forza d'animo che io non credo proprio di possedere.
Raramente, se non mai, mi sono spinta così tanto sul personale su questo blog, ma questa volta sentivo il bisogno di farlo. Non soltanto perché sono 48 ore che scoppio in lacrime in continuazione a causa di questa amarissima consapevolezza che mi ha travolta — e manco a farlo apposta, sarà che in questo momento sono ipersensibile al riguardo, tra ieri e oggi sembrava che in ufficio tutti volessero parlare di figli, e ieri il collega trentatreenne che a breve ci lascerà per trasferirsi in Canada con la sua ragazza ha ammesso di aver aspettato che la loro richiesta di visto venisse accolta per mettere su famiglia con lei, perché sarebbe stato improponibile affrontare un cambiamento del genere con un bimbo piccolo — ma anche per provare a lanciare un messaggio alle giovani coppie che fossero eventualmente "all'ascolto": se davvero desiderate un figlio, non state ad aspettare troppo a lungo il momento giusto, perché a un certo punto potreste rendervi conto che è già passato.