Giorni fa avevo accennato di essere in partenza, ma non ti ho ancora raccontato dove sono stata. Beh, se a quell'elenco di piatti tipici avessi aggiunto la bistecca alla fiorentina, avresti intuito senza indugio che la mia destinazione era una delle città più belle del mondo, culla dell'arte e dell'architettura: Firenze, appunto! :-) Ci tenevo a visitarla perché, come scrissi qualche tempo fa, non ci ero mai stata prima, lacuna imperdonabile per una come me... e adesso posso dire che mi rammarico di non esserci andata subito dopo l'esame di maturità, quando le nozioni di Storia dell'Arte erano ancora fresche nella mia memoria.
Malgrado ciò che si poteva immaginare leggendo il mio post dell'altro giorno, l'esplorazione gastronomica non era di certo la ragione principale di questo viaggio... che però è stato soddisfacente anche sotto tale aspetto: ho avuto modo di assaggiare un paio di specialità umili ma gustosissime come la ribollita e i fagioli all'uccelletto, oltre ai famosi cantucci col vin santo (la bistecca e la trippa... no, non me la sono sentita).
Il soggiorno l'avevo prenotato tramite Expedia: ho scovato un'opportunità davvero conveniente presso l'Hotel Kraft, a dugento metri dall'Arno (a detta del concierge, ma secondo me anche meno), poco distante dalla stazione ferroviaria e dalla chiesa di Santa Maria Novella (non ci posso credere, ho linkato Pupo! ;-)), e non me la sono lasciata sfuggire. L'hotel era davvero carino; la stanza era un po' piccola, ma perfetta per le mie esigenze. Il panorama non era il massimo, ma tanto sono stata in giro dalla mattina alla sera... e poi la Camera con vista me l'ero portata da casa. Mi riferisco all'omonimo romanzo la cui prima parte è ambientata proprio a Firenze, da me comprato in quinta liceo quando la prof di Inglese ci assegnò alcuni brani in lingua originale, ma che aspetta da allora di essere letto integralmente dalla sottoscritta... e aspetterà ancora, perché se devo essere sincera non ero in vena di dedicarmici nel corso di questa breve vacanza. L'unico inconveniente della sistemazione è che fra i criteri di ricerca avevo impostato "ristorante in hotel", con l'intenzione di richiedere in un secondo momento il trattamento di mezza pensione (rientrando dopo una giornata intera passata a scarpinare, poter cenare in albergo è una bella comodità)... e soltanto quando ho telefonato per confermare il mio arrivo ho scoperto che nei mesi invernali la cucina è chiusa. Se non altro potevo cominciare la giornata con una ricca colazione a buffet! :-P
Ho visitato tutti i principali punti di interesse della città, dal Duomo a Santa Croce, dal panoramico Campanile di Giotto alla Galleria degli Uffizi; anche se ho avuto solamente un'ora e mezza di tempo per visitare quest'ultima prima della chiusura, fa un certo effetto poter contemplare "dal vivo" quadri che hai sempre visto solo in fotografia, come la Venere e la Primavera del Botticelli. Diverse opere erano "assenti giustificate", alcune perché in prestito in occasione di importanti mostre in giro per il mondo, altre perché in corso di restauro o di trattamento di disinfestazione da insetti xilofagi. Mi sono persa, ahimè, il Museo di Storia della Scienza: quando ci sono passata era ancora aperto, ma la biglietteria era ormai chiusa. Ecco un buon motivo (ma ce ne sarebbero a bizzeffe) per tornare a Firenze prima o poi: del resto era impensabile vedere in soli quattro giorni tutto ciò che vale la pena di essere visto.
Quando avrò dato una sistemata alle trecentotrentasette foto che ho scattato, magari proverò a mettere per iscritto le mie impressioni sulle bellezze che ho visto, anche se sarà pressoché impossibile esprimere qualcosa che non sia già stato detto chissà quante volte da altri. Una cosa, però, ci tenevo a raccontarla subito, perché si riferisce a un avvenimento che merita di essere ricordato.
Lasciandomi alle spalle gli Uffizi e percorrendo il Lungarno in direzione del Ponte Vecchio, il mio sguardo è caduto su un'insegna su cui compariva un nome tristemente noto: Via dei Georgofili. Sedici anni fa quella strada fu teatro di un attentato di stampo mafioso che costò la vita a cinque persone, fra le quali Nadia Nencioni, di nove anni, e la sorellina neonata Caterina, morte insieme ai genitori in seguito all'esplosione di un'autobomba. Mi sono incamminata lungo il vicolo scoprendo le testimonianze di quella drammatica notte fra il 26 e il 27 maggio 1993: davanti all'Accademia dei Georgofili è stato piantato un olivo, albero dal grande valore simbolico per la sua «emblematica capacità di rigenerare la propria chioma produttiva quando viene offesa o anche del tutto stroncata da straordinari eventi naturali o da azioni perverse dell'uomo stesso», e, proprio sopra una targa commemorativa, è stata affissa la copia di una poesia scritta sul quaderno di scuola dalla piccola Nadia appena tre giorni prima della sua tragica fine. Quel componimento, intitolato Il tramonto, a posteriori suona quasi come una premonizione: «Il pomeriggio se ne va. Il tramonto si avvicina, un momento stupendo. Il sole sta andando via (a letto): è già sera, tutto è finito».
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