A distanza di qualche mese, quel corso ha dato vita a una mostra fotografica inaugurata domenica sera presso la Sala D'Annunzio dell'Aurum di Pescara, la stessa location dove ho "piantato" il mio primo chiodino; le foto esposte sono state realizzate dai detenuti e dallo stesso Stefano. Il senso del titolo della mostra, Il mondo a quadretti, è stato illustrato da Mario Livrieri, uno degli allievi, come segue.
Quando questo articolo ha iniziato a prendere forma nella mia mente, quando ancora la cascata di lettere che lo compongono doveva iniziare il suo corso, il titolo era già una certezza.Parole che a me hanno dato parecchio da pensare, e che difficilmente possono lasciare indifferenti, credo. Per quanto mi riguarda, mi sono pentita non poco di non aver colto l'opportunità di collaborare a questo progetto...
Un mondo a quadretti, sono sicuro che per tutti quelli che, come me, vivono o hanno vissuto questa realtà, il senso sia più che chiaro. L'idea mi è venuta quando l'altra sera guardavo una splendida luna piena e mi sono accorto che in effetti l'immagine che avevo di fronte non era quella di una luna al centro di un cielo meraviglioso ma solo gli avanzi che sbarre, cancelli ed affini lasciavano passare.
È iniziata così una lunga riflessione tra me e Mario che ci ha portato indietro nel tempo, quando tutto è iniziato. All'epoca avevo una visione del mondo completa, oggi invece dopo tanti e lunghi anni di detenzione ho dimenticato e rimosso gran parte delle immagini, sapori, odori e suoni che compongono la vita.
Tutte le immagini presenti nel mio archivio mentale sono sporcate dalla visione continua delle grate che ormai sembrano saldate direttamente sulle mie retine, finestre da cui vedo sempre lo stesso scorcio di Terra e sempre alla stessa distanza... un mondo a quadretti.
Va da sé che questa semplice riflessione non poteva fermarsi qui, avevo solo tolto il coperchio... ora toccava scavare a fondo.
Non sono solo la vista ed i ricordi ad essere compromessi ma tutti i sensi che mi appartengono. I sapori ad esempio sono limitati a quello che il sistema mi concede e, credetemi, mi concede sistematicamente sempre gli stessi; i suoni, che ormai nella mia testa hanno assunto tutti una cadenza metallica, un cane che abbaia, i clacson di un ingorgo, il pianto di un bambino... se solo provo a ricordare... ne viene fuori un "ding-dong" continuo: gli odori, in un mondo fatto di ferro e cemento, sono regolati da quelo che a volte l'amico vento ci concede. E capita di rimanere stupiti nel sentire il profumo degli oleandri in fiore dopo anni di assenza, l'effetto è quello di un bambino che vede una palla per la prima volta. Anche il tatto è notevolmente limitato alle sole cose che il sistema ha deciso.
Non ho perso solo la mia libertà, un uomo privato di tutti i suoi sensi perde ogni possibilità di vivere e se qui io non vivo allora chi sono? Cosa sto facendo? Dove mi trovo?
Sono lo zombie voluto da questo meccanismo infame, un morto vivente che si trascina nell'illusione di essere ancora vivo ma che in effetti di vivo ha solo la speranza di poter tornare al più presto a sentire la risata, il profumo e il dolce suono della vita.
Il corso è stato organizzato da Stefano in collaborazione con il Garante per i diritti delle persone private della libertà personale, l'avvocato Fabio Nieddu, il quale ha presentato il progetto con queste parole.
L'idea di organizzare un corso di fotografia all'interno del carcere è nata da due considerazioni.Ecco invece il commento di Stefano.
La perdita della libertà personale non può "congelare" il diritto fondamentale della persona ad esprimere se stessa e a sviluppare pienamente la propria personalità.
La fotografia è una delle forme di espressione creative proprie dell'individuo.
La pena assume significato nella misura in cui il tempo trascorso in carcere consenta al detenuto di comprendere l'errore commesso, scoprendo che vi possono essere alternative di vita che permettono di riappropriarsi di ciò che l'illegalità toglie: la dignità personale.
E per questo, insieme al fotografo Stefano Lista, abbiamo deciso che, non potendo il detenuto uscire per partecipare a corsi di fotografia, sarebbe stata la fotografia stessa ad entrare nel carcere per incontrare il detenuto.
Da questo progetto è nata un'esperienza unica che ha coinvolto emotivamente tutti i protagonisti di questa stupenda avventura.
Abbiamo, dunque, pensato di condividere con la cittadinanza questa positiva esperienza attraverso l'organizzazione di questo evento tale da far comprendere che il detenuto può essere una "risorsa" e non un "peso" per la comunità.
