giovedì 22 luglio 2010

A prescindere dalla firma

Qualche tempo fa ho ricevuto per posta elettronica questo suggestivo componimento.
Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marca, chi non rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle "i" piuttosto che un insieme di emozioni, proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti all'errore e ai sentimenti.
Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul lavoro, chi non rischia la certezza per l'incertezza, per inseguire un sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati.
Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso.
Muore lentamente chi distrugge l'amor proprio, chi non si lascia aiutare; chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.
Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.
Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.
Soltanto l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità.
Non è affatto improbabile che sia capitato pure a te di leggere queste righe in Rete, con il titolo Lentamente muore oppure Ode alla vita, e in calce l'attribuzione a Pablo Neruda. In un certo senso, come ha osservato Lorenzo Masetti, si tratta della poesia più conosciuta del grande poeta cileno: il fatto è che, in verità, non è stato lui a scriverla. Infatti, facendo una rapida googlata alla ricerca dei versi originali in spagnolo, ho avuto modo di scoprire che in realtà il brano, dal titolo A morte devagar, è opera della giornalista e scrittrice Martha Medeiros, brasiliana; pertanto la versione originale è in lingua portoghese, non spagnola. A suo tempo pure Clemente Mastella incappò in questa bufala, leggendo il testo in Senato in occasione del voto di fiducia che portò alla caduta del secondo governo Prodi e attribuendolo a Neruda. In quella circostanza il presidente della casa editrice che pubblica in Italia le opere del Nobel cileno osservò che «Chi conosce la sua poesia si accorge all'istante che quei versi banali e vagamente new-age non possono certo essere opera di uno dei più grandi poeti del Novecento». Per quanto mi riguarda, non conoscendo affatto, lo ammetto, l'opera di Neruda, avevo accolto senza riserve la falsa attribuzione... e comunque la scoperta che quei versi in realtà appartengano al repertorio di una semisconosciuta poetessa brasiliana non mi fa dimenticare quanto il messaggio in essi contenuto mi avesse colpito subito con la sua toccante immediatezza.

3 commenti:

  1. Mi calza a pennello... mi chiedo a questo punto come un morto possa lasciare un commento in un blog.

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  2. Ma dai, non dire così! Credo che sia piuttosto comune, la sensazione di rispecchiarsi almeno in parte in quelle frasi... che comunque possono essere un valido incentivo per impegnarsi a dare una svolta positiva alla propria vita.

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  3. chi si lascia vivere....semplicemente "esiste".....

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