lunedì 28 settembre 2020

Non avere paura di lanciare il dado

Qualche tempo fa ho guardato il video di un TEDx Talk tenutosi nel maggio del 2018 a San Giovanni in Persiceto (BO), nel quale Francesca Presentini spiegava come uscire dalla cosiddetta "comfort zone del forse".

L'ho trovato di grande ispirazione per me, che troppo spesso tendo a rifugiarmi nella mia comfort zone evitando di affrontare sfide neanche tanto impegnative per il terrore di fallire. E ne riporto qui di seguito la trascrizione testuale; è abbastanza evidente che Francesca parlasse a braccio, magari aiutandosi con una scaletta, ma proprio per questo il suo discorso risulta più efficace.

A quanti di voi sarà capitato di sentire almeno una volta di non essere in grado d'affrontare una determinata situazione? Ora, io, a me è capitato due minuti fa prima di salire su questo palco, ma vorrei che ci pensaste un attimo e provaste a ricordare quando vi è successo. Io nel frattempo provo a darvi alcuni spunti.
Non sentirvi in grado di dichiararvi alla persona che vi piace. Io effettivamente quando ero un po' più piccola c'era un ragazzo che mi piaceva tanto e non mi sono mai riuscita a dichiarare, anche perché lui era Zac Efron e quindi c'erano un po' di problemi... Ma ancora: non sentirvi in grado di partecipare a una gara, magari perché gli avversari sono più forti e voi non vi sentite bravi abbastanza. O ancora, un colloquio o un test di lavoro: non sentirvi in grado di partecipare ad un concorso lavorativo, perché fallire in quella determinata circostanza potrebbe voler dire non essere in grado, dimostrare di non essere in grado di fare quello che avremmo voluto essere il lavoro della nostra vita.
Ora, per me, prendere una decisione è un po' come lanciare un dado sulle cui facce al posto dei numeri ci sono dei sì e dei no, mentre invece la nostra mano chiusa prima di lanciarlo, quello è il forse. Ci sono persone che non si fanno problemi a lanciare questo dado a prescindere dal risultato che ne uscirà, perché sono pronti ad accettarlo, mentre ce ne sono altre, come invece me, che guardano la loro mano chiusa e dicono «Beh, però tutto sommato non è così male, questo forse. No, non è un sì, OK, però non è neanche un no, e questa è una cosa positiva, direi». Ed è per questo che io ho coniato questo termine, che è "la comfort zone del forse". È un termine ancora in lavorazione, non è fantastico però ci sto lavorando.
Io mi sento di essere una rappresentante di questa comfort zone del forse, e adesso vi racconto un episodio che secondo me è molto esplicativo del perché. Quando avevo 18 anni vidi online questo concorso al quale per partecipare bisognava presentare un progetto e i vincitori, 25 in tutta Europa, avrebbero potuto vedere il loro progetto finanziato e le loro idee portate in un workshop a Londra per imparare come portare avanti appunto questo progetto. Ecco, io mi sentivo di stare avendo l'occasione della mia vita, ed era proprio per questo che io non volevo partecipare, ma proprio non volevo, perché, per tutti i motivi che vi ho detto prima, non mi sentivo pronta, e gli altri se lo meritavano più di me, e tante altre cose, e alla fine non so come accadde, avevo paura di questo no, ma la sera prima della scadenza così decisi di caricare comunque la mia partecipazione, e alla fine sorprendentemente la legge dell'attrazione in quel caso fu buona con me perché, nonostante tutte le sciagure che mi tirai addosso, vinsi, e mi arrivò questa mail della vittoria e io ero, sì, contenta, cioè, sembrava una cosa bella, ma per me non lo era, perché in quell'occasione io ero convinta di aver paura di ricevere un no, ma io avevo paura di ricevere qualunque risultato, anche un sì, perché poi sarebbero seguite altre sfide e altre cose da fare, e io non me la sentivo, e quindi preparai la mail di risposta e scrissi «No, io mi ritiro, grazie». Poi però un po' di buon senso, alla fine non la inviai, quindi sì, vissi una delle esperienze più belle della mia vita, però lo feci come se fosse uno dei peggiori incubi di sempre, e guardandomi indietro dissi «Ma perché l'ho fatto, perché mi sono comportata così?», e soprattutto mi riproposi di non comportarmi mai più in questo modo in relazione a nessun'altra sfida che avrei affrontato da lì in poi.
