Nell'ultima settimana sono andata al cinema per ben due volte. Giovedì sera ho visto La classe (titolo originale Entre les murs), elogiato in maniera pressoché unanime dalla critica nonché vincitore della Palma d'Oro come miglior film al Festival di Cannes 2008; non accadeva da 21 anni che questo premio venisse assegnato a un film francese.
La pellicola è ambientata in una terza media "difficile" (ma neanche poi tanto, in fin dei conti...) di una scuola di Parigi dove il giovane insegnante di Lettere è impersonato da François Bégaudeau, autore del libro semi-autobiografico da cui è tratta la sceneggiatura; il lasso di tempo narrato corrisponde a un anno scolastico.
Si vede che io di cinema non ne capisco un granché, perché a me, a differenza dei critici, questo film non è piaciuto poi tanto... Non ha suscitato in me particolari emozioni, e dal mio punto di vista non rispettava una regola base: affinché la sceneggiatura possa avvincere lo spettatore, deve accadere qualcosa... mentre nel corso dei 128 minuti di questo film non succede praticamente nulla di rilevante; durante la visione ci si aspetterebbe da un momento all'altro un avvenimento eclatante, che so, l'alunno disadattato picchia il prof oppure organizza una sommossa in piena regola... e invece l'evento clou della vicenda non è affatto così sconvolgente, a mio modo di vedere.
Da segnalare la composizione multietnica della classe (si vede che in Francia le classi-ponte non usano... ); c'è ad esempio l'alunno di origine cinese che supplisce alle proprie difficoltà linguistiche impegnandosi il più possibile.
I critici hanno rimarcato l'autenticità di questo film, che ricorda un po' un reality show, ma meno artefatto. Se è per questo io credo che, se qualcuno piazzasse una webcam in una classe italiana scelta opportunamente, potrebbe venirne fuori qualcosa di altrettanto autentico, ma più interessante!
Per chi vedendo il film si fosse chiesto come si dice sgallettata in francese, la risposta è pétasse... che in effetti è un termine più offensivo rispetto alla traduzione italiana, e ciò spiega perché nel film le destinatarie dell'epiteto se la siano presa tanto.
Domenica scorsa, invece, avevo visto Si può fare di Giulio Manfredonia, che mi era piaciuto decisamente di più: diverte senza essere frivolo, anzi, commuove e fa riflettere.
La trama in sintesi: negli anni Ottanta il sindacalista Nello (interpretato da Claudio Bisio), considerato troppo avanti per quei tempi, viene allontanato dal sindacato e mandato a dirigere una cooperativa di malati mentali dimessi dagli ospedali psichiatrici con l'entrata in vigore della Legge 180 (al che non ho potuto fare a meno di chiedermi: com'è possibile che si sia deciso di chiudere i manicomi senza predisporre una soluzione alternativa che funzionasse adeguatamente? Mah... ). I membri della cooperativa vivono di lavori assistenziali, tipo incollare francobolli sulle buste, ma Nello, contravvenendo al parere dello psichiatra, uno della vecchia scuola incline a non lesinare psicofarmaci, si mette in testa che imparino un mestiere "vero": posare parquet. All'inizio i "matti" combinano inevitabilmente qualche pasticcio, ma poi imparano dai propri errori e diventano richiestissimi nel settore grazie alla loro creatività nel riciclare gli scarti del legno per comporre originali mosaici. Come c'era da aspettarsi, l'ingresso dei malati mentali nel mondo delle persone "normali" non è tutto rose e fiori, purtroppo... ma alla fine si può dire che Nello abbia avuto ragione a seguire l'istinto e a portare avanti la sua convinzione: «Quello che fa stare bene me farà stare meglio anche loro».
Ah, la faccenda delle cooperative per ex degenti manicomiali gestite tenendo presente il motto «Si può fare» non è fiction, ma realtà...
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