martedì 18 febbraio 2020

Qualcosa di personale

Quest'oggi prendo spunto dall'argomento più discusso negli ultimi due giorni: la sconcertante sparata di Matteo Salvini sulle donne straniere che a suo dire, essendo avvezze a "stili di vita incivili", userebbero i pronti soccorsi "come bancomat sanitario" per abortire più e più volte a spese dello Stato. Ma non è sul Capitone che intendo focalizzarmi, tanto da lui non mi aspetto nulla di sensato... e comunque è già stato ampiamente sbugiardato con dovizia di argomentazioni, e in maniera assai più efficace di quanto saprei fare io. Piuttosto sono rimasta davvero colpita, per usare un eufemismo, da certi commenti pubblicati sui social da donne. In particolare ho una "facciamica" che in passato ha a più riprese rivendicato la propria totale mancanza di istinto materno, escludendo pertanto a priori di poter mai mettere in cantiere un bambino. Nulla da eccepire, per carità: la stimo senz'altro di più rispetto a chi fa figli soltanto per soddisfare un'aspettativa sociale, ma poi li educa in modo malsano e privo di qualsivoglia amorevolezza facendone degli adulti infelici e disadattati. Costei ha osservato che la diffusa credenza che l'aborto sia un'esperienza sempre e comunque dolorosa, un trauma che la donna si porta dentro per tutta la vita, non è necessariamente vera per tutte: alcune lo affrontano in maniera per nulla sofferta.
Non metto in dubbio che questa sia una realtà, ma la cosa non poteva lasciarmi indifferente.
Sto forse dicendo che mi permetto di giudicare lei e tutte le donne che dopo un aborto vanno avanti "come se niente fosse"? (L'ho messo tra virgolette, perché in realtà nessuno oltre a loro stesse potrà mai sapere quello che provano davvero) Ti assicuro di no: in fondo chi sono io per giudicare un'altra persona, per avere la presunzione di poter comprendere situazioni di cui non so nulla, e che non hanno nulla a che vedere con me e con la mia vita?
Sto forse dicendo che reputerei auspicabile porre dei limiti all'esercizio del diritto all'interruzione volontaria di gravidanza? Lungi da me, anzi trovo inammissibile che in alcune zone d'Italia la regolare applicazione della legge 194 sia quasi un'utopia, perché i ginecologi non obiettori di coscienza sono più unici che rari. Ciò premesso, è una scelta che per quanto mi riguarda difficilmente avrei mai fatto né tantomeno farei, se solo avessi la fortuna di rimanere incinta.
E allora, cos'è che mi provoca tanto disagio? Per spiegarlo, mi toccherà andare un po' sul personale.
Per quasi tutta la vita sono stata convinta di non essere tagliata per fare la madre: troppo insicura, ansiosa, distratta. Questo finché non ho incontrato un uomo con cui potrebbe – o forse oramai dovrei dire "poteva"? – valere la pena di formare una famiglia; non solo noi due e basta, insomma.
Però... c'è un però. Anzi ce ne sono tanti, e li butto giù un po' alla rinfusa, con la certezza che domani rileggendo tutto questo mi metterò le mani nei capelli.
Prima di tutto, dubito che ce la farei a tornare al lavoro una volta trascorso il risicatissimo periodo di maternità obbligatoria e i (sempre troppo pochi) mesi di quella facoltativa. Anche se l'azienda che mi ha assunta è decisamente più disponibile rispetto alla media nei confronti delle dipendenti che diventano madri, concedendo loro tra l'altro di lavorare da casa se necessario, non me la sentirei di lasciare che una situazione del genere si protraesse troppo a lungo. Allora cosa faccio, torno al lavoro e affido la creatura al nido o alle baby sitter praticamente per l'intera giornata? (Purtroppo vicino a noi non abitano parenti o amici su cui poter contare) Sorvolando sui costi che tutto ciò comporterebbe, fare la mamma a tempo perso no, non fa per me. Decido di dedicarmi alla casa e alla famiglia come fece mia madre, lasciando il lavoro e magari ripromettendomi di cercarne un altro quando il bambino sarà cresciuto? Già è stata una specie di miracolo che io sia riuscita a trovare il mio attuale impiego... a cinquant'anni e passa chi vuoi che mi dia un'altra chance del genere? E poi, il mio compagno ha uno stipendio dignitoso, ma temo non sufficiente a mantenere tutti e tre. Potrebbe portare a casa un po' di soldi extra facendo ancor più straordinari di quelli che fa già, ma ciò gli impedirebbe di essere un padre presente, e io questo non lo voglio di certo. Insomma, la nostra è una situazione ancora più critica di quella raccontata nel film Figli, sceneggiato dal compianto Mattia Torre e interpretato da Paola Cortellesi e Valerio Mastandrea, che non ho ancora visto – al cinema ci sono andata domenica scorsa, ma ho optato per quella ciofeca dell'ultimo film di Muccino, mannaggiammé – però ho letto un sacco di recensioni al riguardo. E se non ci ho ancora messo definitivamente una croce sopra, all'idea di diventare mamma, poco ci manca. Stare appresso a un neonato è estenuante per una ventenne, figuriamoci per chi come me ha già superato gli "anta"...
Piccola nota autobiografica: sono già oltre l'età che aveva mia madre quando nacqui io. Al giorno d'oggi è assai più frequente che una donna ultraquarantenne metta al mondo un figlio, ma per l'epoca lei era una "secondipara" mediamente piuttosto attempata, tanto che un medico la invitò a valutare se fosse il caso di portare avanti una gravidanza che, oltre a non essere proprio programmata, avrebbe potuto rivelarsi a rischio per via della sua età. Ebbene, mamma lo mandò elegantemente a quel paese, e di tutte le cose che ha fatto per me questa è quella di cui le sono più grata in assoluto, perché... beh, se avesse preso una decisione diversa, oggi io non sarei qui!
Mi auguro che a questo punto sia chiaro come mai la consapevolezza che alcune donne rinuncino a portare avanti una gravidanza indesiderata pur non essendoci particolari rischi per la loro salute e per quella del feto, ma soprattutto lo facciano senza versare una lacrima (parole della mia "facciamica"), le lacrime agli occhi le fa venire a me...

2 commenti:

  1. Difficile commentare un post toccante e sentito come questo. Mi limito a dire di averlo apprezzato e di essere d'accordo con tutto ciò che hai scritto.

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    1. Grazie di cuore! :-)
      (Comunque devo dire che, rileggendomi oggi, stranamente non cambierei una virgola. Magari sarebbe il caso, ma ho deciso che va bene così)

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