Si è svolta oggi la cerimonia inaugurale dei Giochi della XXXII Olimpiade, informalmente noti come Tokyo 2020, ma rimandati di un anno per ragioni che non serve spiegare. Per quanto mi riguarda, tra il lavoro durante la settimana e le sette ore di differenza di fuso orario fra Italia e Giappone, non saranno molte le gare che riuscirò a seguire in diretta, purtroppo.
Tra i prescelti per sfilare con la bandiera olimpica a cinque cerchi, in rappresentanza di tutti gli atleti del pianeta, c'era la nostra Paola Egonu...
... una delle pallavoliste più forti del mondo: guarda un po' che elevazione pazzesca, roba che nemmeno Mimì Ayuhara o Mila Hazuki, che pure erano dei personaggi a cartoni animati, arrivavano a tanto!
Il fatto che sia stata scelta lei è particolarmente significativo nell'anno in cui il razzismo e l'omofobia si trovano al centro del dibattito politico per via delle vicissitudini del ddl Zan: Paola, infatti, è nata il 18 dicembre 1998 a Cittadella, in Veneto, da genitori nigeriani, ha la cittadinanza italiana dall'età di quattordici anni – quando suo padre è riuscito a farsi assegnare il passaporto italiano – e qualche tempo fa ha fatto coming out rivelando di essere fidanzata con una ragazza (anche se oggi non esclude di potersi innamorare di un uomo). Ecco alcune sue dichiarazioni tratte dal sito Aforismi.
Sì, ci sono stati degli episodi di razzismo, più d'uno e spesso legati all'origine africana. A Treviso, durante una partita, i genitori delle avversarie facevano il verso della scimmia e mi insultavano urlando di tornare al mio paese, aggiungendo che potevo solo pulire per terra. Lo dicevano con parole più volgari di queste.
Nella pallavolo e nello sport il razzismo c'è, ma la realtà è un'altra: quella di coetanee e amiche che fanno gruppo con normalità, indipendentemente se sei figlia di immigrati o no. Proprio come noi della Nazionale Under 18, una squadra bellissima.
Io mi sentivo azzurra da tempo ma senza quel documento [la cittadinanza italiana] non avrei potuto partecipare ai Mondiali in Perù.
Mi definirei un'afroitaliana: un'appartenenza non esclude l'altra.
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