Un corso di fotografia per dieci detenuti. Amo ripetere che la fotografia apre la mente. Mi sono chiesto all'inizio di questo corso se fosse in grado anche di aprire "le porte". La risposta è SÌ, e non solo quelle in metallo del carcere o quelle metafisiche e sacre dello spirito.Ma soprattutto mi hanno colpito le parole scritte da Stefano per introdurre la selezione delle sue foto scattate in carcere, raccolte sotto il titolo Il mostro ha paura che richiama un verso del brano Il Mostro di Samuele Bersani: «L'unica cosa evidente è che il mostro ha paura».
La fotografia ha il potere di metterci di fronte all'osservazione di una realtà che non conosciamo e di plasmare il nostro giudizio o pregiudizio su quella realtà...
Ha il potere di creare legami tra persone le cui strade non si sarebbero mai incontrate.
Ha il potere di smuoverci dallo stato di passiva fruizione di immagini che accompagna le noste giornate e di interrogarci e farci stare ore a pensare...
Alle volte sono 30 secondi di follia. Altre volte c'è una premeditazione che nasce dall'odio che a sua volta è figlio della paura.Per quanto riguarda le foto realizzate dai detenuti, la disposizione dei pannelli su cui sono fissate ricorda la struttura di un labirinto. E credo proprio che questo non sia casuale, ma che sia stato pensato per richiamare la citazione di Haruki Murakami esposta all'inizio del percorso, e che puoi vedere qua sotto.
Altre volte ancora è solo ignoranza.
Fatto sta che loro sono dentro e io no. Hanno fatto qualcosa di "grave" e io no. Loro devono pagare la loro illegalità con la privazione della libertà personale e io, al massimo, posso aver provato una piccola frustrazione per la rimozione dell'auto in divieto di sosta.
Ma non ce la faccio a sentirmi migliore. Più fortunato sì, migliore no.
La vita mi ha regalato due genitori che mi amano, luoghi educativi sani, sicurezza economica, salute e pian piano la capacita di discernere.
Ho avuto tutto, ho conservato tutto.
Ma la vita mi ha insegnato che il confine tra il "bene" e il "male", tra il "giusto" e lo "sbagliato", tra il "dentro" e il "fuori" è molto sottile e si sposta continuamente. È facile perderlo d'occhio e varcarlo.
Con questa consapevolezza sono entrato nella vita di queste persone. E loro sono entrate nella mia.
Sono entrato per "restituire", per portare dentro quelle mura il senso di colpa per la mia fortuna...
Ed è finita che mi sono riportato a casa il bello di loro.
Come i dieci caffè che mi hanno offerto in un pomeriggio (ho ancora la tachicardia :), le caramelle che mi hanno regalato per i miei figli, i racconti, i sorrisi, le battute, le pacche sulle spalle, le lacrime di fronte al mare per averlo rivisto per la prima volta dopo anni.
Sanno di aver sbagliato e scontano senza opporsi la loro condanna.
Chiedono solo una seconda possibilità.
Quella possibilità che viene loro negata quando la detenzione non svolge il ruolo di rieducazione del condannato, quando una famiglia li abbandona, quando il tempo non è più investimento per il meglio ma attesa del peggio.
Quella possibilità che viene loro negata quando il marchio di "detenuto" diventa una cicatrice visibile a tutti che crea diffidenza, quando la società riabilita il furbo benestante e benpensante e punta il dito sul povero Cristo.
Quella possibilità che viene loro negata quando noi, "quelli fuori", ci auguriamo che vengano buttate le chiavi.
Ogni serratura ha due versi. La serratura delle porte blindate così come quela della nostra mente.
Usiamoli entrambi.
Ciò che è fuori di te è una proiezione di ciò che è dentro di te, e ciò che è dentro di te è una proiezione del mondo esterno. Perciò spesso, quando ti addentri nel labirinto che sta fuori di te, finisci col penetrare anche nel tuo labirinto interiore. E in molti casi è un'esperienza pericolosa.Se vuoi visitare la mostra – cosa che ti consiglio vivamente! – affrettati, perché termina domani. Per l'occasione sono previste tre visite guidate a ingresso libero – una alle 10:00, un'altra alle 16:00 e l'ultima alle 18:15 – alla scoperta di una realtà davanti alla quale in genere per paura o difficenza tendiamo a voltare lo sguardo dall'altra parte, mentre dovremmo renderci conto che si tratta di persone come noi, con la loro umanità e la loro dignità. E che dopo aver terminato di pagare il loro debito hanno diritto a reinserirsi nella società. Del resto è la nostra Costituzione a stabilire che «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato» (articolo 27, comma 3)... una disposizione che troppo spesso rimane sulla carta, dal momento che le condizioni delle carceri italiane non sono certo quelle ottimali per favorire la rieducazione dei detenuti, anzi. È sperabile che agli allievi del corso tenuto da Stefano questa esperienza possa realmente aprire delle porte professionali, quando per loro si riapriranno quelle pesantissime del carcere.
Nessun commento:
Posta un commento