martedì 23 maggio 2023

"Modestia" è il suo secondo nome

Riguardo alle polemiche scaturite dalla dichiarazione della sessantacinquenne scrittrice Susanna Tamaro al Salone del Libro di Torino...

Da piccola detestavo leggere. Ho iniziato a farlo da molto più adulta. È difficile portare i ragazzi alla lettura anche perché ci sono testi, già c’erano ai miei tempi, davvero difficili e anche brutti. Basta con Verga. Si potrebbe sostituire con Va’ dove ti porta il cuore. In Turchia, per esempio, lo hanno adottato.

... non ho molto da dire, se non che Va' dove ti porta il cuore è uno di quei libri per i quali rimpiango ogni singolo istante che ho sprecato a leggerlo: non mi ha lasciato proprio niente di niente.

Mi permetto di rubare l'idea di una mia "facciamica" mettendo a confronto l'incipit di Storia di una capinera, pubblicato da Giovanni Verga (1840–1922) nel 1871...

Avevo visto una povera capinera chiusa in gabbia: era timida, triste, malaticcia ci guardava con occhio spaventato; si rifuggiava in un angolo della sua gabbia, e allorché udiva il canto allegro degli altri uccelletti che cinguettavano sul verde del prato o nell'azzurro del cielo, li seguiva con uno sguardo che avrebbe potuto dirsi pieno di lagrime. Ma non osava ribellarsi, non osava tentare di rompere il fil di ferro che la teneva carcerata, la povera prigioniera. Eppure i suoi custodi, le volevano bene, cari bambini che si trastullavano col suo dolore e le pagavano la sua malinconia con miche di pane e con parole gentili. La povera capinera cercava rassegnarsi, la meschinella; non era cattiva; non voleva rimproverarli neanche col suo dolore, poiché tentava di beccare tristamente quel miglio e quelle miche di pane; ma non poteva inghiottirle. Dopo due giorni chinò la testa sotto l'ala e l'indomani fu trovata stecchita nella sua prigione. Era morta, povera capinera! Eppure il suo scodellino era pieno. Era morta perché in quel corpicino c'era qualche cosa che non si nutriva soltanto di miglio, e che soffriva qualche cosa oltre la fame e la sete.
Allorché la madre dei due bimbi, innocenti e spietati carnefici del povero uccelletto, mi narrò la storia di un'infelice di cui le mura del chiostro avevano imprigionato il corpo, e la superstizione e l'amore avevano torturato lo spirito: una di quelle intime storie, che passano inosservate tutti i giorni, storia di un cuore tenero, timido, che aveva amato e pianto e pregato senza osare di far scorgere le sue lagrime o di far sentire la sua preghiera, che infine si era chiuso nel suo dolore ed era morto; io pensai alla povera capinera che guardava il cielo attraverso le gretole della sua prigione, che non cantava, che beccava tristamente il suo miglio, che aveva piegato la testolina sotto l'ala ed era morta.
Ecco perché l'ho intitolata: Storia di una capinera.

... con quello del summenzionato romanzetto, bestseller datato 1994.

Opicina, 16 novembre 1992
Sei partita da due mesi e da due mesi, a parte una cartolina nella quale mi comunicavi di essere ancora viva, non ho tue notizie. Questa mattina, in giardino, mi sono fermata a lungo davanti alla tua rosa. Nonostante sia autunno inoltrato, spicca con il suo color porpora, solitaria e arrogante, sul resto della vegetazione ormai spenta. Ti ricordi quando l'abbiamo piantata? Avevi dieci anni e da poco avevi letto Il Piccolo Principe. Te l'avevo regalato io come premio per la tua promozione. Eri rimasta incantata dalla storia.

A me pare che non ci sia paragone, concordi?

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