giovedì 22 giugno 2023

Nessun uomo è un'isola

Negli ultimi giorni mezzo mondo è rimasto con il fiato sospeso per le sorti delle cinque persone a bordo del sommergibile Titan diretto verso il relitto del Titanic, che aveva smesso di comunicare con la nave madre poco tempo dopo la partenza. Qualche ora fa si è avuta la certezza che si fosse esaurita la riserva di ossigeno a bordo, ma successivamente il ritrovamento di alcuni rottami appartenenti al sommergibile ha fornito la prova che il mezzo è imploso, senza lasciare scampo ai passeggeri. Sembra terribile da dire, ma è persino auspicabile che sia andata così: vorrebbe dire che quelle persone sono andate incontro a una morte più rapida e, se così si può dire, relativamente indolore che se fossero morti soffocati.

Mi sono venuti i brividi leggendo un frammento dell'intervista rilasciata l'anno scorso da Stockton Rush, CEO dell'azienda OceanGate e pilota del Titan, pertanto una delle vittime del disastro.

Sai, c'è un limite. Ad un certo punto la sicurezza è solo puro spreco. Voglio dire, se vuoi solo essere al sicuro, non alzarti dal letto. Non salire in macchina. Non fare niente. Ad un certo punto correrai dei rischi, ed è davvero una questione di rapporto rischio/beneficio. Penso di poterlo fare con la stessa sicurezza infrangendo le regole.

Anche se provo un profondo sgomento per il destino di quegli esseri umani, mi sembra giusto condividere quanto scritto l'altroieri sull'argomento dal giornalista Ciro Pellegrino (dal cui post è tratta l'immagine che ho messo all'inizio)...

Il mondo è strano.
Fai un biglietto da 250mila euro per imbarcarti in un moderno sottomarino, scendere negli abissi e vedere il relitto del Titanic ma qualcosa va storto: c'è apprensione mondiale e tutti si precipitano a salvarti.
Se scappi da una guerra, dalla dittatura o dalla carestia, paghi tutto ciò che hai per salire su una barca di merda e attraversare i mari in tempesta e qualcosa va storto affondi nel silenzio generale e qualche carogna dice pure che te la sei cercata.

... e oggi dal suo collega Fabio Salamida.

Se un millesimo dell’attenzione che il mondo ha dedicato a cinque miliardari in gita a 4 km di profondità, dentro una specie di sottomarino guidato con un joystick da 45 euro, fosse dedicata alle migliaia di persone che affogano ogni anno per non morire di fame o sotto le bombe, questo pianeta sarebbe un posto migliore. E rivendico la libertà, in un mondo sovrappopolato, di provare empatia per chi mi pare.

Anche se per quanto mi riguarda non sono così cinica da non provare empatia pure per i "miliardari in gita", trovo inevitabile fare un confronto tra il disastro del Titan e gli innumerevoli naufragi di imbarcazioni di migranti fuggiti dalla loro terra alla disperata ricerca di una vita migliore; proprio la scorsa settimana se ne è verificato uno di entità impressionante.

Concludo riportando il testo della lirica scritta dal poeta inglese John Donne che dà il titolo al post.

Nessun uomo è un’isola,
completo in se stesso;
Ogni uomo è un pezzo del continente,
una parte del tutto.
Se anche solo una zolla venisse lavata via dal mare,
la Terra ne sarebbe diminuita,
come se un Promontorio fosse stato al suo posto,
o una magione amica o la tua stessa casa.
Ogni morte d’uomo mi diminuisce,
perché io partecipo all’Umanità.

E così non mandare mai a chiedere per chi suona la campana:
Essa suona per te.

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