giovedì 31 ottobre 2019

Chi ha paura di Allouìn?

Un paio di settimane fa la pagina Facebook Le vere origini di Halloween (c'è anche un sito) ha pubblicato una raccolta di infografiche per sfatare i più comuni pregiudizi relativi all'odierna ricorrenza di Halloween. Devo ammettere che ciò non mi ha lasciata indifferente: questa festa mi è sempre stata abbastanza antipatica, mentre adesso... beh, non posso certo dire di amarla, ma almeno la sopporto più di buon grado! ;-)
Ecco la trascrizione del testo riportato sulle immagini (si ringrazia Free Online OCR).
HALLOWEEN NON È UNA FESTA CHE APPARTIENE ALLA NOSTRA CULTURA
Falso!
In tutte le regioni d'Italia si tramandano da secoli tradizioni molto simili a quelle della festa che tutti conosciamo: travestimenti, zucche intagliate, dolci tipici, attività simili a "dolcetto o scherzetto", sono tutte cose che fanno parte della cultura di ogni regione italiana e sono retaggio di antiche feste locali pagane, adottate poi dal cristianesimo.
HALLOWEEN SPAVENTA I BAMBINI?
No!
I travestimenti di Halloween sono un potente mezzo per esorcizzare le proprie paure.
Questa festa si serve, infatti, di simboli magici che affascinano: evoca e libera dalla paura proprio per i contenuti a sfondo macabro che sono il tema dominante. Halloween ha quindi una funzione liberatoria: grazie ai "rituali" del 31 ottobre prendiamo in giro la paura, la combattiamo e la sconfiggiamo.
SAMHAIN È UN TERRIBILE DIO DELLA MORTE?
No.
Samhain è un'antica parola celtica che significa "fine dell'estate" ed è il nome della festa da cui prende origine Halloween.
Non esiste nella mitologia celtica una divinità con quel nome, né tantomeno esistono divinità della morte in quanto tali.
Inoltre ai tempi dei celti non vi era un concetto di "bene e male" come lo intendiamo oggi, non ci sono quindi divinità del tutto maligne.
HALLOWEEN È UNA FESTA CRISTIANA?
Anche!
La parola Halloween è la contrazione della frase "All Hallows Eve", ovvero "Notte di Ognissanti".
Quando il cristianesimo si diffuse in Europa, inglobò molte delle antiche feste pagane, mantenendo le tradizioni precedentemente esistenti per rendere il passaggio alla nuova religione più accettabile.
Sono molti secoli che Halloween viene festeggiata dai cristiani di tutto il mondo.
HALLOWEEN È UNA FESTA PERICOLOSA/MALIGNA?
No.
Halloween deriva da un'antica festa celtica che segnava l'ultimo raccolto, la fine dell'anno ed era dedicata ai morti. Vi erano feste simili in tutta Europa (anche in Italia!).
Non c'è niente di maligno in questa notte, che anzi era considerata sacra. Celebrando Halloween non si stanno quindi celebrando le forze del male (come si legge spesso in alcuni volantini/articoli contro Halloween). Si stanno solo rivivendo tradizioni millenarie!
HALLOWEEN È UNA FESTA AMERICANA?
No.
Halloween deriva da un'antica festa celtica che segnava l'ultimo raccolto, la fine dell'anno ed era dedicata ai morti. Vi erano feste simili in tutta Europa (anche in Italia!).
Queste tradizioni (che comprendono il travestimento, la zucca intagliata e "dolcetto o scherzetto") vennero poi esportate in America dagli emigranti europei.
Halloween è quindi una festa europea!
Halloween è... trick or treat
Le uniche cose che vengono "sacrificate" ad Halloween sono... i dolci!
Niente a che vedere con riti demoniaci o con pollame di vario genere, solamente cestini stracolmi di biscotti, caramelle, mele caramellate e chi più ne ha più ne metta; per la gioia di tutti i dentisti di paese, l'usanza nata da una storiella celtica porta ancora oggi i bambini (e non solo) a bussare alle porte travestiti da spiritelli al grido di "Dolcetto o scherzetto?".
Fatevi trovare pronti se non volete finire vittime di schiume colorate o altro ancora!
Halloween è... travestimento
Vecchie lenzuola, maschere colorate e tanta, tanta fantasia.
Per i contadini delle campagne scozzesi e irlandesi era usanza travestirsi da mostri o fantasmi per spaventare gli spiriti o per confondersi tra di loro così da poter proteggere le loro famiglie e i loro terreni.
Niente di più divertente ai giorni nostri, per grandi e piccini, potersi sbizzarrire nelle idee più strampalate o nei classici intramontabili della tradizione horror.
Halloween è... italiana!!!
Chi è convinto che Halloween sia soltanto una festa "rubata" ad altri paesi si sbaglia di grosso.
Vi sono infatti feste simili presenti in Italia da moltissimo tempo; caratterizzate naturalmente dagli usi e costumi delle nostre regioni, ma con usanze molto simili a quelle comuni: come l'accensione di falò (in origine rami secchi di ginestra) che dovrebbero servire ad illuminare la strada di casa ai nostri cari defunti, o gare di zucche decorate, e tanti altri esempi che appartengono di diritto alle tradizioni del nostro bel paese.

Basta guardarsi intorno e informarsi senza avere troppi inutili pregiudizi!
Halloween è... decorazioni
Zucche indiavolate? No! Solamente innocenti rape porta-candela!
Gli antichi, infatti, usavano infilare una candela in una rapa cava posta fuori dalla finestra affinché gli spiriti ritrovassero la strada di casa. La zucca arrivò molti anni più tardi, quando i primi coloni inglesi migrarono in America, e non avendo a disposizione rape le sostituirono con le zucche.
Una questione di comodità, visto che essendo molto grandi permettevano di essere intagliate e quindi di poterci disegnare sopra facce buffe o spaventose per scacciare gli spiriti cattivi.
Un'altra occasione buona per dare libero sfogo alla propria fantasia anche e soprattutto ai nostri tempi, sicuri di non cadere nelle solite "considerazioni errate" legate a demoni malvagi o magia nera, a meno che voi non siate fortemente impauriti da rape e zucche luminose!
Halloween è... propedeutica
Genitori, non abbiate timore!
I travestimenti di Halloween sono un potente mezzo per esorcizzare le proprie paure. Evocano e liberano dalla paura, proprio per i contenuti a sfondo macabro che sono il tema dominante di questa festa. Infatti grazie ai "rituali" del 31 ottobre prendiamo in giro la paura, la combattiamo e la sconfiggiamo.
I vostri bambini sapranno sicuramente di quale creatura terribile vorranno vestire i panni. Si trasformeranno così nelle loro stesse paure, entreranno in quello che per loro è il mondo dell'ignoto, e riusciranno a farsi beffa di questo sapendo di essere "più che al sicuro".
Per quanti di voi adulti che non hanno avuto la possibilità di scherzare con le proprie umane paure durante l'infanzia, approfittatene adesso! Assieme ai vostri figli (nipoti, cuginetti...).
Dolcetto o scherzetto?

