Questa mattina al mio risveglio ho appreso che era stata eseguita la condanna a morte tramite iniezione letale di Lisa Montgomery. Non succedeva da quasi settant'anni che una donna venisse "giustiziata" – termine tragicamente inappropriato per una sanzione che con la vera giustizia, a mio modesto avviso, non ha proprio nulla a che vedere – negli Stati Uniti, e bisogna risalire a 130 anni fa per trovare condanne a morte eseguite nella fase di transizione tra il presidente uscente e quello neoeletto. L'esecuzione della donna era stata sospesa sia da George W. Bush sia da Barack Obama, ma Donald Trump, che sulla coscienza (ammesso e non concesso che ne abbia una) si porta un gran numero di "omicidi di Stato", ha voluto concedersi quest'ultima crudeltà prima di mollare la poltrona. La morte di Lisa Montgomery non pone rimedio a un bel niente, di certo non servirà a restituire la mamma a quella ragazzina miracolosamente sopravvissuta: applicare la legge del taglione serve solo a placare la sete di vendetta del popolo, che uno Stato che voglia definirsi civile dovrebbe far tutto fuorché assecondare.
Lisa Montgomery si era macchiata di un delitto orrendo, è vero. Ma per me non esiste crimine così grave da autorizzare uno Stato ad uccidere a sangue freddo i suoi cittadini, a maggior ragione se penso che l'equilibrio psichico di quella donna risultava irrimediabilmente compromesso in seguito ai terribili abusi subiti da bambina.
Infine, mi ha sconvolta la gelida formalità della lettera con cui è stato preannunciato alla condannata che stava inesorabilmente per giungere la sua ora.
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