mercoledì 22 agosto 2018

Essere umani

In quest'epoca che non esito a definire buia per l'umanità, intesa come «Complesso di doti e sentimenti solitamente positivi che si ritengono propri dell'uomo e lo distinguono dalle bestie», sento più che mai il bisogno di prendere in esame biografie edificanti per cercare di risollevarmi un po' il morale. Oggi te ne propongo un paio, entrambe ahimè appartenenti al passato più o meno recente.
Comincio dalla vicenda di Astutillo Malgioglio detto "Tito", portiere di riserva dell'Inter di Trapattoni, rievocata dal giornalista de Il Fatto Quotidiano Paolo Ziliani prendendo spunto dalla notizia del matrimonio del calciatore Lionel Messi, celebrato lo scorso anno. Gli sposi hanno invitato i 260 selezionatissimi ospiti dell'esclusiva cerimonia a non fare regali, ma donazioni a una ONG che si occupa dell'allestimento di rifugi d'emergenza. La somma raccolta è stata pari all'equivalente di 10mila euro, ossia 37 miseri euro a testa. Che c'entra Malgioglio? Beh, negli anni '80 il giocatore aveva aperto vicino a casa una palestra per la rieducazione motoria dei bambini cerebrolesi, e coadiuvato dalla moglie prestava questo servizio gratuitamente mettendo a disposizione tutto il suo tempo libero. Si può fare a meno di giudicare un simile comportamento encomiabile? Incredibile ma vero, sì che si può: Ziliani ricorda che Malgioglio gli raccontò «che stava facendo tutto questo da 7-8 anni ma a fari spenti, quasi in incognito: perché non era buona cosa, per come andavano le cose nel mondo del pallone, che un calciatore professionista si distraesse con pensieri (o attività) inutili o bizzarre come, appunto, aiutare il prossimo», e che «l’Associazione Calciatori, sul suo giornale, aveva aperto una sottoscrizione tra tutti gli iscritti (gli oltre mille calciatori di serie A, serie B, serie C1 e serie C2) per raccogliere fondi a favore dell’attività di Tito; e che alla fine il ricavato era stato di 700 mila lire, che con un certo imbarazzo l’AIC aveva provveduto a fargli avere».
L'altra storia, nella quale mi sono imbattuta per caso nei giorni scorsi bazzicando i social, risale all'epoca della Seconda Guerra Mondiale e vede protagonista Irena Sendler (1910–2008), l'infermiera polacca divenuta famosa per avere salvato, insieme con una ventina di altri membri della Resistenza polacca, circa duemilacinquecento bambini ebrei, facendoli uscire di nascosto dal ghetto di Varsavia, fornendo loro falsi documenti e trovando rifugio per loro in case al di fuori del ghetto.

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