L'altro giorno Lorenzo Tosa ha condiviso la foto di un bambino di colore intento a festeggiare tra la folla la vittoria dell'Italia agli Europei sventolando il tricolore, con la scritta «L'Italia in uno scatto».
Il mio primo pensiero è stato che magari quel ragazzino sarà un asso a giocare a pallone, ma se i suoi genitori sono stranieri difficilmente potrà militare nella nostra Nazionale, anche se è nato e cresciuto in Italia. Perché, a differenza dello ius sanguinis che ha permesso a Jorginho, Emerson e Rafael Tolói di vestire la maglia azzurra agli Europei, lo ius soli non è previsto dal nostro ordinamento (segnalo un post di Fabio Salamida che mette in relazione lo ius soli col Ddl Zan, e la cui sintesi è «se altre persone ottengono più diritti e tutele, per noi non cambia nulla»). Tutto questo non mi sembra affatto giusto.
Un'analisi ben più approfondita del significato di quella foto l'ha pubblicata la scrittrice e attivista culturale italo-ghanese Djarah Kan, una che certe situazioni le ha vissute in prima persona.
Sembra strano ma tutti i neri che attualmente vivono in Italia e si beccano mazzate, insulti, discriminazioni istituzionali e non, oltre che sfruttamento sul lavoro e paghe misere tutte rigorosamente in nero, almeno una volta nella vita, sono stati amabili bambini fatti di tenerezza, splendidi sorrisi e grandi speranze. Proprio come il bambino che in questi giorni sta pellegrinando in giro per i social.
Poi ho pensato alla maledizione di crescere, di diventare una donna, una nera, un'adulta cosciente e con desideri di essere ed avere non compatibili con la comunità che mi circonda, e mi sono detta: accidenti. Quanto sarebbero semplici le cose se fossi stata eternamente bambina.
Da piccola mi volevano tutti bene. Specialmente i bianchi. E tutti lo sanno che i bianchi adorano i bambini neri.
Penso che fosse soprattutto il mio essere inoffensiva e incosciente a intenerire le persone. Un po' come succede coi gatti e i cani che piacciono perché amano senza chiedere nulla in cambio.
Molti influencer di sinistra, tipo Tosa & Friends il cui approccio melenso e lasciatemelo dire, buonista, poco si sposa al fuoco in mezzo al quale stiamo bruciando un po' tutti, si sono sciolti in commenti inteneriti e pieni di grandi speranze affermando senza ombra di dubbio che questa, è l'Italia.
Insinuando di fatto che l'Italia è antirazzista solo perché un bambino gioisce come fanno tutti i bambini, quando si condivide un momento di gioia collettiva.
Peccato che non ci sia niente di più razzista che vedere un gruppo di bianchi fotografare e manipolare a scopi ideologici un bambino nero il cui corpo viene ideologicamente reindirizzato a simbolo dell'integrazione, quando la fine del razzismo presuppone che non ci siano più persone a sconvolgersi per il fatto che sappiamo parlare l'italiano e qualche volta sventoliamo anche la Bandiera dell'Italia, mai per obbligo, solo per piacere.
Il senso di anormalità che mi ha trasmesso la foto mi ha fatto ricordare alla me stessa bambina. Credevo di essere amata, quando venivo passata di braccia in braccia, oppure quando venivo fotografata perché "quei bambini neri sono troppo belli da vedere". Ma quello non era amore o antirazzismo, così come non c'è amore e antirazzismo nel considerare un bambino solo per il significato politico che ha il suo corpo in una società che fa finta di non considerare il razzismo o il colore della pelle, e ti dice anche che sei pazza o bugiarda quando lo denunci, ma poi ecco che si scioglie in piagnistei sulle nuove generazioni che con la loro sola presenza dovrebbero salvare immettere un po' di decenza nelle tubature arrugginite di questa società che si adagia sui simboli ma sente male alla schiena e alle ginocchia quando arriva il momento di scendere di casa e prendere una posizione.
L'Italia percepita dagli italiani bianchi appartenenti a quella versione della sinistra un po' pigra e un po' romantica, affezionatissima a questo tipo di fregnacce narrative non è la stessa che viviamo noi, e che quel bambino che forse un giorno vorrà essere italiano, vivrà su di sé.
Proprio mentre questa bellissima creatura esultava con la bandiera, migliaia di di tifosi inglesi davano della scimmia e del n**** a Bukayo Saka, reo di aver sbagliato un rigore alla finale di Coppa Uefa. Lui, che inglese lo è, ha perso la sua cittadinanza solo per un tiro a un pallone.
Vi lascio immaginare da soli, quanto sia dura tenere la presa stretta su casa tua, quando non sei bianco e non vinci, oppure non sei più un bambino innocente.
Intanto il DDL Zan si salva per un pelo. il Governo italiano è deciso a rifinanziare la Guardia Costiera Libica nota per la sua cieca brutalità nei confronti dei migranti respinti, soprattutto delle donne e delle bambine e questa È questa l'Italia, amiche e amici. Ci tocca cambiarla, insieme. Senza illuderci che basterà poco. Perché serve tutta la lucidità di questo mondo per impedire che quel bambino cresca nel mondo in cui Bukayo Saka, 19 anni, viene umiliato e violato nella sua umanità dai suoi concittadini.
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