mercoledì 30 ottobre 2019

Messaggi inaspettati

Negli ultimi giorni si è diffuso con una viralità impressionante il post pubblicato dalla giovane americana Chastity Patterson su Facebook. Quattro anni fa la ragazza ha perduto il papà, ma non ha mai smesso di mandargli messaggi sul telefonino, immagino per continuare a sentirlo vicino in qualche modo; io non ho mai pensato di farlo, ma posso capire. Nel frattempo il numero di cellulare del padre è stato assegnato a un altro utente, e pochi giorni fa il nuovo intestatario, che ha una storia sorprendentemente complementare a quella di Chastity, ha deciso di rispondere. Dopodiché la ragazza ha deciso di condividere gli screenshot dei messaggi, accompagnati dalla scritta «Mando un messaggio a mio papà ogni giorno per fargli sapere come va la mia giornata, negli ultimi quattro anni! Oggi ho avuto il segno che va tutto bene e posso lasciarlo riposare in pace!».
Ehi papà sono io
Domani sarà di nuovo una giornata difficile! Sono passati 4 anni da quando ti ho perduto e non passa giorno senza che tu mi manchi. Sono successe molte cose in questo periodo, ma sono sicura che lo sai perché te lo dico sempre. Ho sconfitto il cancro e non mi sono ammalata da quando eri qui, te l'avevo promesso che mi sarei presa più cura di me stessa! Ho finito il college e mi sono laureata con lode, adesso sono tornata e sto finendo di nuovo! Mi sono innamorata e mi è stato spezzato il cuore (tu lo avresti ucciso) ma ho alzato la testa e sono diventata una donna ancora più forte. Ho perso tutti i miei amici e ho toccato il fondo, ma ho trovato qualcuno che è entrato nella mia vita e mi ha salvata! Non ho ancora figli, tu saresti così felice, ma sono pronta. Faccio ancora impazzire la mamma ogni giorno, ma la tengo in piedi. Mi dispiace di non esserci stata quando avevi più bisogno di me, ma un giorno avremo l'occasione di guardare quella partita! Ho paura del matrimonio perché dovrò percorrere da sola quella lunga navata e tu non sarai lì per dirmi che andrà tutto bene. Sto benissimo, tu saresti così orgoglioso della donna che sono diventata... NOOOOO la mia lingua lunga e l'atteggiamento non sono cambiati e NO non ho preso peso, mi va solo in testa! Volevo solo dirti che ti voglio bene e mi manchi davvero!
Ciao tesoro, non sono tuo padre, ma ho ricevuto tutti i tuoi messaggi negli ultimi 4 anni. Non vedo l'ora di ricevere i tuoi messaggi mattutini e i tuoi aggiornamenti notturni. Mi chiamo Brad e ho perso mia figlia in un incidente d'auto nell'agosto 2014 e i tuoi messaggi mi hanno tenuto in vita. Quando mi scrivi, so che è un messaggio di Dio. Mi dispiace che tu abbia perso qualcuno così vicino a te, ma ti ho ascoltata nel corso degli anni e ti ho vista crescere e andare avanti più di chiunque altro. Erano anni che avrei voluto risponderti, ma non volevo spezzarti il ​​cuore. Sei una donna straordinaria e vorrei che mia figlia fosse diventata la donna che sei, grazie per i tuoi aggiornamenti quotidiani, mi ricordi che c'è un Dio e che non è stata colpa sua se la mia bambina se n'è andata. Lui mi ha dato te, il mio piccolo angelo, e sapevo che questo giorno sarebbe arrivato. Andrà tutto bene, tu impegnati ogni giorno e risplendi della luce che Dio ti ha donato. Mi dispiace che tu debba affrontare tutto questo, ma se può farti sentire meglio, sono molto orgoglioso di te!
P.S. Penso che tuo padre sarebbe felice di sapere che hai comprato un altro cane invece di avere figli. Stammi bene, e non vedo l'ora di ricevere i tuoi aggiornamenti domani.
Questo scambio di messaggi l'ho letto stamattina in treno, e alla fine avevo gli occhi pieni di lacrime. Pur credendo in Dio, comunque, non reputo questo episodio una prova inconfutabile della sua esistenza, ma semplicemente un'incredibile coincidenza. Ogni giorno innumerevoli persone devono dire addio a un loro caro, ma è un caso più unico che raro che qualcuno ne riceva un "messaggio dall'aldilà", a meno di non voler trovare un significato particolare in avvenimenti che in realtà non ne hanno. Anch'io ho perso mio padre quattro anni fa, anzi quasi quattro e mezzo, e anch'io ne sento la mancanza ogni singolo giorno, ma non mi ha mai mandato nessun "segno". Però riconosco la sua impronta nella persona che sono diventata, e questo mi basta.
Colgo l'occasione per condividere un paio di spunti che ho trovato nel corso del tempo riguardo alla perdita di un genitore. La quale è sicuramente un evento più "naturale" rispetto al suo opposto – genitori che sopravvivono ai figli – ma non per questo è facile da affrontare e superare, anzi.

martedì 29 ottobre 2019

Siamo tutti un po' di parte

Oggi mi è capitato di leggere una pagina Wikipedia piuttosto interessante, dedicata al bias di conferma, che in psicologia indica un fenomeno cognitivo umano per il quale le persone tendono a muoversi entro un ambito delimitato dalle loro convinzioni acquisite; in parole povere a ricercare, selezionare e interpretare informazioni in modo da porre maggiore attenzione su quelle che confermano le proprie convinzioni o ipotesi, e viceversa, ignorare o sminuire informazioni che le contraddicono. Mi è venuto spontaneo ricollegare questo concetto all'immagine qui sotto, tratta da Why Are We Yelling? (Perché stiamo urlando?) di Buster Benson: Cognitive bias cheat sheet (Bigino sui bias cognitivi), con sottotitolo "perché pensare è difficile". (In effetti il bias di conferma è un tipo particolare di bias cognitivo)

  1. Troppe informazioni
    Quindi nota soltanto...
    • cambiamenti
    • stranezze
    • ripetizioni
    • conferme
  2. Significato insufficiente
    Quindi riempi gli spazi con...
    • schemi
    • informazioni generiche
    • beneficio del dubbio
    • problemi più semplici
    • la nostra mentalità attuale
  3. Tempo non sufficiente
    Quindi supponi...
    • che abbiamo ragione
    • che possiamo farlo
    • che la cosa più vicina è la migliore
    • che bisogna finire ciò che si è iniziato
    • che le opzioni vanno tenute aperte
    • che più facile è, meglio è
  4. Memoria insufficiente
    Quindi risparmia spazio...
    • modificando i ricordi verso il basso
    • generalizzando
    • tenendo un esempio
    • usando la memoria esterna
Questi spunti mi danno da pensare sul fatto che in fondo siamo tutti, chi più chi meno, in qualche misura biased, ovvero non obiettivi, influenzati dai pregiudizi, anche se non ci piace ammetterlo...

lunedì 28 ottobre 2019

Il popcorn è la derivata seconda della pannocchia!?

Quest'oggi condivido alcune immagini che illustrano in maniera (forse un filino troppo) intuitiva il concetto di derivata e di integrale!


Le ultime due le ho prese da I love Mathematics, una pagina Facebook che è un'autentica miniera di chicche di questo genere...

domenica 27 ottobre 2019

La fortuna di nascere nel posto "giusto"

Quest'oggi ti propongo un'immagine trovata sui social...


... e due video, uno risalente a due anni fa...
"Ci chiamate terroristi, ma guardate cosa ci stanno facendo! Aiutateci!" (il disperato appello di un ragazzino siriano ai paesi del mondo)
... e l'altro andato in onda venerdì scorso durante l'ultima puntata di Propagandalive...
"In nome di Dio fate qualcosa per noi": in esclusiva le immagini del centro di detenzione libico di Trik al Sikka
... che dovrebbero far riflettere, perlomeno chi non ha ancora smarrito ogni residuo barlume di umanità. Da notare che i protagonisti dei video fanno appello a Dio, in modo senza dubbio più autenticamente sentito di quanto facciano taluni politici di casa nostra, che in pubblico baciano il rosario, sbandierano la Bibbia e si affidano alla Vergine Maria, ma poi nella loro attività perseguono approcci che sono quanto di meno "cristiano" si possa immaginare. (Il servizio di Report andato in onda lunedì scorso è tristemente illuminante in tal senso)

sabato 26 ottobre 2019

Con gli occhi di un bambino

Ieri una mia "facciamica" ha condiviso l'immagine qui sotto, della quale son voluta risalire alla fonte: si tratta del commento lasciato da una certa KateP nel 2012 a un articolo del Guardian su un fumetto che mostrava un matrimonio gay, e sulle minacce di boicottaggio che ne sono scaturite.


