Ieri è scomparso Franco Di Mare, popolare giornalista e conduttore televisivo in Rai. Meno di un mese fa aveva parlato della sua malattia, un mesotelioma, rara forma di tumore causata dalla sua esposizione all'amianto nelle missioni di guerra svolte fino al 2000, in un'intervista al Corriere e prendendo parte in collegamento Che tempo che fa condotto da Fabio Fazio. È proprio guardando la trasmissione sul canale Nove che sono venuta a conoscenza delle sue gravi condizioni di salute, e mi si è stretto il cuore a vederlo che parlava a fatica attaccato al respiratore, anche perché l'avevo sempre apprezzato in modo particolare per la professionalità e il modo di porsi. Ho provato poi una gran rabbia quando ha riferito il comportamento nei suoi confronti dell'azienda radiotelevisiva pubblica per la quale aveva lavorato per decenni, esponendosi tra l'altro al rischio che lo avrebbe condotto presto alla morte.
Capisco che ci siano ragioni sindacali e legali, io chiedevo lo stato di servizio, l’elenco dei posti dove sono stato per sapere cosa si potrebbe fare. Non riesco a capire l’assenza sul piano umano, persone a cui davo del tu che si sono negate al telefono. Trovo un solo aggettivo: è ripugnante.
Sul Messaggero sono spiegate le possibili ragioni di questo assurdo stallo; in poche parole, maledetta burocrazia italica.
Prima di morire Franco Di Mare ha pubblicato un ultimo libro, Le parole per dirlo. La guerra fuori e dentro di noi, che ha definito «il mio testamento». Oggi tramite una delle newsletter alle quali sono iscritta ho letto un aforisma tratto dalla sua precedente opera, Sarò Franco. Manuale di sopravvivenza civile tra disincanto e speranza.
C'è un proverbio cinese che dice che la verità viene sempre dopo il però. Antica saggezza orientale. Perché se ci fate caso è vero.
Quando vogliamo dire qualcosa che è in disaccordo con quello che ha appena detto il nostro interlocutore, spesso, per una forma di cortesia, anticipiamo il nostro pensiero con una specie di formula di rito che suona più o meno così: sono d'accordo con quello che dici, però... e, subito dopo il però, diciamo quello che pensiamo per davvero, che in genere - fateci caso, vi accorgerete che è vero - è l'esatto opposto di quello che sostiene il nostro interlocutore.
Questa forma di cortesia sociale si trasforma in aperta ipocrisia quando, dietro la formuletta politicamente corretta, nascondiamo un pensiero del quale sotto sotto ci vergogniamo e che non siamo in grado di sostenere apertamente. Quante volte abbiamo detto o sentito dire frasi del tipo: io non sono intollerante, però gli scocciatori proprio non li sopporto. Ecco, questa frase nasconde (male) la sua vera essenza. Perché privata della sua inutile mediazione vuol dire: "Io sono una persona intollerante".
Dire "Sono contrario alla pena di morte, però in certi casi..." in realtà significa dire "Sono favorevole alla pena di morte".
Certe scelte di campo, soprattutto quelle che riguardano le questioni di principio, non sono negoziabili, non ci può essere mediazione, non ci sono aree grigie, nelle quale possiamo contrattare e stiracchiare i principi secondo le nostre convenienze.
Quando muore qualcuno che in qualche modo si conosceva è assai frequente che se ne parli bene, spesso con un tocco più o meno grande di ipocrisia... comunque nel caso di Franco Di Mare non ho alcuna remora ad affermare che se n'è andata una gran bella persona.
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