Francesco Costa ha cominciato l'episodio di mercoledì scorso del suo podcast Morning, il cui ascolto è riservato agli abbonati de Il Post, dapprima parlando dell'articolo de La Stampa – è dietro paywall, ma qui c'è una sintesi – che racconta la paradossale situazione di Montorio dei Frentani, paesino del Molise con 361 abitanti ma oltre mille residenti, perché figli e nipoti di emigranti hanno chiesto il passaporto italiano, con tutti i vantaggi che questo comporta, senza probabilmente aver mai messo piede in Italia né parlare una parola della nostra lingua; poi accennando al referendum il cui scopo è ridurre da 10 a 5 gli anni di residenza legale in Italia richiesti per poter avanzare la domanda di cittadinanza italiana (io ho appena firmato, e se pure tu ritieni che si tratti di una giusta causa sai cosa devi fare); infine ha letto la lettera inviata da un'abbonata de Il Post, che mi ha provocato uno sconforto e un'indignazione indescrivibili. Mi permetto di riportare qui di seguito la trascrizione, invitandoti caldamente ad abbonarti a Il Post, che merita.
Sono nata nel 1990 a Treviso da mamma inglese e papà iraniano. Quando avevo otto anni la mamma si è ammalata, per cui l'anno successivo ci siamo trasferiti in Inghilterra per tentare il tutto per tutto con delle cure sperimentali in un rinomato ospedale oncologico; ho frequentato quindi la quarta elementare nel Regno Unito. Dopo dodici mesi siamo rientrati in Italia; mamma non ce l'aveva fatta. Dopo l'asilo nido, dopo la scuola elementare e dopo le scuole medie, tutte frequentate in Italia, mi sono iscritta al liceo scientifico a Treviso, diplomandomi con voti brillanti. Mi sono iscritta poi alla facoltà di medicina e chirurgia a Bologna, determinata più che mai, e mi sono trasferita a Bologna consapevole del fatto che per tenere tutto insieme avrei dovuto trovare anche un lavoretto; ho anche tre fratelli, infatti, di cui due più piccoli, ed economicamente le cose a mio padre non stavano andando benissimo. Alla fine del primo anno, poi, terminato con tanta fatica e sacrifici, ho perso inaspettatamente anche mio padre, e sono rimasta orfana. È stato davvero difficile; ho lavorato – erano principalmente lavoretti part-time, ripetizioni ai ragazzi, babysitting – per poi avere tempo per studiare. Non ho mai pagato l'affitto con un giorno di ritardo; guardandomi alle spalle non so come ho fatto, ma mi sono laureata perfettamente in tempo, e ho subito proseguito con la specializzazione, che ho conseguito con il massimo dei voti.
Cosa faccio oggi? Oggi ho 34 anni, sono un medico specialista all'ospedale Sant'Orsola, lavoro a tempo indeterminato per il nostro sistema sanitario nazionale che al momento sta passando un periodo di estrema criticità. Come tutti i colleghi ho abbondanti ore in esubero che mai mi verranno pagate, ma sono fiera di me, e so che lo sarebbero anche i miei genitori. Solo che non ho diritto a essere una cittadina italiana. Qui tutti mi chiedono "Ma cosa, ma tu non sei italiana?!". Proprio così: perché quando sono nata ho acquisito la cittadinanza della mamma, quindi sono cittadina britannica. Al compimento dei diciotto anni non potevo inoltrare la richiesta di cittadinanza italiana perché non avevo la continuità di dieci anni di residenza qui, perché quando avevo 9 anni abitavo a Londra. A 22 anni, quando avrei avuto la continuità dei dieci anni, ero già orfana, quindi non avevo più un genitore alle spalle per rientrare nei parametri economici richiesti. Durante i quattro anni di specializzazione ho percepito 1600 euro al mese, cifra probabilmente superiore allo stipendio medio del cittadino italiano, eppure ancora non posso chiederla, questa maledetta cittadinanza, perché quello che veniva accreditato sul conto era solo una borsa di studio; servono almeno tre anni di reddito per poter chiedere la cittadinanza.
Ora, io capisco il concetto "Non ti puoi mantenere, quindi torna a casa tua". Ma qual è casa mia? Ma possibile che io la debba chiedere? Come posso non essere italiana, io? Io che sono nata qui, che sono cresciuta in Italia, che ho studiato qui per 24 anni, che ho faticato per arrivare dove sono, che pago le tasse qui, che lavoro per i cittadini con passione e dedizione; non me lo merito. Anzi, adesso sono anche extracomunitaria dopo Brexit, giusto per semplificare la burocrazia che il nostro paese è molto bravo a gestire. Periodicamente ho l'onore di recarmi all'ufficio immigrazione per avere il permesso di soggiorno, luogo in cui non auguro a nessuno di mettere piede, e dove l'essere umano perde ogni dignità per il modo in cui viene trattato; solo chi lo frequenta può capire.
Ne dico un'altra? Ho 34 anni, sono in Italia da quando esisto, lavoro, pago qui le tasse, e non ho mai votato. Allora forse valgo davvero poco, forse fanno bene a trattarmi come una pezza da piedi in quel posto. Forse faccio comodo, ma non merito una cittadinanza. Dovrei lavorare altri due anni per rientrare nei requisiti per fare domanda, e poi dal momento della richiesta, come per qualsiasi altro cittadino extracomunitario, passeranno almeno quattro anni prima di ottenerla da quando la si richiede avendo tutti i requisiti: sono questi i tempi. Se tutto procede senza intoppi, vuol dire che nel migliore dei casi avrò quarant'anni. Nel frattempo dall'altra parte del mondo una persona X con un parente italiano ottiene la cittadinanza senza essere mai stata in Italia, senza sapere l'italiano. Casa mia è Bologna; nessun posto è casa quanto Bologna, a Bologna ho tutto, e l'Italia potrebbe essere, sì, un paese bellissimo. Mi scende una lacrima perché non è giusto che io... forse sbaglierò, ma mi sento comunque italiana da 34 anni.
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