L'ultimo dell'anno l'azienda italiana di telecomunicazioni TIM ha lanciato uno spot nettamente diverso dal solito, per la regia del premio Oscar Giuseppe Tornatore; in esso viene affrontato un tema davvero molto attuale, che in quanto donna mi tocca in prima persona.
Se non hai voglia di guardarlo, ti "spoilero" il contenuto: un uomo e una donna entrano in un labirinto, e in corrispondenza dei bivi trovano delle domande la cui risposta determina la direzione da prendere.
- Hai progetti per il tuo futuro?
- Avere figli ti ha penalizzato?
- Guadagni meno del tuo collega?
- Hai mai subito molestie?
Mentre l'uomo raggiunge l'uscita piuttosto in fretta, la donna smarrita si trova davanti l'ennesima parete insormontabile e comincia a colpirla rabbiosamente con il tacco di una simbolica scarpa rossa, mentre una voce femminile fuori campo snocciola alcuni dati tratti dal Global Gender Gap Report 2023 pubblicato dal World Economic Forum.
- Ancora 169 anni per raggiungere la parità economica.
- Ancora 162 anni per la parità politica.
- Ancora 131 anni per le pari opportunità.
Conclude un'altra voce fuori campo, questa volta maschile: «Non c'è più tempo, abbattiamo i muri. La parità non può aspettare».
A me questo spot non convinceva granché fin dall'inizio, ma non avrei saputo spiegare bene per quale motivo, finché oggi non ho trovato le parole giuste nel post del mio "facciamico" Joshua Held, creatore del fumetto i Nasoni...
Spot TIM nel labirinto. Ennesimo esempio di un prodotto che poteva essere, e invece. Carina l'idea, ok, il labirinto, bene, perché no; ma con quelle pareti di polistirolo, le pedane stile COIN che si illuminano, la voce fuori campo in doppiaggese, la donna che, di nuovo – ma davvero? Ancora? – nel cliché della povera irrazionale, sprovveduta, persa, la "pazza", tenta di abbattere un muro usando i tacchi, il tutto risulta dozzinale, didascalico, terribile.
La musica, poi, non c'entra un tubo, è stata appiccicata lì solo perché "muove le emozioni", e noi siamo un paese emotivo, "de core", mica di ingegno. E quindi, "prendiamo una cosa che è già negli orecchi di tutti – volenti o nolenti".
Per scrupolo sono andato a leggere il testo di "The Loneliest" dei Maneskin. È la canzone di una separazione, della fine di una storia: nessuna relazione col contenuto del video (a meno che non si voglia forzare molto il senso delle parole). Un lavoro ben fatto, che volesse differenziarsi e non essere provinciale, sceglierebbe un brano che si incastrasse bene con la situazione o, a volere fare una cosa inaudita – proprio mai fatta prima eh! – sceglierebbe un bravo sound designer per una sonorizzazione sartoriale. Ma, del resto, perché fare qualcosa di interessante, con coraggio, quando con lo stesso sforzo e du' contratti sui diritti ci si toglie prima d'impiccio?
Un messaggio, anche se giusto, quando rappresentato male perde di valore; nessun progresso può essere veicolato con l'approssimazione.
Toh, popolo bue, pigliati sta frattaglia e masticala fino a Sanremo.
... e in un suo commento successivo.
So bene che mettersi a dire "sarebbe stato meglio..." è assurdo. Non sono un art director, non sono un videomaker, non sono un cazzo di nessuno in verità. Ma il fatto che quella cosa sia appiccicata insieme, che si sia pensato solo di martellare un messaggio senza dargli la grazia, la cura necessarie penso sia abbastanza evidente a chiunque abbia visto tre film in vita sua.
Del messaggio del video, a me che ne condividerei la sostanza, non resta nulla. Perché sono distratto e offeso dalla mancanza di cura. Mi viene, anzi, una reazione opposta, mi viene da dire be', se neppure un messaggio come quello della discriminazione delle donne sul lavoro (e nella vita nella sua ampiezza) vi spinge (voi che avete deciso, che avete ideato, approvato e pagato) a lavorare di concerto per fare uno spot bello, amato, curato, se non siete proprio voi a provare affetto per quel messaggio tanto da costruirgli una degna confezione, be', forse siete proprio voi i primi a non crederci.