Ecco la traduzione.
Sono stata costretta a spiegare l'omosessualità ai miei figli (3 e 4 anni) perché il loro zio è gay. Questa esperienza incredibilmente difficile e traumatica è andata come segue:
Figlio: Perché zio Bob va dappertutto con Pete?
Io: Perché sono innamorati, proprio come lo sono la mamma e il papà.
Figlio: Oh. Posso avere un biscotto?
Siamo tutti traumatizzati a vita. Traumatizzati, te lo dico io.
Mi è venuto spontaneo ricollegare questo piccolo ma assai significativo aneddoto a un monologo di Claudio Bisio intitolato I bambini sono di sinistra, che cita nientepopodimenoché quel "comunistone" di Gianni Rodari. Qui di omosessualità non si parla, ma ad esempio la frase sui compagni d'asilo dalle nazionalità più disparate rispecchia lo stesso identico atteggiamento puro e incontaminato dei bambini piccoli nei confronti delle cose che a loro sembrano (perché lo sono) normali... poi purtroppo col tempo i pargoli finiscono con l'assimilare i pregiudizi che i "grandi" con cui sono a contatto trasmettono loro.
I bambini sono di sinistra. Di sinistra, sì, nessun dubbio. Non soltanto per via dei pugnetti stretti in segno di precoce protesta.
I bambini sono di sinistra perché amano senza preconcetti, senza distinzioni.
Sono di sinistra perché si fanno fregare quasi sempre. Ti guardano, cacci delle balle vergognose e loro le bevono, tutti contenti. Sorridono, si fidano. Bicamerale! Sì, dai!
I bambini sono di sinistra perché stanno insieme, fanno insieme, litigano insieme. Insieme, però.
I bambini sono di sinistra perché se gli spieghi cos’è la destra piangono.
I bambini sono di sinistra perché se gli spieghi cos’è la sinistra piangono lo stesso, ma un po’ meno.
I bambini sono di sinistra perché a loro non serve il superfluo.
Sono di sinistra perché le scarpe sono scarpe, anche se prima o poi delle belle Nike o Adidas o Puma, o Reebok, o Superga gliele compreremo. Noi siamo no-logo, ma di marca!
I bambini sono di sinistra malgrado l’ora di religione obbligatoria.
I bambini sono di sinistra grazie all’ora di religione obbligatoria.
I bambini sono di sinistra perché comunque, qualsiasi cosa tu gli dica che assomiglia vagamente a un ordine, fanno resistenza. Ora e sempre.
I bambini sono di sinistra perché occupano tutti gli spazi della nostra vita.
I bambini sono di sinistra perché fanno i girotondi da tempi non sospetti.
I bambini sono di sinistra perché vanno all’asilo con bambini africani, cinesi o boliviani e quando il papà dice: “Vedi, quello lì è africano” lo guardano come si guarda una notizia senza significato.
I bambini sono di sinistra perché quando si commuovono piangono, mentre noi adulti teniamo duro, non si sa bene perché.
I bambini sono di sinistra perché se li critichiamo si offendono. Ma se li giudichiamo non invocano il legittimo sospetto e se li condanniamo aspettano sereni l’indulto che prima o poi arriva: la mamma, Ciampi, il Papa.
“Papà posso vedere la cassetta?”. Chi l’ha detto? “Il Papa”.
I bambini sono di sinistra perché si fanno un’idea del mondo che nulla ha a che fare con le regole del mondo.
I bambini sono di sinistra perché se gli metti lì un maglioncino rosso e un maglioncino nero scelgono il rosso salvo turbe gravi, daltonismo o suggerimento di chi fa il sondaggio.
I bambini sono di sinistra perché Babbo Natale somiglia a Carlo Marx.
Perché Cenerentola è di sinistra, perché Pocahontas è di sinistra, perché Robin Hood è di avanguardia operaia… fa gli espropri proletari.
I bambini sono di sinistra perché hanno orrore dell’orrore. Perché di fronte alla povertà, alla violenza, alla sofferenza soffrono.
I bambini sono di sinistra perché il casino è un bel casino e perché l’ordine non si sa cos’è.
I bambini sono di sinistra perché crescono e cambiano.
I bambini sono di sinistra perché tra Peter Pan e Che Guevara prima o poi troveranno un nesso.
I bambini di sinistra, se ce la fanno, conservano qualcosa per dopo. Per quando diventa più difficile, difficilissimo, ricordare di essere stati bambini.
Di sinistra, poi.
Il testo l'ho recuperato da un post che Claudio Bisio pubblicò qualche giorno dopo il Concertone del 1° maggio 2005; per l'occasione l'attore, che conduceva l'evento, interpretò quel brano, tratto dal suo omonimo spettacolo teatrale, e inesorabili arrivarono le polemiche.

venerdì 25 ottobre 2019

La somma di tante piccole cose

Quest'oggi ti propongo un video dal titolo Simon Sinek - Do you love your wife? Best Explanation on leadership in Relationships and Business (Simon Sinek - Ami tua moglie? La migliore spiegazione sulla leadership nelle relazioni e negli affari). Anche se il tema della leadership non mi interessa granché – di sicuro non ho l'ambizione di diventare una leader, a nessun livello, e neppure l'indole e le capacità necessarie – ho guardato il video perché ero incuriosita dalla domanda iniziale, volevo capire che c'entrasse l'amore... e beh, ne è valsa la pena, perché oltre che di leadership si parla più in generale di quanto sia importante la perseveranza per raggiungere un obiettivo. Che sia ottenere il lavoro dei propri sogni, oppure conquistare l'amore della propria vita.


