L'arresto lunedì scorso dopo trent'anni di latitanza del boss mafioso Matteo Messina Denaro, responsabile di innumerevoli crimini e morti, e le circostanze che hanno portato alla sua cattura sono stati comprensibilmente fra i temi più discussi degli ultimi tre giorni. Una delle considerazioni che mi hanno lasciata maggiormente interdetta è stata quella espressa da un mio contatto in un gruppo Facebook del quale facciamo parte entrambi: a suo dire il fatto che le precarie condizioni di salute del boss siano state date in pasto alla stampa lede il diritto alla privacy dei suoi dati sensibili, tanto che lui ha parlato addirittura di "gogna pubblica".
L'osservazione del mio contatto in generale potrebbe anche essere fondata, ma nel caso di Messina Denaro mi sembra poco pertinente. La sua malattia e la conseguente necessità di uscire allo scoperto, sia pur con un'identità fittizia, per sottoporsi alle necessarie terapie sono state determinanti per poterlo acciuffare. E poi il fatto che sia malato non è di certo la cosa peggiore che si possa dire di lui, anzi in un certo senso lo rende più "umano" di quanto abbia dimostrato di essere con le azioni che ha compiuto.
Oggi ho letto questo articolo sull'omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, rapito a dodici anni per convincere il padre Santino, che si era pentito, a ritrattare le sue confessioni, tenuto prigioniero per due anni e infine strangolato e sciolto nell'acido per ordine proprio di Messina Denaro. Il quale non eseguì materialmente il delitto e quindi non si sporcò le mani, ma si ritrova sulla coscienza, ammesso e non concesso che ne abbia una, qualcosa di terrificante. Quando sono arrivata a leggere il racconto dell'uccisione fatto da uno degli esecutori materiali durante il processo, mi sono venuti i conati di vomito.
Giustizia vorrebbe che il responsabile di tutto ciò rimanga in galera fino alla fine dei suoi giorni a espiare le sue colpe venendo colto da un tardivo quanto straziante pentimento. Ammesso e non concesso che un individuo capace di simili atrocità sia in grado di redimersi, però, considerata la patologia di cui soffre dubito che gli rimanga granché da vivere. Sono meschina se aggiungo "purtroppo"?
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