domenica 10 maggio 2020

Voglio uscire... o forse no?

A partire da lunedì scorso, con l'inizio della fase 2, l'ufficio dove ero andata a lavorare fino a venerdì 21 febbraio, per poi iniziare con lo smart working dal lunedì successivo, ha di fatto riaperto dopo il lockdown. Questo non vuol dire che sia stato chiesto a tutti noi dipendenti di tornare in sede fin da subito, niente affatto, anche perché non sarebbe possibile mantenere il distanziamento sociale: quelli che possono lavorare da casa continueranno a farlo. Per quanto riguarda il mio dipartimento, per il quale è richiesto un minimo di presenza in ufficio – salvo in una situazione eccezionale come quella che speriamo di esserci lasciati alle spalle – per intervenire fisicamente sull'hardware necessario per svolgere il nostro lavoro, si è deciso che bastava che una sola persona si recasse in ufficio due giorni a settimana; i primi a farlo sarebbero stati i colleghi automuniti e disposti a spostarsi in macchina. Io per il momento sono stata esentata, perché sono quella che abita più lontano dall'ufficio e con il tragitto più lungo da percorrere sui mezzi pubblici; di guidare per 120 km fra andata e ritorno, su quel tipo di strada poi, non me la sento proprio, per via di un evento traumatico ben noto a chi di dovere, e la macchina tutt'al più la uso per quei pochi chilometri che mi separano dalla stazione dove prendo il treno. Ciò significa che in pratica continuerò a fare la stessa vita che ho fatto da quando è iniziato il lockdown, uscendo solo per fare la spesa; martedì ho avuto la brillante idea di andarci a piedi, a prendere il pane a due chilometri da qui, senza mai togliere la mascherina, e il giorno dopo ero uno straccio, per cui mi guardo bene dal ripetere l'esperienza. Ieri ho scoperto che la pizzeria "buonabbuona" del paese limitrofo, la quale era rimasta chiusa nel periodo in cui erano autorizzate solo le consegne a domicilio, ha riaperto per il servizio da asporto... comunque a prendere le pizze c'è andato il mio prode cavaliere (il quale per inciso lunedì, essendo dipendente del settore manifatturiero, ha ripreso a lavorare a pieno ritmo dopo sei settimane di stop).
Concluso questo riepilogo della mia prima settimana di "fase 2", condivido due link che fanno riflettere su quanto potrebbe non essere affatto facile per alcuni uscire di casa e riprendere una vita più simile a quella di prima:
  • un post di Cristiano Micucci intitolato Esco più tardi;
  • un articolo di greenMe che descrive la cosiddetta "sindrome della capanna (o del prigioniero)". Adesso che ci penso devo averne sofferto anni fa, quando, in seguito al trauma a cui accennavo sopra, dopo la degenza in ospedale, la riabilitazione in clinica e qualche settimana di convalescenza a casa, ricominciai a frequentare i luoghi pubblici; se non erano veri e propri attacchi di panico, quelli che mi coglievano nel bel mezzo del supermercato, ci assomigliavano parecchio.

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