Ed ecco la traduzione di ciò che dice questo Simon Sinek.
Ami tua moglie? Sì? Dimostralo. Tipo, qual è il metodo di misura? Dammi il numero che mi aiuta a capirlo, ok? Perché quando l'hai conosciuta non la amavi. Adesso la ami, giusto? Dimmi il giorno in cui è iniziato l'amore. È una domanda impossibile, ma non è che non esiste, è che è molto più facile dimostrarlo nel tempo. Giusto?
La leadership è la stessa cosa. Riguarda le transizioni. Quindi, se tu dovessi andare in palestra, è come fare esercizio fisico, giusto? Se vai in palestra, ti alleni e torni, e ti guardi allo specchio, non vedrai nulla. E se vai in palestra il giorno dopo, e torni e ti guardi allo specchio, non vedrai nulla. Giusto? Quindi, chiaramente, non ci sono risultati, non possono essere misurati, non deve essere efficace. Quindi smettiamo. Giusto? Oppure, se fondamentalmente credi che questo sia il giusto modo di agire, e ti attieni ad esso, come in una relazione «Le ho comprato dei fiori e le fatto gli auguri di buon compleanno, e lei non mi ama», chiaramente lascerò perdere. Non è così che funziona. Se credi che ci sia qualcosa, ti impegni per ottenere un risultato. Ti impegni con la dieta, l'esercizio. Puoi rovinare tutto. Puoi mangiare torta al cioccolato un giorno, e puoi saltare la palestra un giorno o due, lo sai. Ci può stare. Ma se ti attieni al tuo obiettivo con costanza, non so esattamente quando, ma so che comincerai a rimetterti in forma. Lo so. E lo stesso con le relazioni. Non c'entrano gli eventi, non c'entra l'intensità, c'entra la costanza. Giusto? Tu puoi anche andare dal dentista due volte all'anno, ma alla fine ti cadranno i denti. Devi lavarti i denti due volte al giorno per due minuti. Che effetto ha lavarsi i denti due volte al giorno per due minuti? Nessuno. A meno che tu non lo faccia ogni giorno, due volte al giorno, per due minuti. Giusto? È la costanza. Andare in palestra per nove ore non ti rimette in forma. Allenarsi ogni giorno per venti minuti ti rimette in forma.
Quindi il problema è che trattiamo la leadership con intensità. Andiamo due giorni fuori sede, invitiamo un gruppo di relatori, diamo a tutti un certificato, sei un leader! Giusto? Quelle cose sono come andare dal dentista. Sono molto importanti, sono utili per riportarci in carreggiata o imparare nuove lezioni, ma è la pratica quotidiana di tutte le piccole cose monotone e noiose come lavarsi i denti che conta di più. Lei non si è innamorata di te perché ti sei ricordato del suo compleanno e le hai comprato dei fiori per San Valentino. Si è innamorata di te perché, quando ti sei svegliato la mattina, le hai detto «Buongiorno» prima di controllare il telefono. Si è innamorata di te perché, quando sei andato al frigorifero per prenderti qualcosa da bere, l'hai preso anche per lei senza nemmeno chiederglielo. Si è innamorata di te perché, quando hai avuto una giornata fantastica al lavoro e lei è tornata a casa dopo una giornata terribile al lavoro, non hai detto «Sì, sì, sì, ma lascia che ti racconti della mia giornata». Ti sei seduto accanto a lei e l'hai ascoltata parlare della sua giornata terribile, e non hai detto nulla della tua giornata fantastica. Ecco perché si è innamorata di te. Non posso dirti esattamente in che giorno, e non è stato per qualcosa di particolare che hai fatto; è stato per l'accumulo di tutte quelle piccole cose che lei si è svegliata un giorno, ed è come se avesse premuto un pulsante, ha detto «Lo amo». Giusto?
La leadership è esattamente la stessa cosa. Non c'è nessun evento. Non c'è nessuna cosa che io posso dirti che devi fare perché la gente si fidi di te, non funziona così. È un accumulo di tante e tante piccole cose ciascuna delle quali di per sé è innocua e inutile. Letteralmente, senza scopo di per sé. Le persone guarderanno le piccole cose che sono buone pratiche di leadership e diranno «Non funzionerà», ed è assolutamente vero. Ma se lo fai con costanza, e lo fai in combinazione con molte altre piccole cose, come dire buongiorno a qualcuno, guardarlo negli occhi. Il mio amico George, che era un generale nel corpo dei marines, dice che il suo test per un buon leader è: se chiedi a qualcuno come va la sua giornata, ti interessa davvero la risposta? Quante volte andiamo a una riunione, siamo di fretta, diciamo «Come va?» e ci rispondono «Non va bene, ci vediamo dopo, sono in ritardo per un incontro». Se hai fatto la domanda e stavi lì pronto ad ascoltare la risposta, sono quelle piccole cose innocue che fai, ancora e ancora e ancora, per cui la gente dirà «Amo il mio lavoro». Non «Mi piace il mio lavoro», mi piace il mio lavoro significa «Sì, è tutto molto stimolante, mi pagano bene, mi piacciono le persone». «Amo il mio lavoro» significa «Non voglio lavorare da nessun'altra parte. Non m'importa quanto qualcun altro sia disposto a pagarmi. Sono leale con le persone qui, e mi importa disperatamente delle persone qui come se fossero la mia famiglia». Nel mondo degli affari abbiamo colleghi e collaboratori. In campo militare hanno fratelli e sorelle. È così che si pensano l'un l'altro. Se c'è davvero una forte cultura aziendale, le persone si penseranno l'una con l'altra come fratelli e sorelle. Sicuramente «È come una famiglia», giusto? No. Fratelli e sorelle. Amore profondo. Litighi, ma l'amore non va via. Bisticci, l'amore non va via. E io litigherò con mia sorella, ma se minacci mia sorella, dovrai vedertela con me. Giusto? Litigheremo internamente, bisticceremo l'uno con l'altro, ma nessuno si farà del male a vicenda, e se si presenta qualcosa dall'esterno, stai guardando un fronte unificato. Fratelli e sorelle. Ora, come si creano fratelli e sorelle da estranei? Credenze comuni, valori comuni, sapete, genitori, in altre parole, dirigenti, che hanno a cuore il successo dei loro figli. Chi si preoccupa di crescere i propri figli, insegnare loro le capacità, disciplinarli quando necessario, aiutarli a costruire la propria autostima in modo che possano andare avanti e realizzare qualcosa di più di quanto abbiano mai immaginato di realizzare da soli. Questa è la leadership.
P.S.: Quest'ultima parte mi ha messa un po' in crisi: a me piace il mio lavoro – è sicuramente impegnativo, per quanto stimolante, ma visto il tempo e la fatica che ci ho messo per trovarlo sarei ingrata e persino folle se osassi lamentarmene – però non posso dire di amarlo, perlomeno non ancora. E invidio benevolmente chi invece può affermare una cosa del genere con schiettezza...

giovedì 24 ottobre 2019

La vita sui social media

Oggi condivido una piccola rassegna di immagini che illustrano vari aspetti delle dinamiche sui social, e che ho raccolto – indovina un po'? ;-) – sui social.

