lunedì 13 settembre 2021

Riti collettivi

Di recente su Facebook mi sono imbattuta nel link all'articolo Perché alcuni preferiscono dormire invece di festeggiare la Nazionale?, tratto dal sito Festival Psicologia. Incuriosita dal titolo – «perché sì!», è la mia risposta: tanto per capirci, la finale degli Europei di calcio l'ho guardata in casa e subito dopo la fine dei vittoriosi calci di rigore sono andata a dormire, anche perché il giorno dopo dovevo andare al lavoro, e notoriamente il sonno è una delle cose a cui tengo di più al mondo ;-) – ho voluto leggere l'articolo... e mentre lo facevo scuotevo in continuazione il capo.

Ecco alcuni dei passaggi che ho trovato meno convincenti, per non dire irritanti.

Le strade di Catania erano talmente tanto gremite da non poter passare oltre. Non era possibile accelerare il passo, sgattaiolare o farsi largo. [Praticamente uno dei miei peggiori incubi! NdC] [...]
I riti collettivi fanno paura perché richiedono un’estrema capacità di mettersi da parte. Farsi da parte, ma anche farsi parte, con relativa perdita di confini e d’individualità a vantaggio della funzione. Nel rito è ciò che viene compiuto a contare e non chi lo compie.
Nella nostra epoca i riti collettivi sono sempre più scarsi. Quelli religiosi permangono in alcune parti del Sud Italia, quelli laici sono pressoché scomparsi. Forse gli unici momenti di condivisione collettiva li offre lo sport, il calcio e la Nazionale su tutti. La recente vittoria degli Europei da parte dell’Italia ha restituito qualche stralcio di questa partecipazione pubblica. Le strade e le piazze inondate dal tricolore, il suono delle trombette sino a notte inoltrata, le persone che si abbracciavano, scordando per un momento il distanziamento sociale ancora impellente a causa delle ultime varianti del Covid.
[...]
Il culto del privato pervade talmente tanto la nostra epoca che, il giorno dopo la vittoria dell’Europeo, sui social network è stato un proliferare di selfie a sottolineare le occhiaie causate dall’insonnia forzata, di recriminazioni perché il chiasso dei festeggiamenti ha disturbato il sonno di chi il giorno dopo lavora.
Migliaia di persone arrabbiatissime rivendicavano il loro diritto a non farsi da parte (tantomeno a far parte del rito). Questa intolleranza per i festeggiamenti, ritenuti frivoli e immorali - secondo quel dogma per il quale l’unica etica è quella del lavoro - nasconde un narcisismo strisciante, una rivendicazione infantile del primato del singolo sugli altri.
C’è una sempre minore disponibilità a restare in penombra per celebrare passioni, sentimenti, valori e traguardi collettivi, senza trasformarli in occasioni per rivendicare la propria “sacrosanta” soggettività o nell’ennesima esaltazione del privato sulla condivisione sociale.

Ieri comunque, mentre tornavamo in auto dal ristorante dove avevamo pranzato, abbiamo costeggiato le mura del parco di Monza, dal lato in prossimità del circuito di Formula 1, durante il Gran Premio... e là fuori c'erano decine di persone, con ogni probabilità prive del biglietto d'ingresso, che potevano godere di un unico aspetto della gara in corso: il rombo assordante dei motori. Oltre, ovviamente, al fatto di vivere quei momenti insieme ad altri appassionati. Io invece sono arrivata a casa, mi sono spaparanzata sul letto, ho acceso il televisore e mi sono goduta in alta definizione la parte finale del GP vinto dal pilota della McLaren Daniel Ricciardo.

Beh, che fossi asociale ne ero già consapevole... e ne ho avuto l'ennesima conferma! ;-)

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