Esso documenta un esperimento sociale dal titolo The DNA Journey, organizzato da Momondo, motore di ricerca di viaggi. Ecco in cosa consiste.
In una sala vengono radunate persone di varie etnie e nazionalità: tutti orgogliosamente legati alle proprie origini e tutti ostili, chi più chi meno, nei confronti dei "diversi". C'è l'inglese DOC da generazioni che è convinto che il suo sia il miglior Paese del mondo e al quale non piacciono proprio i tedeschi, e la ragazza curda che confessa che una parte di lei odia i turchi, salvo poi correggersi, «non i turchi, il governo»...
A queste persone viene proposto di intraprendere un viaggio basato su loro DNA: «Sai come funziona il DNA? Ne riceviamo metà dalla mamma e metà dal papà, il 50% da ciascuno di loro, e loro ricevono il 50% dai loro genitori, e così via indietro nel tempo. E tutti quei frammenti dei tuoi antenati fanno di te la persona che sei».
Tutti accettano di sottoporsi al test – qualcuno con entusiasmo, qualcun altro senza nascondere un certo scetticismo nei confronti dell'eventualità di poter scoprire qualcosa su di sé che non sappia già – e depositano in una provetta un po' di saliva che verrà analizzata.
Due settimane dopo il gruppo viene convocato di nuovo per la comunicazione dei risultati: con sua grande sorpresa la ragazza che affermava di odiare i turchi viene a conoscenza delle sue origini caucasiche, mentre il tizio inglese scopre di avere in sé un 5% di quella "tedeschità" che tanto detestava...
Ecco alcune reazioni dei convenuti: «Questo test dovrebbe essere obbligatorio: al mondo non esisterebbero cose come l'estremismo, se la gente conoscesse le proprie origini in questo modo. Chi sarebbe così stupido da pensare che esista qualcosa come una razza pura?», «In un certo senso siamo tutti cugini, in senso lato».
Da incorniciare le frasi conclusive: «Hai più cose in comune con il mondo di quanto pensi. Un mondo aperto inizia con una mente aperta».
Il video in questione mi viene naturale ricollegarlo a un post pubblicato a luglio da Emilio Mola; lo riporto qui di seguito.
In realtà Donald Trump non dovrebbe nemmeno chiamarsi così. Il suo vero nome, se non fosse stato modificato, sarebbe Donald Drumpf: che suona molto meno americano, e molto più tedesco. Ma non è un caso.
Trump infatti non è di origini americane. Nessun americano è di origini americane. Tranne quelli che conosciamo come “indiani d’America”. Loro sono americani. Loro sono “a casa loro”.
Donald Trump è di origini tedesche, è nipote dell’immigrato Frederich Drumpf (o Trumpf), che lasciò illegalmente la Germania per disertare la leva, scappando su un “barcone” negli Stati Uniti d’America.
Una volta negli Stati Uniti l’immigrato Frederich Drumpf “inglesizzò” il suo cognome in Trump. Diede alla luce un figlio, Fred Trump, che diede alla luce un figlio: Donald Trump.
Oggi quel nipote di immigrati, che grazie alle opportunità concesse agli immigrati è diventato Presidente del Paese in cui suo nonno arrivò da immigrato, dà la caccia a chi come suo nonno cerca diritti e una vita migliore negli Stati Uniti.
In queste ore il nipote di immigrati Donald Trump ha invitato quattro deputate statunitensi, cittadine statunitensi ma poco bionde e poco bianche (Alexandria Ocasio-Cortez, Rashida Tlaib, Ayanna Pressley e Ilhan Omar) a tornare nel “loro paese d’origine” perché colpevoli di difendere i diritti degli immigrati, di voler permettere ad altre famiglie di avere le stesse opportunità di cui ha goduto la famiglia di Donald Trump. E Donald Trump stesso.
Le deputate in questione sono tutte nate negli Stati Uniti. Come Trump. E sono tutte di origini straniere. Come Trump. Ma per Trump e i suoi elettori loro, poco bianche, hanno ancora un “paese d’origine” in cui dovrebbero tornare. Trump no. Lui è americano.
Il significato del sovranismo mondiale che sta obnubilando la mente di milioni di esseri umani in tutto l’Occidente e che ci sta facendo tornare ad essere scimmie che marcano il territorio e si battono il petto davanti agli intrusi, sta tutto qui. Ipocrisia, involuzione, ignoranza.
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