mercoledì 3 gennaio 2024

Bisogno di staccare

Questa settimana, a differenza del mio compagno, sono in ferie... diciamo forzate, nel senso che l'azienda per cui lavoro è chiusa. Avevo intenzione di approfittare di tutto questo tempo libero per fare un po' di quelle cose che, a causa dei ritmi oserei dire forsennati che mi toccano nelle settimane lavorative, non riesco mai a fare... ma siamo già a mercoledì e ho combinato poco o niente, a parte dormire più del solito (ma non bene come avrei voluto). Il fatto che le mie condizioni di salute non siano ottimali da quasi un mese – prima il COVID, poi gli strascichi con presunta infezione da streptococco che però una settimana di antibiotici non pare aver debellato – non aiuta di certo.

Colgo l'occasione per condividere un post pubblicato su LinkedIn da Bianca Arrighini, cofondatrice della startup Factanza (di cui ho recentemente acquistato il libro Capire il presente che, manco a dirlo, devo ancora leggere :-/).

Se ti senti in colpa a staccare, è il motivo per cui dovresti farlo.
Durante le feste molti professionisti si sentono in colpa a prendersi una pausa dal lavoro, o lo vedono come un momento per recuperare il lavoro arretrato con più tranquillità.
E che problema c’è, se ami il tuo lavoro?
Il problema è che amare il proprio lavoro a tal punto da non riuscire mai a prendersi del tempo per staccare può essere un campanello d’allarme da non sottovalutare.
Perché un conto è amare il proprio lavoro, un altro è confonderlo con la propria identità, trasformandolo in un rifugio sicuro dove l'incessante bisogno di produrre e di essere utili trova soddisfazione. E dove è facile nascondere gli altri pensieri.
Ma il bisogno di riposo, di connessione con sé stessi e con gli altri, non possono essere messi da parte troppo a lungo. E la sensazione di colpa che proviamo quando ci prendiamo una pausa è il segno di un evidente conflitto tra il desiderio di soddisfare questa cultura del fare (o di fuggire da noi stessi) e la necessità innata di ascoltare i ritmi più lenti e naturali del nostro essere.
È importante riconoscere che prendersi una pausa non è solo un atto di autocompassione, ma anche una necessità per il mantenimento della propria salute mentale e fisica.
Perché quando stacchiamo, non è vero che “non stiamo facendo nulla”. Stiamo facendo la cosa più importante che esista - ci stiamo prendendo cura di noi.

Concludo con due vignette tratte dalla pagina Facebook I am Programmer,I have no life. (Faccio il programmatore, non ho una vita) che somigliano fin troppo alla copertina del settimanale The New Yorker di cui ho parlato qui. Ma soprattutto rispecchiano il modo in cui il mio compagno stava trascorrendo la sera dell'ultimo dell'anno finché non gli ho "intimato" di venire a farmi compagnia (davanti al veglione televisivo di Raiuno, una roba a tratti talmente deprimente che quasi quasi volevo spegnere e mettermi a programmare pure io ;-) ).


[La vignetta che apre il post è di Silvia Ziche]

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