venerdì 6 marzo 2020

Rivalutare l'"abominevole Alessandro"

Nelle ultime due settimane è ritornato prepotentemente in auge un libro che grosso modo tutti noi dovremmo aver studiato a scuola: I promessi sposi di Alessandro Manzoni, "l'Abominevole Alessandro", come lo chiamava Mitì Vigliero nel suo memorabile Stupidario della Maturità. Per chi ha letto il romanzo è pressoché impossibile non notare le numerose analogie tra la peste del '600 e il COVID-19 attuale, anche se la prima era di origine batterica mentre il secondo è causato da un virus.
Se devo essere sincera non serbo un ricordo granché sereno del "mattone" manzoniano, come pure di quasi tutti i libri che dovetti leggere per obbligo scolastico, compresa la biografia La famiglia Manzoni di Natalia Ginzburg... eppure, dopo essermi imbattuta di recente nella citazione di alcuni brani, credo davvero che meriti una rilettura.
Il 25 febbraio scorso è stato Domenico Squillace, preside del Liceo Scientifico Volta di Milano, ad aprire la lettera agli studenti in cui commentava la chiusura della scuola con la citazione dell'incipit del capitolo 31 de I promessi sposi, dedicato all'epidemia di peste che si abbatté su Milano nel 1630.
“La peste che il tribunale della sanità aveva temuto che potesse entrar con le bande alemanne nel milanese, c'era entrata davvero, come è noto; ed è noto parimente che non si fermò qui, ma invase e spopolò una buona parte d’Italia…..”
E nel seguito ha dispensato parole di assoluto buonsenso.
Non sta a me valutare l’opportunità del provvedimento, non sono un esperto né fingo di esserlo, rispetto e mi fido delle autorità e ne osservo scrupolosamente le indicazioni, quello che voglio però dirvi è di mantenere il sangue freddo, di non lasciarvi trascinare dal delirio collettivo, di continuare - con le dovute precauzioni - a fare una vita normale. Approfittate di queste giornate per fare delle passeggiate, per leggere un buon libro, non c’è alcun motivo - se state bene - di restare chiusi in casa. Non c’è alcun motivo per prendere d’assalto i supermercati e le farmacie, le mascherine lasciatele a chi è malato, servono solo a loro. La velocità con cui una malattia può spostarsi da un capo all’altro del mondo è figlia del nostro tempo, non esistono muri che le possano fermare, secoli fa si spostavano ugualmente, solo un po’ più lentamente. Uno dei rischi più grandi in vicende del genere, ce lo insegnano Manzoni e forse ancor più Boccaccio, è l’avvelenamento della vita sociale, dei rapporti umani, l’imbarbarimento del vivere civile. L’istinto atavico quando ci si sente minacciati da un nemico invisibile è quello di vederlo ovunque, il pericolo è quello di guardare ad ogni nostro simile come ad una minaccia, come ad un potenziale aggressore. Rispetto alle epidemie del XIV e del XVII secolo noi abbiamo dalla nostra parte la medicina moderna, non è poco credetemi, i suoi progressi, le sue certezze, usiamo il pensiero razionale di cui è figlia per preservare il bene più prezioso che possediamo, il nostro tessuto sociale, la nostra umanità. Se non riusciremo a farlo la peste avrà vinto davvero.
Sabato scorso l'attore Alessio Boni, ospite del talk show Le parole della settimana condotto da Massimo Gramellini, ha declamato uno stralcio del capitolo in questione.


Ne riporto il testo qui di seguito, evidenziando i numerosi tagli... che mi fanno venire una gran voglia di rileggerlo al più presto integralmente!
La peste che il tribunale della sanità aveva temuto che potesse entrar con le bande alemanne nel milanese, c’era entrata davvero, come è noto; ed è noto parimente che non si fermò qui, ma invase e spopolò una buona parte d’Italia.
[...] furono spediti due delegati a vedere e a provvedere [...] e per tutto trovarono paesi chiusi da cancelli all’entrature, altri quasi deserti [...]. Diedero subito, per lettere, quelle sinistre nuove al tribunale della sanità, il quale, al riceverle [...] si dispose [...] per chiuder fuori dalla Città le persone provenienti da’ paesi dove il contagio s’era manifestato [...].
[...] vollero notare il nome di chi ce la portò il primo. [...] dicono che fu un soldato italiano al servizio di Spagna. [...] le cautele usate in conseguenza, fecero sì che il contagio non vi si propagasse di più.
Ma il soldato ne aveva lasciato di fuori un seminìo che non tardò a germogliare.
[...] Alla riputazione della scienza s’aggiungeva quella della vita, e all’ammirazione la benevolenza.
[...] Ho creduto che non fosse fuor di proposito il riferire e il mettere insieme questi particolari [...] d’un celebre delirio; perché [...] ciò che è più interessante e più utile a osservarsi, mi pare che sia appunto la strada che hanno fatta, l’apparenze, i modi con cui hanno potuto entrar nelle menti, e dominarle.
[...] Si potrebbe però, tanto nelle cose piccole, come nelle grandi, evitare, in gran parte, quel corso così lungo e così storto, prendendo il metodo proposto da tanto tempo, d’osservare, ascoltare, paragonare, pensare, prima di parlare.
Ma parlare, questa cosa così sola, è talmente più facile di tutte quell’altre insieme, che anche noi, dico noi uomini in generale, siamo un po’ da compatire.

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