mercoledì 23 ottobre 2019

Una battaglia di civiltà


Quest'oggi ho avuto modo di leggere l'articolo dal titolo Paralympic gold medalist Marieke Vervoort ends her life in Belgium (La medaglia d'oro paralimpica Marieke Vervoort termina la sua vita in Belgio) pubblicato sul sito del Guardian, e ho ritenuto che valesse proprio la pena di tradurlo, soprattutto per via di quei passaggi che ho voluto evidenziare in grassetto.
La paralimpica Marieke Vervoort disse che, per quando fosse arrivato il giorno, aveva già firmato i documenti per l'eutanasia ed era pronta a porre fine alla sua vita. Quel giorno è arrivato martedì nel suo Paese natale, e la sua morte è stata confermata in una dichiarazione della città di Diest.
La Vervoort, 40 anni, ha vinto medaglie d'oro e d'argento nel 2012 alle Paralimpiadi di Londra nella corsa su sedia a rotelle, e altre due medaglie tre anni fa a Rio de Janeiro.
In un'intervista alle Paralimpiadi di Rio, la Vervoort ha spiegato di vivere con un dolore incessante a causa di una patologia spinale incurabile e degenerativa. Ha raccontato che certe notti riusciva a dormire solamente 10 minuti, ha parlato di un forte dolore che faceva svenire gli altri soltanto a guardarla, e ha descritto in dettaglio come lo sport la tenesse in vita.
«È troppo difficile per il mio corpo», ha dichiarato la Vervoort nell'intervista del 2016. «Ad ogni allenamento soffro a causa del dolore. Ad ogni gara per cui mi alleno duramente. Allenarmi, correre e fare competizione sono medicine per me. Mi spingo così tanto in là per spingere letteralmente via la mia paura e tutto il resto».
La Vervoort era una forte sostenitrice del diritto di scegliere l'eutanasia, che è legale in Belgio. Come gli allenamenti duri, ha detto che le ha dato il controllo e ha messo «la mia vita nelle mie mani».
«Ho davvero paura, ma quei documenti (per l'eutanasia) mi danno molta tranquillità perché so che, quando ne avrò abbastanza, li avrò a disposizione», ha dichiarato. «Se non avessi quei documenti, penso che mi sarei già suicidata. Penso che ci saranno meno suicidi quando ogni Paese avrà una legge sull'eutanasia. Spero che tutti vedano che questo non è un omicidio, ma fa vivere le persone più a lungo».
La Vervoort ha anche avuto degli attacchi epilettici, di cui uno nel 2014 mentre stava cucinando la pasta e si è versata dell'acqua bollente sulle gambe. Ciò ha comportato quattro mesi di degenza in ospedale.
Un fedele labrador di nome Zenn ha cominciato a stare con lei, toccandola con la zampa quando stava per avere un attacco. Zenn le ha anche tirato fuori le calze dal cassetto, ha raccontato lei, e l'ha aiutata a portare a casa la spesa quando la Vervoort comprava troppa roba. «Quando sto per avere un attacco epilettico, mi avverte un'ora prima», ha raccontato la Vervoort. «Non so come faccia a sentirlo».
La Vervoort ha confessato di aver continuato a respingere il giorno della sua morte, sapendo che potrebbe arrivare in qualsiasi momento, come può accadere per chiunque. Ha spiegato di poter essere priva di dolore un minuto, ed arrivare quasi a svenire pochi minuti dopo. «Devi vivere giorno per giorno e goderti i piccoli momenti», ha detto. «Tutti domani possono avere un incidente d'auto oppure un infarto e morire. Può essere domani per tutti».
La Vervoort si è autodefinita una «signora pazza». Parlava di volare in un jet da combattimento F-16, di guidare un'auto da rally, e stava curando un museo della sua vita risalente ad almeno 14 anni quando le venne diagnosticata la sua rara malattia. Aveva i capelli a punta e voleva essere ricordata come la signora che «rideva sempre, sorrideva sempre».
«Mi sento diversa riguardo alla morte ora rispetto ad anni fa», ha affermato la Vervoort. Per me penso che la morte sia qualcosa come se ti operano, ti addormenti e non ti svegli più. Per me è qualcosa di pacifico».
A proposito di eutanasia, consiglio di guardare questo video, nel quale l'esponente radicale Marco Cappato commenta la recente sentenza della Corte costituzionale che l'ha assolto dall'accusa di aiuto al suicidio per aver accompagnato Fabiano Antoniani, in arte DJ Fabo, il quale era rimasto tetraplegico e non vedente in seguito a un incidente stradale, a morire dignitosamente in Svizzera. A me questo sembra un piccolo ma significativo passo avanti verso un'Italia più civile, dove chi è affetto da patologie che ne rendono la vita a suo parere non più degna di essere vissuta abbia il diritto di decidere di morire, e di essere aiutato a farlo nella maniera più indolore possibile, sotto controllo medico, anziché correre il rischio di arrivare per disperazione a porre fine alle proprie sofferenze nei modi più atroci, sempre che ne sia fisicamente in grado. Ovviamente a chi al contrario crede che la (propria) vita vada vissuta sempre e comunque deve essere riconosciuto l'altrettanto sacrosanto diritto ad essere assistito nel migliore dei modi fino all'ultimo.

martedì 22 ottobre 2019

Addio al "papà" di Pollon


Quelli della mia generazione probabilmente ricorderanno il cartone animato – all'epoca non li chiamavano ancora animeC'era una volta... Pollon, e in particolare lo sketch qui sotto, che ricorreva in parecchi episodi.


Ebbene sì, la giovanissima aspirante dea figlia di Apollo era solita lanciare una sorta di polvere magica intonando «Sembra talco ma non è, serve a darti l'allegria / se lo lanci o lo respiri ti dà subito l'allegria». All'epoca, piccola e ingenua com'ero, mai e poi mai avrei potuto pensare che dietro quella giocosa cantilena potesse celarsi un'allusione alla cocaina... e in effetti, quando venne realizzato l'adattamento dell'originale giapponese, nessun traduttore, doppiatore o regista aveva immaginato alcun doppio senso; quell'interpretazione così poco consona a un cartone animato per bambini sarebbe emersa solo successivamente. Sono venuta a conoscenza di questi ed altri retroscena l'estate scorsa leggendo un articolo di Link - Idee per la tv intitolato La buffa storia vera di Pollon e le droghe. In effetti la storia non era poi così buffa, anzi: nell'articolo si raccontano tra l'altro i problemi di alcolismo (e non solo) avuti da Hideo Azuma, l'ideatore del fumetto – più propriamente detto manga – da cui era tratta la serie animata. Il suo nome mi è rimasto impresso, perché lo leggevo nei titoli di testa (oppure di coda, non pretendere troppo dalla mia memoria ;-) ). E colgo l'occasione per confessare, non senza un pizzico di imbarazzo, che devo proprio a quell'Olimpo a dir poco strampalato le basi della mia conoscenza della mitologia greca.
Ebbene, giusto ieri sono venuta a sapere della scomparsa di Azuma, deceduto a 69 anni il 13 ottobre scorso a causa di un cancro all'esofago; la famiglia ha svolto funzioni private, e la notizia della morte è stata diffusa solo alcuni giorni dopo.

lunedì 21 ottobre 2019

Il film dell'anno

Dal momento che quest'anno di film al cinema ne ho visti ben pochi, potrebbe sembrare quantomeno azzardato che io spenda per Joker (qui il trailer) un giudizio così categorico... ma spero che chiuderai un occhio, perché io l'ho trovato un autentico capolavoro! :-) Una sceneggiatura che delinea in maniera eccellente lo sviluppo del personaggio principale (anche se ho una perplessità riguardo al finale, come potrai leggere più avanti se non temi gli spoiler), un'interpretazione magistrale da parte di Joaquin Phoenix, una regia incredibilmente accurata in ogni singola inquadratura, il che è abbastanza sorprendente considerando che il regista Todd Phillips si è fatto conoscere per pellicole di ben altro spessore, come la trilogia di Una notte da leoni... insomma, quel che è certo è che di film così non se ne vedono mica tutti i giorni.
Poiché i pareri che avevo letto sui social al riguardo erano quasi unanimemente entusiastici, sono entrata in sala con delle aspettative elevatissime che temevo potessero rimanere deluse, ma così non è stato.
Come riassumerei la trama senza sbilanciarmi troppo...? Una vertiginosa caduta negli abissi della mente malata di un uomo irrimediabilmente segnato dalla vita.
Se hai già visto il film, oppure non intendi vederlo perché non ti interessa, oppure ancora non disdegni gli spoiler – un po' come me, che mi ero auto-spoilerata la trama su Wikipedia... e se non altro mi sono risparmiata un sacco di accidenti, a differenza della fanciulla che durante una delle scene più cruente se l'è svignata dalla sala venendo rincorsa dal suo ragazzo – prosegui pure nella lettura scorrendo la pagina un po' più in basso.












































