giovedì 28 ottobre 2021

Ritorno... alla lettura

La scorsa settimana ho "approfittato" della malattia per fare un'altra cosa alla quale di norma riesco a dedicarmi molto meno di quanto vorrei, oltre alle costruzioni e al faidaté: ebbene sì, ho letto un libro. (!) Dopo essere venuta a sapere dell'uscita del film tratto dal romanzo (qui il trailer), volendo prepararmi alla visione che spero possa avere luogo a breve, ho prelevato dalla mia libreria, dove mi aspettava pazientemente da un sacco di tempo, e ho "divorato" nel giro di poche ore L'Arminuta – in dialetto abruzzese "la ritornata" – della scrittrice Donatella Di Pietrantonio, la quale nonostante il grande successo dei suoi ultimi due libri, appunto L'Arminuta (Premio Campiello 2017) e Borgo Sud, continua ad esercitare la professione di dentista pediatrico a Penne (PE).

Ebbene, mi limiterò a dire che l'ho trovato straordinario: la storia è davvero coinvolgente, lo stile è tanto asciutto quanto toccante, a tal punto che nei momenti di maggiore pathos leggevo con gli occhi velati dalle lacrime, il che non mi capita quasi mai coi libri.

Riguardo allo stile, per l'ennesima volta ho notato – oh, non me ne sfugge una, di piccolezza! ;-) – una peculiarità dei libri Einaudi, ovvero l'accentazione inconsueta. Come spiegato nel portale Treccani...

La resa dell'accento grafico si è stabilizzata relativamente da poco tempo nella nostra lingua, ovvero nella prima metà del Novecento. Il sistema consigliato prevede l'accento grave nei tre casi in cui è impossibile distinguere tra differenti gradi di apertura delle vocali (à, ì, ù), mentre alterna l'accento acuto con quello grave a seconda della obbligatorietà (o della volontà) di segnalare la chiusura della vocale (perché; córso della Corsica') o, viceversa, la sua apertura (dòsso). Da notare che la o finale è sempre aperta (contò, ohibò, paltò, sospirò).

... e questa è la norma.

Esiste però una consuetudine minoritaria, fatta propria dalla casa editrice Einaudi nelle sue opere a stampa, in base alla quale si adopera l'accento acuto per tutte le vocali considerate chiuse (é, í, ó, ú) e l'accento grave per tutte le vocali aperte (à, è, ò).

Una roba vagamente maniacale: mi piace! ;-)

4 commenti:

  1. Riguardo alla maniacalità, in tutte le sue forme, con me sfondi una porta aperta :-) La faccenda dei diversi modi in cui le case editrici utilizzano gli accenti ha sempre intrigato anche me. A tal proposito mi sono accorto che, in linea di massima, ogni editore fa un po' come gli pare, nel senso che usa gli accenti gravi o acuti a sua discrezione. L'unica consuetudine che accomuna tutti è l'utilizzo dell'accento acuto su avverbi tipo perché, nonché, giacché ecc., anche perché questi richiedono espressamente che sia acuto, altrimenti è errore. Ho notato che, in generale, chi scrive su social o blog tende spesso a utilizzare l'accento grave su perché, e la cosa mi risulta abbastanza fastidiosa (vedi la mia maniacalità? :-))

    Accenti a parte, un altro aspetto che mi ha sempre intrigato è la disposizioni dei virgolettati che contraddistinguono il discorso diretto. Molti editori mettono le virgolette di chiusura dopo i segni di interpunzione, altri prima, anche se prevalgono questi ultimi. La Bompiani, ad esempio, li utilizza così:
    "Stasera non sarò dei vostri," disse Marco, "ma domani ci sarò sicuramente."
    Altre case editrici, invece (la maggioranza), scrivono:
    "Stasera non sarò dei vostri", disse Marco, "ma domani ci sarò sicuramente".

    Una volta lessi in un libro di Severgnini sulla lingua italiana che i virgolettati vanno sempre posti all'interno della punteggiatura e non fuori. Ma, evidentemente, ognuno fa poi come gli pare.

    Per quanto riguarda il libro in questione, ne ho sentito parlare parecchio e bene. Me lo segno, vedi mai che prima i poi...

    RispondiElimina
  2. Anch'io non riesco a fare a meno di trasalire davanti agli accenti sbagliati! ;-) A proposito delle virgolette, ho notato che l'usanza di mettere il segno di punteggiatura prima della virgoletta chiusa è particolarmente frequente nella lingua inglese.
    Quanto a L'Arminuta, è inconcepibile che un divoratore di libri come te non l'abbia ancora letto: devi assolutamente colmare questa lacuna quanto prima! ;-)
    Scherzi a parte, te lo consiglio senz'altro. Qua e là ci sono delle frasi in dialetto abruzzese ma, anche se non sono la persona più indicata per affermarlo, mi sembra che siano abbastanza comprensibili visto che l'autrice le ha italianizzate pure troppo. Ad esempio, il termine ricorrente "ecco" in dialetto sarebbe "aecch'", che vuol dire "qui".

    RispondiElimina
  3. devi assolutamente colmare questa lacuna quanto prima! ;-)

    Mi hai convinto: domattina vado a prenderlo :-)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ottimo! Spero – e credo – che non rimarrai deluso. :-)
      (Ammetto a malincuore che le biblioteche non fanno per me, che accumulo libri per poi leggerli chissà quando (e se). Solo una volta tanti anni fa ho preso in prestito un libro, era forse I tre moschettieri di Dumas o comunque un volume abbastanza corposo, e scaduto il termine ho dovuto restituirlo senza averlo letto)

      Elimina