mercoledì 30 marzo 2022

Com'è difficile essere figli

Di recente Selvaggia Lucarelli ha pubblicato sul quotidiano Domani un paio di articoli particolarmente personali e toccanti. Nel primo la giornalista, dopo aver presentato i suoi anziani genitori costretti a sradicarsi dalla loro amata Civitavecchia e trasferirsi a Milano per stare più vicini ai figli, raccontava le ragioni della decisione di portare sua madre, malata di Alzheimer in stadio avanzato, in una RSA.

C’è un dolore poco raccontato in questa scelta che poi scelta non è, perché sebbene si sia consapevoli dell’impossibilità di rinunciare a lavoro e famiglia per prendersi cura di un anziano, il pensiero non detto che sì, per un genitore dovresti farlo, è sempre lì. Respinto, ingiusto e detestabile, ma c’è.

Nel secondo replicava alle critiche che l'avevano presa di mira, e con ogni probabilità anche parecchio ferita.

Chi pensa che decidere di non accudire un genitore ammalato sia un gesto egoistico, non sa. Ignora quanto male possa fare imporsi una scelta del genere e poi far respirare a un ammalato stanchezza e frustrazione per le privazioni inevitabili, per la quotidianità sconvolta.

Nella vicenda familiare di Selvaggia mi ci sono identificata solo in parte, ma quel poco è stato sufficiente a risvegliare in me sensi di colpa irrisolti e mai del tutto sopiti.

Quando nel 2016 mi trasferii in Brianza per cominciare una nuova vita accanto all'uomo che amo, lasciai a Pescara una mamma praticamente autosufficiente. Poi col passare del tempo le sue condizioni di salute peggiorarono abbastanza in fretta, fino a rendere necessaria l'assistenza di una badante, un'adorabile signora rumena che era sempre un'impresa sostituire in modo adeguato quando tornava in patria, e con la quale sono tuttora in contatto. Pur abitando a centinaia di chilometri di distanza, tornavo a trovare mamma più spesso che potevo a costo di tour de force davvero impegnativi – lei di lasciare la casa dove aveva vissuto per decenni non ne ha mai voluto sapere – e facevo i salti mortali per assicurarmi che in mia assenza non le mancasse nulla. Eppure convivo tuttora con la sensazione, tanto più angosciante in quanto ormai non potrà più esserci alcun chiarimento, che mamma non mi abbia mai perdonato il mio "abbandono". Oltretutto non ha mai fatto nulla per nascondere quanto il mio compagno non le andasse a genio... ma forse per lei il genero ideale non esisteva: sotto sotto sperava che il suo "bastoncino della vecchiaia" le rimanesse accanto fino al suo ultimo giorno. Cosa che forse sarebbe accaduta, se le sue condizioni di salute si fossero aggravate prima del mio trasferimento, di fatto obbligandomi moralmente a rinviarlo a tempo indeterminato. E la mia esistenza sarebbe proseguita sullo stesso binario di sempre, di fatto un binario morto, lasciandomi alla fine sola e piena di rimpianti.

Oggi invece il mio più grande rammarico al riguardo è quello di non aver fatto in tempo a fare per lei ciò che feci per mio padre quando lasciò questo mondo: raggiungerla per accarezzarle il volto e tenerle la mano, farle sentire la mia presenza e il mio affetto mentre esalava l'ultimo respiro.

Non so bene neppure io cosa mi sia saltato in mente di confidarmi in questo modo. Nel migliore dei casi potrebbe essere catartico, nel peggiore magari cancellerò il post.

1 commento:

  1. Scrivere cose personali, che lo si faccia pubblicamente o in un diario privato, è sempre catartico.
    È un post molto bello e delicato, e quasi mi sento a disagio a commentare. Capisco il tuo sentimento di rammarico, ma d'altra parte la vita è anche questo: scelte difficili che comunque lasciano strascichi.
    Ciao.

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