Prima osservazione tendenzialmente "spoilerosa", anche se in effetti si riferisce a una scena che ha luogo ben prima dell'intervallo: è abbastanza inquietante come la sottoscritta si sia trovata a provare empatia per il protagonista anche nel momento in cui egli commetteva le azioni più truci. In particolare, la prima volta che Arthur ha estratto la pistola per uccidere, puntandola contro i tre yuppie che lo avevano aggredito in metropolitana, e ne ha fatti subito fuori due, mentre il terzo pur essendo ferito è riuscito a scendere dal vagone e ha tentato disperatamente di mettersi in salvo su per le scale, ho avuto l'impressione che Joker non lo inseguisse con sufficiente slancio. E mi sono sorpresa a pensare – vergognandomi subito dopo di me stessa – «Che fai, te lo lasci scappare così, quel bastardo?» (e dire che l'avevo pure letta, la trama).
Infine, parliamo del finale a cui accennavo sopra. Per quasi tutto il film Joker se l'è presa soltanto con persone che gli avevano fatto in qualche modo del male, ma ad esempio ha risparmiato l'ex collega Gary, che pure aveva appena assistito al brutale assassinio dell'altro ex collega (reo di aver messo Arthur nei guai prestandogli la pistola) e quindi avrebbe benissimo potuto denunciarlo, perché era l'unico ad averlo sempre trattato con gentilezza. E allora perché alla fine, come le impronte insanguinate che il protagonista lascia dietro di sé ad ogni passo fanno capire chiaramente, Arthur ha ammazzato la psichiatra la cui unica "colpa" era stata quella di chiedergli di raccontarle la barzelletta che l'aveva fatto tanto ridere? Mi è sembrato poco coerente con lo sviluppo del personaggio, che di per sé non sarebbe neanche malvagio in maniera gratuita, ma "semplicemente" non riesce a fare a meno di reagire in modo folle ai soprusi subìti.

domenica 20 ottobre 2019

Dillo in italiano!

Giusto l'altro giorno accennavo al fatto che sul lavoro mi capita di usare e sentir usare più termini inglesi nonché anglicismi di quanto vorrei... quindi capita a fagiuolo il video di Paolo Gambi dal titolo In italiano, per favore, non in inglese. 50 termini da dire in italiano.


Ed ecco la trascrizione del parlato.
Si può dire anche in italiano.
Lavoro da freelance nel team di un fashion designer. Parliamo di business. Con un po' di cash e di make up, anche il tuo look diventa cool, e la ricerca di audience per il tuo brand non sarà un flop, ma avrà un happy end. È la mia mission. E poi ti do una news: visto che sono part time, dopo un meeting e un workshop faccio un break. Possiamo vederci per un match oppure per un workout con il coach, e dopo se vuoi essere il mio partner andiamo a un party. OK?
... oppure possiamo dirla così:
Lavoro come libero professionista nella squadra di un disegnatore di moda. Parliamo di affari. Con un po' di danaro e un po' di trucco, anche il tuo aspetto diventa figo, e la ricerca di pubblico per il tuo marchio non sarà un fiasco, ma troverà un lieto fine. È la mia missione. E poi ti do una notizia: visto che lavoro a orario ridotto, dopo una riunione e un seminario faccio una pausa. Possiamo vederci per una partita oppure per un allenamento con l'allenatore, e se vuoi essere il mio compagno dopo andiamo a una festa. Va bene?
Si può dire anche in italiano!
Nel video in effetti di parole inglesi ne vengono usate meno di cinquanta; l'elenco completo puoi trovarlo nell'articolo avente lo stesso titolo pubblicato sul sito italiani.it... nel cui nome di questi tempi si potrebbe ravvisare uno sgradevole sentore sovranista, ma che semplicemente è «La rete degli Italiani nel mondo». E poi in questo caso specifico mi sento di sposare la causa senza riserve: se puoi dirlo in italiano non è per niente cool, anzi figo, dirlo in inglese! ;-)

sabato 19 ottobre 2019

Indiana Jones salverà il mondo?

L'attivismo umanitario dell'attore statunitense Richard Gere mi era già noto da tempo, mentre dell'impegno del suo collega e connazionale Harrison Ford contro i cambiamenti climatici sono venuta a conoscenza giusto ieri guardando un video condiviso da una mia "facciamica". Ecco la traduzione dell'accorato discorso di Ford.
Fermiamo, per l'amor di Dio, la denigrazione della scienza. Smettiamola di dare potere a persone che non credono nella scienza, o peggio ancora, che fingono di non credere nella scienza per il proprio interesse personale. Loro sanno chi sono. Noi sappiamo chi sono.
Tutti noi – ricchi o poveri, potenti o meno – subiremo gli effetti del cambiamento climatico e della distruzione dell'ecosistema. E stiamo affrontando quella che sta rapidamente diventando la più grande crisi morale del nostro tempo. Della quale coloro che sono meno responsabili sopporteranno i costi maggiori. Quindi non dimenticate mai per chi state combattendo. Sono i pescatori in Colombia, i pescatori in Somalia che si chiedono da dove arriverà il loro pescato e perché il governo non possa proteggerli. È la madre nelle Filippine che si preoccupa che la prossima grande tempesta possa strapparle il suo bambino dalle braccia. Sono le persone qui in California, le persone sulla East Coast che fuggono da incendi senza precedenti. Le persone sulla East Coast stanno affrontando le peggiori tempeste della storia conosciuta. È il nostro paese, la nostra comunità, le nostre famiglie.
Vi prego: non dimenticate la natura, perché oggi la distruzione della natura provoca più emissioni globali di tutte le auto e i camion del mondo. Possiamo mettere pannelli solari su ogni casa, possiamo trasformare ogni macchina in un veicolo elettrico, ma finché Sumatra brucerà, avremo fallito. Finché le grandi foreste dell'Amazzonia verranno tagliate e bruciate, finché le terre protette dei popoli tribali, degli indigeni, potranno essere invase, i nostri obiettivi climatici rimarranno fuori portata e saremo f***utamente fuori tempo massimo.
Questa è la verità fondamentale. Se vogliamo sopravvivere su questo pianeta, l'unica casa che ognuno di noi conoscerà mai, per il nostro clima, per la nostra sicurezza, per il nostro futuro, abbiamo bisogno della natura ora più che mai. La natura non ha bisogno delle persone. Le persone hanno bisogno della natura. Quindi spegniamo i nostri telefoni, rimbocchiamoci le maniche e prendiamo a calci in c**o questo mostro.
Il video è un estratto dell'intervento tenuto da Ford al Global Climate Action Summit 2018 in qualità di Conservation International Vice Chair. All'epoca Greta Thunberg non era ancora diventata il personaggio di fama mondiale che è oggi, e se un'adolescente svedese venuta fuori praticamente dal nulla forse sta riuscendo a sensibilizzare la gente nei confronti dei rischi del riscaldamento globale più di quanto abbia fatto un famosissimo divo di Hollywood... beh, chapeau!
A proposito, ti consiglio di guardare il video dal titolo Greta: chi la critica? E perché? pubblicato da Massimo Polidoro sul suo canale YouTube, perché offre spunti davvero interessanti.

venerdì 18 ottobre 2019

Campioni nello sport e nella vita


Oggi Lorenzo Tosa ha dedicato un post a Michael Jordan, che almeno per quelli della mia generazione è IL giocatore di basket per antonomasia.
Immaginatevi per un attimo la scena.
Ti chiami Michael Jeffrey Jordan. Hai 56 anni, sei lo sportivo più forte di ogni sport, ogni tempo, ogni epoca, hai vinto praticamente da solo 6 titoli Nba, di cui uno - l’ultimo - cambiando anche le conoscenze fisiche note fino a quel momento. Detieni ogni record che abbia senso detenere se sei un giocatore di basket.
Eppure una mattina ti ritrovi davanti a due cliniche mediche per persone indigenti che hai immaginato, voluto e finanziato per intero, a Charlotte. E cosa fai? Piangi. Sei Michael Jeffrey Jordan, ma le lacrime ti scendono da sole e non c’è verso di trattenerle.
Dietro di te sorgono due centri che forniranno un’assistenza gratuita al 100% in un Paese in cui la gente muore perché non ha accesso alle cure mediche primarie. E tu cosa fai? Ti commuovi. Anche se sei Michael Jordan. Anche se hai vinto tutto e tutto hai avuto dalla vita. E a un certo punto lo spieghi pure.
"Sono emozionato, lo vedete anche voi. Ho voluto restituire qualcosa a chi mi ha supportato durante la mia carriera, soprattutto a tutte quelle persone che non possono permettersi un'assistenza sanitaria - dici - I soldi non contano, il nome non conta. Questo è solo l'inizio del progetto che ho pensato per questa comunità.”
Sei Michael Jeffrey Jordan e piangi. Piangi come un bambino. Cos’altro vuoi aggiungere.

