Anch'io, come credo sia naturale per chiunque abbia un cuore, ho trepidato per la sorte di Manuel Bortuzzo, il nuotatore oggi ventiduenne che ha perso l'uso delle gambe dopo essere stato colpito per errore da una pallottola conficcatasi nella sua schiena nella notte tra il 2 e il 3 febbraio 2019 a Roma. E ho gioito quando il giovane atleta ha comunicato che si apriva uno spiraglio affinché potesse recuperare la mobilità degli arti inferiori, in quanto la lesione midollare non era completa. Ma pur ritenendo ammirevole la forza d'animo che ha sempre dimostrato, devo ammettere che sono rimasta un po' interdetta da una sua dichiarazione recentemente rilasciata al settimanale Gente: «Voglio tornare a camminare e andare alle Olimpiadi. Farò di tutto per riuscirci, la volontà è fondamentale. Fallire per me significa non andare fino in fondo». Comunque affido il diritto di replica a Sofia Righetti, attivista disabile per i diritti delle persone disabili.
Caro Manuel,
mi sento un po’ la sorella maggiore che fa lo spiegone, ma va bene così.
Una lesione midollare non è mai facile da digerire.
Nessun cambiamento così drastico è facile. Non lo è per te, non lo è stato per i miei genitori, non lo è stato per le migliaia di persone mielolese che vivono in Italia.
Mi ero arrabbiata un bel po’ quando ti successe l’incidente, e i giornali dissero che la tua vita sarebbe stata una “frustrazione perenne”. È un’insulto verso la tua persona e verso la vita di tutte le persone che hanno una disabilità motoria e che vivono una vita meravigliosa, nonostante l’abilismo sistemico.
Tanto più che eri un nuotatore, e avevi le il nuoto paralimpico pronto ad accoglierti.
Ho gioito quando lessi che le tue parole in risposta erano “tornerò più forte di prima”.
Però, Manuel, ieri le ovaie mi sono scese di brutto.
“Voglio tornare a camminare e andare alle Olimpiadi, non alle Paralimpiadi. Farò di tutto per riuscirci, la volontà è fondamentale. Fallire per me significa non andare fino in fondo”.
Da ex atleta e campionessa paralimpica di sci alpino, ho sorriso davanti all’ignoranza di una frase così.
Il problema è l’hai detta pubblicamente in un’intervista, e allora vediamo cosa non va.
Una persona con mielolesione può metterci tutta la volontà che vuole, ma non tornerà a camminare, nemmeno con una lesione incompleta. Non ci sono cure per ripristinare i traumi al midollo. Il superomismo dell’eroe che supera la disabilità come sua tragedia personale è uno stigma che stiamo cercando di scrollarci di dosso da decenni, e la narrativa tossica del “volere è potere” usata così fa apparire la disabilità come qualcosa di orribile.
Ma la disabilità non è orribile, è una condizione che fa parte della variabilità della vita. Orribile è il sistema discriminatorio che ci opprime e ci marginalizza, e che ci fa credere che i limiti siano nostri, e non imposti dal sistema stesso.
Questa frase è un insulto verso tutti gli atleti che si fanno il culo ogni giorno per tagliare il centesimo di secondo, e che soprattutto si fanno il culo con l’assenza di sponsor, di ausili che costano un occhio della testa, con gare ed allenamenti che sono a tuo carico, mentre il CIP non ha risorse economiche per pagare gli atleti.
La cultura paralimpica in Italia è spaccata tra professionisti come Claudio Arrigoni che ne esaltano quotidianamente la grandezza e commenti beceri come quando Paolo Villaggio definì le Paralimpiadi “una esaltazione delle disgrazie”.
Affermare che è un fallimento personale andare alle Paralimpiadi, e che non ci vuoi andare perché punti alle Olimpiadi, beh, io lo vedo come uno sputo in faccia a tutti gli atleti paralimpici. Atleti che non hanno la notorietà, gli sponsor, i soldi e le possibilità che la vita ti ha dato, ma che si sono dovuti rimboccare le maniche per arrivare dove sono. Atleti che combattono ogni giorno contro lo stigma che le Paralimpiadi siano da sfigati, da handicappati, che sia meno faticoso e siano meno gloriose.
Perché ti assicuro Manuel, che la fatica è uguale per tutti. E che al cronometro non importa che tu abbia una lesione o no, o quante gambe abbia, perché non ti fa sconti e non prova pena. E ti devi impegnare, e tanto, anche solo per poter accedere alle gare nazionali. La volontà e il privilegio fisico ed economico sono fondamentali per andare alle Paralimpiadi, non per tornare a camminare.
Le Paralimpiadi non sono da falliti.
L’abilismo interiorizzato, quello è un fallimento personale e soprattutto sociale.
Perché è dalla società che lo assorbiamo, per poi uscircene con frasi del genere.
Ma da questo si può guarire.
Te lo prometto.
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