mercoledì 4 settembre 2019

Giggino, va' all'estero... e restaci!


Scorrendo la lista dei ministri del neonato governo "giallorosso" – ma 'ndo' c***o lo vedono il rosso?!, per citare un meme che circola sui social ;-) – colpisce particolarmente il ruolo di Luigi Di Maio, ex ministro dello Sviluppo economico e del Lavoro e delle Politiche sociali, passato alla ben più prestigiosa Farnesina. Il suo a dir poco scarno curriculum è stato delineato da Il Post...
Capo politico del Movimento 5 Stelle ed ex ministro dello Sviluppo economico e del Lavoro e delle Politiche sociali. Ha 33 anni ed è nato a Pomigliano d’Arco, in provincia di Napoli. Eletto per la prima volta alla Camera nel 2013, ha ottenuto rapidamente grande visibilità grazie al suo incarico di vicepresidente della Camera. Apprezzato da Beppe Grillo e da Gianroberto e Davide Casaleggio, nel dicembre del 2017 è stato eletto primo capo politico del Movimento in base al nuovo statuto. Dopo la fine della sua esperienza come vicepresidente del Consiglio nel primo governo Conte si è trovato costretto ad accettare l’alleanza con il PD e un ridimensionamento del suo ruolo sotto la pressione dei parlamentari del Movimento e del fondatore del partito Beppe Grillo.
...e in anteprima da Lorenzo Tosa di Generazione Antigone in maniera un po' più approfondita.
Comodi? Vi presento il nostro nuovo ministro degli Esteri.
Non è laureato, neanche per corrispondenza.
Non parla inglese.
Nessuna conoscenza di lingue straniere, neanche sommaria.
Parla a fatica italiano, capisce il napoletano (ma non di tutti i rioni) e pronuncia dignitosamente la parola francese "Rousseau".
Considera la Francia un paese amico e un punto di riferimento grazie alla sua "tradizione democratica millenaria".
Vuole così bene ai francesi che si è fatto fotografare a Parigi, insieme a Di Battista, con un tizio vestito con un gilet giallo che invocava un "golpe militare armato".
È un sincero democratico, al punto da scagliarsi contro il feroce dittatore venezuelano Pinochet.
Si vanta di essere amico personale del Presidente cinese Xi Jinping, che chiama affettuosamente "Ping".
Nel 2017 ha invitato americani e russi a "lanciare banconote in Siria, non missili".
Ad oggi, la sua esperienza all'estero più importante è stata un viaggio negli Stati Uniti, in cui ha avuto l'onore di parlare (in italiano) con uno dei sei viceassistenti dell'assistente agli Affari europei del vice del segretario di Stato Rex Tillerson. E non è uno scherzo.
In un paese normale a uno con un curriculum del genere non gli facevano neanche portare il caffè alla Farnesina. Forse qualche bibita.
Auguri!
Un sunto delle sue gaffe internazionali è mostrato nell'immagine che apre il post.
Io ero già pronta al peggio, ma in una discussione su Facebook mi è stato fatto notare che tanto la politica estera la fa il presidente del Consiglio, il funzionamento del ministero degli Esteri è in mano ai diplomatici, e che se mai mandassero Di Maio in giro per visite ci sarebbe un diplomatico sempre a fargli da balia. Insomma, nominarlo ministro degli Esteri sembra un modo per dargli visibilità senza permettergli di far troppi danni.
Proviamo a sdrammatizzare ulteriormente con questa vignetta di Mario Natangelo...


Quanto alla nuova ministra dell'Interno, Luciana Lamorgese, che sinceramente non avevo mai sentito nominare prima d'ora e che aspetto di vedere al lavoro, mi sembra ci siano tutte le premesse per un notevole miglioramento rispetto al suo predecessore (per quanto trovare qualcuno peggiore di Matteo Salvini fosse impresa assai ardua ;-) ). Ecco come la presenta il suddetto Lorenzo Tosa.
Siete pronti? Vi presento il nuovo ministro degli Interni.
Laureata in Giurisprudenza con lode, avvocato, lavora per il Ministero degli Interni da 40 anni, avendo ricoperto, nell’ordine, gli incarichi di viceprefetta ispettrice, viceprefetta, membro di numerose commissioni governative, più volte prefetta, prima donna prefetta della storia di Milano, fino al 2013, quando ha assunto il ruolo di capo di gabinetto del Viminale sotto i governi Letta e Renzi.
Sono gli anni della più grande pressione migratoria mai registrata, eppure non ha mai parlato di “invasione”, non ha mai usato hashtag come “prima gli italiani”, neanche ce l’ha un canale Twitter. Per anni ha lavorato in silenzio, senza proclami. Mentre Salvini girava per i giardini di Milano a filmare i migranti con un telefonino e a seminare odio, ha gestito il piano di incentivi ai comuni che ospitano richiedenti asilo e contribuito a creare i primi hospot di prima accoglienza. Nei giorni in cui Salvini minacciava di occupare le prefetture, lei potenziava le commissioni per le valutazioni delle richieste d’asilo.
Quando al Viminale arriva Minniti e al suo posto subentra Morcone e la linea dura, lei torna a Milano senza mai cambiare idea, unendo sempre fermezza e integrazione, rigore e solidarietà. Nel giugno 2017 in un’intervista dichiara: “Il processo di integrazione è necessario per evitare fenomeni di radicalizzazioni” ed è sempre lei a garantire l’ordine e a vietare contro-manifestazioni d’odio quando la Milano pacifica e solidale scende in piazza contro il razzismo.
Stimatissima dalla Caritas e dalle associazioni del Terzo settore, negli ultimi vent’anni ha lavorato indifferentemente con destra e sinistra, da professionista, da tecnico, senza mai compiacere questo o quel potente. Chi la conosce bene parla di lei come di una donna del dialogo e del fare, che conosce perfettamente ogni ganglo della macchina del Viminale e agli slogan preferisce il lavoro dietro le quinte e gli atti concreti. Una che lavora per garantire la sicurezza di tutti coloro che sono sul suolo italiano o che stanno per arrivarci, senza chiedersi chi sono, da dove vengono, di che colore è la loro pelle.
Una donna di Stato. Una servitrice delle istituzioni, di quelli di cui ci siamo dimenticati persino come sono fatti, che faccia abbiano. In fondo, non importa chi sia Luciana Lamorgese. Quello che conta è che oggi, dopo 14 mesi di sofferenza, torniamo finalmente ad avere un ministro degli Interni. E possiamo dirlo ad alta voce, con orgoglio, senza vergognarci. Per oggi, basta così.
Buon lavoro, ministra!

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