Ieri sempre Lorenzo si era occupato di un altro sportivo contemporaneo, magari non altrettanto noto ma sicuramente degno di diventarlo sempre di più.
Lui si chiama Sadio. Sadio Mané. È la stella indiscussa del Senegal, il giocatore più caro della storia del Liverpool, capocannoniere dell’ultima Premier League, campione d’Europa in carica. A un certo punto un giornalista gli ha chiesto che rapporto avesse con successo e ricchezza. Sadio a quel punto ha alzato le spalle e ha risposto senza pensarci su.
“Perché dovrei volere dieci Ferrari, venti orologi e due aerei? Cosa faranno questi oggetti per me e per il mondo? Io so cosa voglia dire avere fame, ho lavorato nei campi, sono sopravvissuto alle guerre, ho giocato a calcio a piedi nudi, non sono andato a scuola perché non potevo permettermelo. Oggi con quello che guadagno grazie al calcio posso aiutare la mia gente, ho costruito scuole e uno stadio, fornisco vestiti, scarpe, cibo per le persone in estrema povertà. Preferisco che il mio popolo riceva un po' di ciò che la vita mi ha dato".
La prossima volta che sentite il suo nome ricordatevi della sua storia, di queste parole. La prossima volta che leggete commenti atroci, disumani, indicibili su bimbi migranti, ricordatevi di Sadio. Ricordatevi che esistono anche uomini così.

E vale la pena di leggere quest'articolo che raonta la storia del cestista turco Enes Kanter, e di quello che ha dovuto subire lui, con i suoi familiari, per essersi opposto al regime di Erdogan. Se ne sia valsa la pena, lasciamo che sia lui stesso a stabilirlo.
Non vedo e non parlo con la mia famiglia da cinque anni, mio padre è in prigione, i miei fratelli e sorelle non possono trovare un lavoro. Il mio passaporto è stato revocato, c’è un mandato di cattura internazionale, la mia famiglia non può lasciare il Paese, ricevo minacce di morte ogni giorno, sono stato attaccato, minacciato, hanno provato a rapirmi in Indonesia. La libertà non è gratuita.
Infine, l'immagine che apre il post riporta una dichiarazione del cestista statunitense Damian Lillard.
Pressione, nah. Amico, questo è solo giocare a palla. La pressione ce l'ha il senzatetto che non sa da dove arriverà il suo prossimo pasto. La pressione ce l'ha la madre single che si scapicolla per pagare l'affitto. Ci pagano un sacco di soldi per giocare. Non fraintendetemi, veniamo messi a dura prova. Ma chiamarla pressione è quasi un insulto alla gente normale.

giovedì 17 ottobre 2019

Siamo sempre in movimento... e in compagnia!

Quest'oggi ti propongo due simpatici memi di natura scientifica che probabilmente ti indurranno a guardare la realtà con occhi diversi!

Pensi di essere seduto fermo in questo momento?
Ti trovi su un pianeta che sta orbitando attorno a una stella a 30 km/s.
Quella stella sta orbitando attorno al centro di una galassia a 250 km/s.
Quella galassia si sta muovendo attraverso l'universo a una velocità di 600 km/s.
Da quando hai cominciato a leggere questo testo, hai percorso circa 3000 km.
Ti senti solo? Non devi. Demodex è un tipo di acaro che vive sulla tua faccia. Amici per sempre.
[Il sito mitesonly.com non esiste, ho verificato ;-)]

mercoledì 16 ottobre 2019

Gli esami non finiscono mai

Come forse avrò già accennato, per lavoro mi occupo di supporto tecnico. Alla chiusura di una SR, ossia una service request, al cliente viene inviato via e-mail – non sempre, ma in base a certi criteri – un questionario (support survey) nel quale lo si invita a valutare la propria soddisfazione nei confronti dell'assistenza ricevuta. I parametri ai quali assegnare un valore da 1 (molto insoddisfatto) a 5 (molto soddisfatto) sono i seguenti: problem solved? (il problema è stato risolto?), response time (tempo di risposta), resolution time (tempo di risoluzione), courtesy and professionalism (cortesia e professionalità), total satisfactory rating (valutazione complessiva della soddisfazione). C'è poi un ulteriore parametro, level of effort (livello di impegno), che curiosamente può variare su una scala da 1 a 7, ma che comunque non fa media ai fini della valutazione della performance del dipendente.
L'altro giorno ho preso in carico una richiesta aperta da un cliente che chiedeva i driver per un dispositivo di terze parti. Dopo aver verificato nella documentazione aziendale che per quel tipo di dispositivo non forniamo alcun software, gli ho scritto un e-mail invitandolo a rivolgersi al supporto tecnico del produttore, come consigliato dalle linee guida. Non avendo avuto alcun riscontro da parte sua, dopo qualche giorno gli ho telefonato e lui mi ha informata che aveva già contattato il supporto del produttore, ed erano stati proprio loro a consigliargli di rivolgersi a noi (!). «Eh beh, a quanto pare non c'è soluzione», mi fa lui. «Purtroppo no. Allora posso chiudere il ticket?». «Certo, chiuda pure».
Ed è quello che ho fatto subito dopo, non senza avergli inviato per scrupolo via e-mail – non avendolo fatto in precedenza, il che non è da me – i link alla documentazione a cui avevo fatto riferimento, al chiaro scopo di cercare di giustificarmi, lo ammetto.
Stamattina sul mio indirizzo e-mail aziendale arriva il responso della support survey, che comincia con un lapidario uno alla voce problem solved?. Sì, ok, il problema non te l'ho risolto, ma perché non avevo modo di farlo, accidenti! Io ho fatto il possibile, per l'impossibile devo ancora attrezzarmi, per questo avrei preferito che – come fanno molti clienti – costui si astenesse dal compilare la survey... visto che, come ho già detto, un voto negativo fa media, e in fondo la mia unica "colpa" è stata quella di accollarmi 'sta mission impossible. Per fortuna alla voce response time e courtesy and professionalism – modestamente, il mio punto forte ;-) – ho avuto un bel 5, ottenendo una media di 3,4, comunque al di sotto di quel 4,5 che è il nostro standard di riferimento. Ma vabbè, prendiamola con filosofia...
Macché, filosofia un corno!!! Fin dalle elementari ho il terrore dei brutti voti, che salvo rare eccezioni – quel quattro e mezzo al compito in classe di latino me lo ricordo come fosse ieri – sono sempre riuscita ad evitare, al costo inestimabile di una giovinezza vissuta all'insegna dello "studio matto e disperatissimo".
Tra l'altro con lo stesso cliente avevo in ballo un'altra SR; 'na robetta semplice, non riusciva a scaricare un certo file dal nostro sito e allora gliel'ho messo a disposizione tramite un servizio di cloud storage. Siccome quando l'ho sentito mi risultava che non l'avesse ancora scaricato, gliel'ho accennato e lui mi ha risposto che avrebbe dovuto farlo da casa, perché le restrizioni imposte dalla sua rete aziendale non glielo consentono. Stamattina mi sono accorta che il file stava per essere eliminato – come avviene di norma dopo una settimana, salvo diversa selezione – e mi è preso un colpo: stai a vedere che quando questo prova a fare il download si accorge che il link non funziona più, mi contatta imbufalito e, anche se poi gli rimetto a disposizione il file scusandomi perfino per colpe che non ho, alla fine della fiera mi appioppa un'altra survey di m***a?! Al che mi sono affrettata a prolungare la validità del link. Fiùùùùù, appena in tempo!
P.S.: Mi sa che questo post ha il rapporto più alto – limitatamente a questo blog – tra il numero di parole inglesi e il totale delle parole utilizzate. Comunque tu non hai idea di quanti termini inglesi, e peggio ancora raccapriccianti anglicismi, mi tocca usare o sentir usare ogni giorno... Certe volte mi verrebbe quasi voglia di killarmi! ;-)

