La scomparsa dell'ex calciatore Gianluca Vialli, stroncato a soli 58 anni dal tumore al pancreas – uno dei tipi di cancro dalla prognosi più infausta in assoluto, come ricordato dal dottor Marzio Sisti – che gli era stato diagnosticato nel 2017, mi ha veramente scossa, anche se non si può dire che non me lo aspettassi, da quando a metà dicembre ha lasciato il suo ruolo di capo delegazione della Nazionale. Mi ha colpita perché lui era relativamente giovane, perché col maledetto male che se lo è portato via purtroppo ci ho avuto a che fare sia pur indirettamente, perché negli anni '90 aveva giocato e vinto anche nella "mia" Juventus (anche se riconosco che "apparteneva" di più alla Sampdoria, che ha condotto al suo unico scudetto nella stagione 1990-91 nonché alla finale della Coppa dei Campioni – all'epoca non si chiamava ancora Champions League – l'anno successivo), perché a differenza del collega Siniša Mihajlović sulla sua storia non gravavano particolari ombre (per quanto una persona che seguo oggi abbia voluto insinuare che il suo male sia stato una conseguenza dei trattamenti – per non dire doping – ai quali si era sottoposto nel corso della sua carriera da calciatore).
Mi piace ricordarlo con le parole dette da lui stesso ad Alessandro Cattelan nel corso della trasmissione Una semplice domanda su Netflix (trascrizione tratta da qui e da qui).
«Se per esempio muori all'improvviso di notte, tante cose rimangono incompiute. Oggi so che ho il dovere di di comportarmi in un certo modo nei confronti delle persone, di mia moglie, delle mie figlie perché non so quanto vivrò. Quindi ti dà questa opportunità di scrivere le lettere, di sistemare assolutamente le cose».
«La malattia non è esclusivamente sofferenza. Ci sono dei momenti bellissimi. La malattia ti può insegnare molto di come sei fatto, ti può spingere anche più in là rispetto al modo anche superficiale in cui viviamo la nostra vita. La considero anche un'opportunità. Non ti dico che arrivo fino ad essere grato nei confronti del cancro, però non la considero una battaglia. L'ho detto più volte. Se mi mettessi a fare la battaglia col cancro ne uscirei distrutto. Lo considero una fase della mia vita, un compagno di viaggio, che spero prima o poi si stanchi e mi dica 'Ok, ti ho temprato. Ti ho permesso di fare un percorso, adesso sei pronto'».
«Cerco di non perdere tempo, di dire ai miei genitori che gli voglio bene. E mi sono reso conto che non vale più la pena di perdere tempo e fare delle stronzate. Fai le cose che ti piacciono e di cui sei appassionato per il resto non c'è tempo. Siamo qui per cercare di capire il senso della vita e io ti dico, ho paura di morire».
«Oggi so che ho il dovere di comportarmi in un certo modo nei confronti delle persone, di mia moglie, delle mie figlie. Sono convinto che i nostri figli seguano il nostro esempio più che le nostre parole. Credo di avere meno tempo per essere da esempio, adesso che so che probabilmente non morirò di vecchiaia. Spero di vivere il più a lungo possibile, però mi sento molto più fragile di prima e quindi ogni mio comportamento mi porta a fare questo ragionamento, cioè: è la cosa giusta che sto mostrando alle mie figlie? In questo senso cerco di essere un esempio positivo e quindi cerco di insegnare loro che la felicità dipende dalla prospettiva con cui guardi la vita, che non ti devi dare delle arie, ascoltare di più e parlare di meno, devi cercare di migliorarti ogni giorno, devi ridere spesso, devi aiutare gli altri. Secondo me, questo è un po' il segreto della felicità. E soprattutto cerco di fare in modo che loro abbiano l'opportunità di trovare la loro vocazione».
P.S.: L'immagine che apre il post ritrae il commovente abbraccio tra Vialli e il suo fraterno amico, nonché "gemello del gol" ai tempi della Sampdoria, Roberto Mancini dopo la vittoriosa finale europea contro l'Inghilterra dell'Italia allenata da Mancini, a luglio 2021.
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