Albert Kesselring, che durante la Seconda Guerra Mondiale fu il comandante delle forze armate tedesche in Italia, a fine conflitto fu processato e condannato a morte per i numerosi eccidi che l'esercito nazista aveva perpetrato ai suoi ordini. Successivamente la condanna fu tramutata in ergastolo, ma egli venne rilasciato nel 1952 per ragioni di salute. Tornato libero, Kesselring sostenne di non essere affatto pentito delle atrocità commesse, ed anzi dichiarò che gli italiani, per il bene che a suo dire aveva fatto loro, avrebbero dovuto erigergli un monumento. Il testo che segue, riportato tra l'altro su una lapide "ad ignominia" esposta nel museo di Sant'Anna di Stazzema, fu scritto da Piero Calamandrei in risposta a tale affermazione di Kesselring, e in memoria del partigiano Duccio Galimberti.
Lo avrai,
camerata Kesselring,
il monumento che pretendi da noi italiani,
ma con che pietra si costruirà
a deciderlo tocca a noi.
Non coi sassi affumicati
dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio,
non colla terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità,
non colla neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono,
non colla primavera di queste valli
che ti videro fuggire.
Ma soltanto col silenzio dei torturati
più duro d'ogni macigno,
soltanto con la roccia di questo patto
giurato fra uomini liberi
che volontari si adunarono
per dignità e non per odio,
decisi a riscattare
la vergogna e il terrore del mondo.
Su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai,
morti e vivi collo stesso impegno,
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ora e sempre
RESISTENZA.
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