martedì 15 ottobre 2019

Tifosi del genere meglio perderli che trovarli

Anche se il calcio ormai lo seguo sempre meno, la società calcistica della città dove ho abitato per quarant'anni ha sempre un posto nel mio cuore: un pochino più piccolo di quello riservato alla squadra che mio nonno amava tanto, la Juventus, ma ce l'ha senza dubbio. E oggi sono particolarmente orgogliosa della mia "fede" biancazzurra: infatti il gestore del profilo Twitter @PescaraCalcio ha replicato alla "terribile minaccia" di un imbecille (che sarà contento di aver avuto il suo quarto d'ora di celebrità in negativo), «basta con questa storia del razzismo vi ho sempre sostenuto ma direi che è ora di finirla voi e quei comunisti del caxxo, state per perdere un tifoso fate voi», con un lapidario: «Facciamo noi? Bene, signore e signori #Andrea non è più un nostro tifoso». Seguono emoticon che esprimono chiaramente il rammarico di dover dire addio a un supporter così degno ;-) e infine gli hashtag #NoAlRazzismo #NoToRacism.
Limitandosi al solo socialino cinguettante, questa non è la prima volta che il Pescara Calcio prende una posizione chiara e netta contro il razzismo: puoi vedere alcuni esempi qui, qui e qui.

lunedì 14 ottobre 2019

Pillole di benessere

Ieri sulla bacheca di una mia "facciamica" ho visto pubblicata l'immagine qua sotto, la quale passa in rassegna alcune abitudini quotidiane che migliorano la vita...


... e il mio primo pensiero è stato che se vado avanti così sono rovinata, perché di quelle dieci cose non ne faccio – se non saltuariamente – manco una!
A proposito di consigli per il benessere, il 6 ottobre scorso sulla pagina Psicoadvisor è stata pubblicata un'immagine con alcuni consigli utili per proteggere la propria salute mentale...


... e non ha tardato ad arrivare la versione "corretta" da Antonio Schiena di Antipatia gratuita!


Oggi è uno di quei giorni in cui la versione "gratuitamente antipatica" mi appare più convincente, ahimè...

giovedì 10 ottobre 2019

Sudoku for geeks

Quest'oggi parliamo di algoritmi per risolvere il sudoku. Personalmente questo gioco di logica inventato nel '700 nientepopodimenoché da Eulero ma divenuto noto a livello internazionale soltanto a partire dal 2005 non mi ha mai entusiasmata... mentre le sue implicazioni informatiche e algoritmiche sono un altro discorso! ;-) Ti propongo quindi la traduzione delle procedure descritte nell'articolo Sudoku | Backtracking-7 pubblicato su GeeksforGeeks.
Dato un array bidimensionale 9×9 parzialmente riempito grid[9][9], l'obiettivo è quello di assegnare delle cifre (da 1 a 9) alle celle vuote in modo tale che ogni riga, colonna e sottogriglia di dimensioni 3×3 contenga esattamente un'istanza delle cifre da 1 a 9.
Si consiglia di risolverlo prima su "PRACTICE", prima di passare alla soluzione [ma io ovviamente vado dritta al sodo ;-) NdC].
Algoritmo ingenuo
L'algoritmo ingenuo consiste nel generare tutte le possibili configurazioni di numeri da 1 a 9 per riempire le celle vuote. Prova ogni configurazione una per una fino a trovare la configurazione corretta.
Algoritmo di backtracking
Come tutti gli altri problemi di backtracking, possiamo risolvere il sudoku assegnando uno ad uno i numeri alle celle vuote. Prima di assegnare un numero, controlliamo se è sicuro assegnarlo. In pratica controlliamo che lo stesso numero non sia presente nella riga corrente, nella colonna corrente e nella sottogriglia 3×3 corrente. Dopo aver controllato che sia sicuro, assegniamo il numero e controlliamo in modo ricorsivo se questa assegnazione porta a una soluzione o meno. Se l'assegnazione non porta a una soluzione, proviamo il numero successivo per la cella vuota corrente. E se nessuno dei numeri (da 1 a 9) porta a una soluzione, restituiamo FALSO.
Trovare riga, colonna di una cella non assegnata
Se non ce n'è nessuna, restituire VERO
Per le cifre da 1 a 9
   a) Se non vi è alcun conflitto per la cifra in riga, colonna
      assegnare la cifra a riga, colonna e provare ricorsivamente a riempire il resto della griglia
   b) Se la ricorsione ha esito positivo, restituire VERO
   c) Altrimenti, rimuovere la cifra e provarne un'altra
Se tutte le cifre sono state provate e nessuna ha funzionato, restituire FALSO


[Mi spiace per le righe che "sconfinano", ho usato il tag <nobr> per evitare di andare a capo, e volendo mantenere una formattazione decente dovrei rivoluzionare il layout del blog ma adesso non ci penso nemmeno]
In calce all'articolo è riportata l'implementazione dell'algoritmo nei linguaggi C++, C, Java, Python e C# per stampare in output la griglia riempita completamente.

mercoledì 9 ottobre 2019

La saggezza del mister

Al momento risulto iscritta a oltre un migliaio di account Twitter, ma sul socialino cinguettante mi affaccio giusto una volta al giorno per vedere se ci sono notifiche (l'icona della campanella) di tweet di particolare successo in relazione agli account che seguo, quindi non sono quasi per niente aggiornata al riguardo. Di recente, però, per la prima volta mi sono iscritta* alle notifiche relative a un account, @VujaBoskov, dalla bio assai eloquente: «Rigore è quando arbitro fischia™ (non vero Boskov, solo piccolo omaggio a saggezza di grande mister). Tributo-parodia». E già, non poteva certo trattarsi del vero account di Vujadin Boškov, dal momento che il tecnico serbo che nella stagione 1990-91 condusse la Sampdoria al suo primo e finora unico scudetto ha lasciato questa valle di lacrime oltre cinque anni fa... però il suo ignoto – perlomeno a me – titolare ne riproduce piuttosto bene l'inconfondibile modo di esprimersi in italiano!
Negli ultimi giorni ho voluto fare una sorta di esperimento: mi sono messa a screenshottare i tweet di Vujadln (notare la L minuscola al posto della i) Boskov, e qui di seguito te ne propongo una selezione; in realtà non ne ho scartati tanti.
Ovviamente l'argomento preferito del "mister" è il calcio, con una particolare "predilezione" nei confronti del Milan che ultimamente non sta passando un bel periodo...


... ma i tweet migliori sono quelli in cui si occupa di attualità, non di rado interpretata con lo sguardo dell'uomo di sport.


*Mi rendo conto che ci sono un sacco di altri utenti Twitter che meriterebbero lo stesso trattamento, e prima o poi potrei anche concederglielo... purché non sia gente che non fa altro che twittare tutto il giorno rendendomi impossibile starle dietro!