E se non ci credete voi perché ci devo credere io?
Per controbilanciare, riporto anche l'opinione sicuramente più favorevole della professoressa Giovanna Cosenza (il suo profilo lo trovi qui) al riguardo.
COSA PENSO DELLO SPOT TIM "LA PARITA' NON PUO' ASPETTARE"
Poche ore dopo il discorso di fine anno del Presidente Mattarella, è uscito lo spot che inaugura la campagna TIM "La parità non può aspettare", firmato dal regista premio Oscar Giuseppe Tornatore, con il brano dei Maneskin "Loneliest" come commento musicale (link nel primo commento). Mentre in rete si accende la discussione, dico subito che la campagna è più ampia e prevede queste azioni (che non ho ancora visto):
(1) Un’applicazione chiamata “Women Plus”, che dovrebbe aiutare le donne nella ricerca del lavoro e nei percorsi di carriera.
(2) La collaborazione con l’associazione “DonneXStrada”.
(3) Il fatto che tutti i punti vendita Tim diventino Punti Viola di sicurezza (pare il personale abbia sostenuto corsi di formazione per poter accogliere vittime o testimoni di violenza e molestie).
(4) Il fatto che nel 2024 saranno installate alcune non meglio specificate "cabine digitali" con un tasto dedicato al primo soccorso, anch'esso denominato “Women Plus” per chiedere aiuto da ovunque.
In attesa di verificare l'efficacia e continuità di queste azioni concrete, mi limito a commentare lo spot, come stanno facendo altre/i.
È UNA BUONA NOTIZIA. Che un brand generalista come Tim spenda un bel po' di euro per associare la sua comunicazione al problema della parità di genere non può che essere un'ottima notizia. So già che molti storcono il naso, considerandolo un modo di "cavalcare" a scopi commerciali un argomento che oggi in Italia è già "di tendenza", grazie al successo, da un lato, dei film "Barbie" e "C'è ancora domani" e a causa delle terribili tragedie, dall'altro lato, dei continui femminicidi. Ma io dico: una, dieci, cento, mille di queste campagne. Meglio che i brand che possono spendere soldi lo facciano per parlare di problemi sociali, invece che per parlare di niente e rappresentare scenette vacue e zuccherose.
IL PROBLEMA DELLO SPOT. Lo spot è ben girato (è il minimo, con quel regista), ha una buona fotografia, è decentemente recitato (per quel poco che serviva in questo caso saper recitare), è emotivamente coinvolgente anche grazie ai Maneskin. Il suo problema principale, come è stato osservato da altre/i, è che manca l’aiuto di qualunque figura maschile nel tentativo di abbattere il muro, per fare la qual cosa la protagonista è lasciata sola. È sola a percorrere il labirinto e ancor più sola ad abbattere il muro gigante e massiccio con un unico tacco a spillo. Aggiungo che nel film non manca solo l'uomo, ma anche il contributo di altre donne, non c'è traccia di sorellanza insomma (non a caso la canzone è intitolata alla solitudine). Alla fine, infatti, il muro non cade, ma si sgretola soltanto, e anche in modo minaccioso, rischiando di farle male. Insomma, il lieto fine non c'è (vedi anche l'espressione non allegra della protagonista), ma ne vediamo solo un barlume. Il che è realistico.
È PINK WASHING? So già che molte/i diranno che lo è, perché oggi si tende a diffidare di qualunque operazione commerciale che affronti temi sociali. Ma cosa distingue un'azienda etica, che lavora seriamente sul sociale, da una che fa pink washing o washing di altro tipo? Il fatto che allo spot, alla campagna con luci e suoni seguano azioni coerenti, di lungo periodo e concrete. Non possiamo dunque dire ora se è pink washing o no, ma dobbiamo attendere per verificare cosa davvero farà Tim di quelle azioni che ha annunciato di fare. E dobbiamo verificare quanto dureranno nel tempo e quanto efficaci saranno. L'impegno di Tim sulla parità di genere è una novità. Sarà autentico impegno sociale? Ai posteri l'ardua sentenza.
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