mercoledì 11 dicembre 2019

Tenere sempre viva la memoria del passato


L'altroieri il prof. Guido Saraceni ha pubblicato nel suo blog Due Minuti di Lucidità un post dal titolo In memoria; lo riporto integralmente qui di seguito, perché merita davvero.
Un soldato tedesco urla al prigioniero: lancialo in aria!
Il prigioniero fa finta di non aver sentito e si affretta a sistemare il bambino sul carro, assieme a tutti gli altri. Allora il soldato si avvicina, gli punta la pistola sotto al mento e ripete: “ti ho detto di lanciarlo in aria, non hai capito? Se non lo fai tu, lo farà il prossimo”.
Così il prigioniero è costretto a lanciare per aria il bambino.
In questo modo i soldati tedeschi passavano il tempo ad Auschwitz: facendo il tiro a segno sui bambini ebrei, mentre i prigionieri pregavano che li uccidessero al primo colpo, per evitare inutili sofferenze.
Questa testimonianza di Alberto Sed, come tante altre, è un pugno nello stomaco.
Ieri ci ha lasciati Piero Terracina, mentre Sed è venuto a mancare a novembre di questo stesso anno.
Inesorabilmente, stanno venendo meno gli ultimi sopravvissuti ai campi di sterminio, lasciando a noi la responsabilità, il compito e l’onore di tenere viva la memoria.
Di impedire che torni l’orrore.
Roma A.D. 2019
Ora e sempre: Resistenza
Questo brano l'ho ricollegato a un episodio di cui sono venuta al corrente su Facebook, e che ho ritrovato nel post La fotografia è memoria pubblicato dalla "psicofotografa" Chiara Scattina alla vigilia del Giorno della Memoria 2019.
Quando il generale statunitense Dwight Eisenhower arrivò con i propri uomini presso i campi di concentramento ordinò, perentoriamente, che fosse scattato il maggior numero di fotografie: alle fosse comuni dove giacevano ossa, agli abiti, ai corpi scomposti scheletrici ammassati come piramidi casuali.
Fotografie per ogni gelida baracca che fungeva da dormitorio, fotografie al filo spinato, ai forni crematori, alle divise, ai cappellini, alle torri di controllo, alle armi, agli strumenti di tortura. Fotografie ai sopravvissuti così vicini alla morte da poterci interloquire e restituirla a chiunque li fissasse senza dover nemmeno aprire bocca. Senza parlare, senza parole.
E poi spiegò: “Che si abbia il massimo della documentazione possibile – che siano registrazioni filmate, fotografie, testimonianze – perché arriverà un giorno in cui qualche idiota si alzerà e dirà che tutto questo non è mai successo”.
Io ho una gran paura che la memoria degli orrori del passato possa andare perduta – ho la netta impressione che si stia già ineluttabilmente sfaldando, giorno dopo giorno – perché soltanto preservandola sarà possibile evitare che tutto ciò si ripeta.

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