domenica 15 novembre 2020

Lo strazio di una mamma

Tre giorni fa l'ONG spagnola Open Arms ha pubblicato su Twitter un video che mostra il pianto disperato di una madre migrante per aver perduto il suo bambino in mare in seguito a un naufragio. Il piccolo Joseph, di soli sei mesi, è stato recuperato in arresto respiratorio, e purtroppo i medici non sono riusciti a salvargli la vita.

Credevo che quelle grida strazianti potessero toccare il cuore di chiunque... ma evidentemente non quello di una certa giornalista di Libero – oh, o loro oppure quelli de Il Giornale, si fanno sempre riconoscere – la quale ha avuto il coraggio di twittare quanto segue.

Come se quella povera donna fosse in viaggio di piacere, e non in fuga da un destino di sofferenza inimmaginabile per chi, come noi occidentali, è ben più fortunato.

Il professor Guido Saraceni, nel post che ha scritto al riguardo, ha deciso di occultare l'identità dell'autrice per non esporla alla gogna mediatica... ma io non lo ritengo necessario né opportuno, per due ragioni:

  • il mio blog è assai meno seguito rispetto a quello del prof, e tanto l'identità della "signora" si può reperire con estrema facilità;
  • non si tratta di un messaggio tratto una chat privata, ma di un tweet pubblico in un profilo con migliaia e migliaia di follower. E l'autrice non sembra affatto pentita di averlo scritto, ma anzi insiste nel ribadire il concetto.

La miglior replica a simili meschinità è quest'altro tweet.

Colgo l'occasione per consigliarti di dare un'occhiata al sito Conversations From Calais (e relativi account social), che documenta le conversazioni tra volontari e migranti incontratisi nella città portuale di Calais, in Francia. I visitatori del sito sono invitati a condividere tali scambi di vedute stampandoli e attaccandoli sui muri – il PDF tradotto in italiano si può scaricare da qui – per contribuire a ridare un senso di umanità alla crisi dei rifugiati.

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