In questi giorni sto smaltendo gli arretrati – accumulatisi durante le ferie, quando non mi toccava trascorrere un paio d'ore al giorno del mio tempo in macchina da sola – dei sempre più numerosi podcast che seguo. L'episodio del 25 agosto del podcast Non hanno un amico di Luca Bizzarri era incentrato sul post pubblicato su Instagram da Marta Pagnini, ex campionessa di ginnastica ritmica ritiratasi dopo le Olimpiadi di Rio 2016 all'età di 25 anni (la carriera agonistica delle ginnaste tipicamente si conclude abbastanza presto). Ne riporto qui di seguito il testo.
Sì è parlato a lungo di quarti posti durante le Olimpiadi di #Paris2024 ed il pensiero è andato inevitabilmente a #rio2016 dove, per pochi millesimi, finimmo la gara ai piedi del podio.
Ho scritto a lungo sulla mia esperienza brasiliana, qui sui social, nel mio libro, nelle innumerevoli interviste… oggi vorrei parlarvi di come mi sento adesso rispetto a quel quarto posto.
Quando sei atleta la tua vita ruota intorno al risultato che porti a casa dopo la “gara che conta” (inteso come quella più importante in quel momento che siano le Olimpiadi o un campionato italiano). Arrivare prima, quarta o ultima condiziona non solo tutto quello che viene dopo in termini di scelte, cambiamenti strategici, dinamiche personali e di gruppo, ma anche la percezione che hai di te stessa. Allenarsi per vincere spesso significa caricarsi automaticamente di una responsabilità che va ben oltre la propria carriera agonistica. A 16 anni (ma anche a 20 e più) è naturale non voler deludere le persone che lavorano con e per te alla tua vittoria. Quando le cose non vanno come dovrebbero e il risultato sperato non viene conseguito l’atleta ha bisogno di supporto, sostegno e aiuto ben maggiori di quando vince, poiché entra in una fase delicata del suo percorso dove è portato a mettere in discussione diversi aspetti del suo essere (talvolta tutto) e perdere completamente l’equilibrio diventa facilissimo.
Dopo Rio ebbi la netta sensazione di avere agonisticamente fallito, poiché la medaglia era alla nostra portata e sapevo che avremmo potuto vincerla.
Oggi invece la sensazione è un’altra. Nell’incredibile passaggio da atleta a ex-atleta c’è stato un momento in cui ho cambiato totalmente la percezione che avevo della mia carriera agonistica. Ció che ritenevo normale (di routine, per intenderci) oggi mi sembra un vissuto prezioso e speciale, con tutti i suoi alti e bassi. Allo stesso tempo non ha più quel ruolo centrale e imprescindibile nella mia vita ma anzi, si posiziona come elemento tra i tanti. In questo quadro il nostro quarto posto di Rio prende un altro colore e tutt’altra valenza. Sorrido nel pensare che quel risultato mi sembrava un fallimento…
Fallimento sarebbe stato tornare a casa essendo la stessa persona di quando ero partita. Avrei fallito davvero se avessi ritenuto quella mancata medaglia lo scopo della mia esistenza e se mi fossi dimenticata di cosa ha significato per me quell’Olimpiade a 360gradi. Per trovare un paragone verosimile potrei dire che, se concludi un percorso di studi e ti laurei in qualcosa non saresti mai in grado di trasferire raccontando tutto quello che hai imparato sui libri e nelle esperienze correlate che hai vissuto. Ecco, per un atleta che partecipa ai Giochi vale la stessa cosa. Le Olimpiadi sono un’esperienza talmente formativa dal punto di vista umano (oltre che sportivo) che è ingiusto e assurdo ridurre quel vissuto ad un “sei arrivato quarto”. Pertanto, la bellezza di una storia di sport la cerco sempre nelle emozioni di chi è sul campo, allo stesso modo, nella reazione dopo una sconfitta o nell’esplosione della vittoria, ricordando sempre che il sogno di un atleta non è sempre e solo l’oro di una medaglia.
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