giovedì 11 ottobre 2018

Una questione complessa

Quest'oggi ho deciso di tornare su un argomento del quale mi sono già occupata più volte su questo blog, l'ultima appena cinque giorni fa: l'aborto. Lo spunto me l'hanno offerto le reazioni quasi tutte indignate dei miei contatti social – ecco perché ho preferito parlarne qua sul blog anziché su Facebook, dove ricevo qualche riscontro in più: sinceramente non ero in vena di polemiche – alle durissime parole del Papa al riguardo: «è come affittare un sicario per risolvere un problema», e poi altro ancora.
Anche se non mi sognerei mai di mettere in discussione la legge 194, trovo che la veemenza con cui molti si oppongono non soltanto agli attacchi di chi la vorrebbe abolire, ma pure all'attività delle associazioni che promuovono possibili alternative all'aborto*, parlandone quasi come se si trattasse di un banale intervento chirurgico non troppo diverso dall'asportazione di una cisti, denoti che costoro non si rendono davvero conto di quello che rappresenta l'interruzione volontaria di gravidanza. Ovvero l'atto di porre fine a una vita non ancora sufficientemente sviluppata da poter sopravvivere fuori dal grembo materno, ma abbastanza da avere inequivocabili sembianze umane e perfino un cuoricino che batte già (chiaramente sto pensando a un feto prossimo al novantesimo giorno di gestazione, termine massimo stabilito dalla legge per poter abortire, mentre contro la pillola del giorno dopo non ho proprio nulla da ridire). Se devo essere sincera la cosa mi mette i brividi, anche se per fortuna non ho mai vissuto l'esperienza in prima persona, neppure di striscio.

*Se ritieni che la scelta di abortire sia sempre preferibile a quella di portare a termine la gravidanza e poi dare il bambino in adozione**, allora non saremo mai d'accordo, mi spiace.

**Un discorso a parte vale per l'aborto terapeutico: credo ci voglia un certo coraggio a mettere al mondo una creatura già sapendo che dovrà fare i conti con enormi limitazioni nonché dipendere dall'assistenza di qualcuno per tutta la vita, anche quando i suoi genitori non ci saranno più.***

***In verità ho sentito storie di persone alle quali, quando ancora erano nel grembo materno, vennero diagnosticate gravissime malformazioni, eppure oggi si mostrano felici e colme di gratitudine per essere venute al mondo nonostante la disabilità.

[Tutte queste note in cascata danno l'idea di quanto io consideri la questione complessa e articolata, impossibile da inquadrare in maniera univoca]

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