In questo momento mi trovo a Pescara dentro casa, dove il condizionatore acceso sia pur con moderazione allevia un'afa alla quale non ero più abituata, e il cui aspetto più piacevole è il frinire delle cicale che arriva da fuori. Per questo sono rimasta a dir poco interdetta quando ho letto il post pubblicato su Facebook dalla Sezione di Ravenna dell'ENPA (Ente Nazionale Protezione Animali).
Con vivo stupore ci è capitato di leggere dei messaggi che propongono al Comune di procedere allo sterminio delle cicale in quanto infastiditi dal loro frinire.
La richiesta ci pare sciocca ed indisponente dato che questi animaletti tipici dell’estate producono una “molestia” limitata ad un paio di mesi.
Le orecchie sensibili di certe persone infastidite farebbero bene a rivolgere i loro strali contro chi guida motorini smarmittati, effettua degli schiamazzi notturni e così via.
Le cicale così come le lucciole, i grilli e i piccoli insetti presenti nelle nostre aree verdi, patiscono già di per le conseguenze dell’uso degli anticrittogamici e della cementificazione, ragion per cui troviamo quanto mai stupido proporre lo sterminio di detti insetti.
Il post si conclude con il testo di un componimento scritto dal poeta Giosuè Carducci, e dedicato appunto a Le cicale.
Cominciano agli ultimi di giugno, nelle splendide
mattinate; cominciano ad accordare in lirica
monotonia le voci argute e squillanti.
Prima una, due, tre, quattro, da altrettanti alberi;
poi dieci, venti, cento, mille, non si sa di dove,
pazze di sole; poi tutto un gran coro che aumenta
d’intonazione e di intensità col calore e col luglio, e
canta, canta, canta, sui capi, d’attorno, ai piedi
dei mietitori.
Finisce la mietitura, ma non il coro. Nelle fiere
solitudini sul solleone, pare che tutta la pianura
canti, e tutti i monti cantino, e tutti i boschi cantino…
pare che essa la terra dalla perenne gioventù del suo seno espanda
in un inno immenso il giubilo de’ suoi sempre nuovi amori co’l sole.
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