Mi presento: io sono Francesca Presentini, ho 24 anni, sono una videomaker e illustratrice e lavoro principalmente online cercando di avvicinare i ragazzi al mondo dell'illustrazione, e negli anni portando avanti questo mio progetto sono riuscita ad arrivare ad un bacino di pubblico di circa 500.000 persone, che per me è fantastico, eh! Quello che mi piace tantissimo del mio lavoro è il fatto che mi metto a contatto con tante sfide in tanti settori diversi. Per dirne una che ho affrontato recentemente, è stata nel settore della comunicazione, quella di spiegare a mia nonna quale fosse il mio lavoro, e è una sfida ancora in corso, devo dire, però sono anche molto fiduciosa sui risultati. Ma io lo capisco, perché io e tutta la mia famiglia veniamo da un paese molto piccolo in Toscana che conta 2-3mila abitanti. Alla fine è la concretizzazione terrena di quello che io considero essere il concetto di comfort zone: dentro è tutto piccolo, semplice, raggiungibile, tutti conoscono tutti e non succede mai niente di troppo bello, neanche niente di troppo brutto. È tutto facile, e per me il mio paese è sempre stato il mio piccolo forse. Però allo stesso modo, io come vi dicevo lavoro sul web, quindi con la comunicazione, parlo a tanti ragazzi come me, alcuni hanno la mia età, appunto sono miei coetanei, e mi sono resa conto nel tempo di quanto le nostre esperienze siano per così dire condivise, ovvero un'esperienza che ho vissuto io molto probabilmente qualcun altro l'avrà vissuta in maniera più o meno analoga. Allora mi sono chiesta: ma solo io mi faccio così tanti problemi prima di approcciarmi a qualunque tipo di sfida? Metto un muro di fronte a me prima ancora di sapere cosa mi aspetterà? E allora ho deciso di rivolgere questa stessa domanda al web, e l'ho fatto nel modo più classico, chiedendolo a Google, e ho iniziato a digitare "perché i giovani", e poi mi sono fermata. "perché i giovani si drogano", "fumano", "non votano", "non capiscono la sostanza del fascismo", "sono depressi", "bevono" e OK, io qui in realtà non volevo cercare proprio questo: sono rimasta un attimo scioccata dal risultato, ma OK, ho deciso di continuare a digitare. Quindi "perché i giovani non", e la situazione non è migliorata, "non votano", "non capiscono la sostanza del fascismo" di nuovo, "non trovano lavoro". Vabbè, non volevo cercare neanche questo, quindi andiamo avanti. "perché i giovani non hanno", niente, "non hanno voglia di studiare". OK, allora a mia discolpa io volevo soltanto cercare "perché i giovani non hanno fiducia in loro stessi", ma in realtà penso di averlo capito, se cercano queste cose su Google come me si deprimono immediatamente. No, sicuramente noi giovani avremo i nostri problemi, se lo chiedete a Google lui potrà fugare ogni vostro dubbio al riguardo. Io penso che noi abbiamo anche tante possibilità aperte, basti pensare appunto borse di studio, concorsi, accesso alla cultura. In questo preciso istante io potrei rivolgere un qualunque tipo di domanda al mio telefono e lui mi risponderebbe in 5 secondi, anche se io in questo momento non ce l'ho in mano, ma posso girarmi e urlare "OK Google" e lui probabilmente mi avrà sentito da dietro le quinte. Avere tutte queste possibilità aperte è fantastico per tante persone, per altre come me è come vedere tantissime strade da poter percorrere e sapere di poter lanciare il proprio dado così tante volte e ricevere un no in ciascuna di queste strade. Allora io come illustratrice ho provato a rappresentare questa mia esistenza nel forse, nel facile, nel semplice. Dopo essermi interrogata su come rappresentare questo concetto sono arrivata al risultato, che secondo me somiglia molto a una cosa di questo tipo.

Semplice, lineare: anni di studi, eh, per arrivare a questo risultato, voglio dire. Però direi che io mi riconosco in questo forse molto lineare, per così dire, e tuttavia vincendo questo primo concorso, quindi mettendomi per la prima volta in gioco, e poi dopo quella ne sono susseguite altre di cose: mi sono trasferita a Milano, quindi ho lasciato il mio paesino, poi ho dovuto presentarmi a tante persone diverse, ho dovuto presentarmi a delle case editrici, ho pubblicato dei fumetti, ho affrontato cose che inizialmente non avevo la minima idea che mi sarebbero mai capitate nella vita, e in poco tempo tutto il mio equilibrio, il mio perfetto mondo lineare, la mia linea era esplosa in una cosa molto più simile a questa.

Se me l'avessero chiesto prima avrei detto «No, grazie, no, proprio non fa per me», però a quel punto ho iniziato a dirmi che tutto sommato mi stava piacendo, quello che stavo vivendo, che tutto sommato mi avrebbe fatto piacere essere più intraprendente, più coraggiosa, più volenterosa di mettermi in gioco, e quindi presa dal panico, perché ovviamente stavo vivendo una situazione che ancora non riuscivo a capire come ci fossi finita, mi sono seduta e ho detto «Adesso mi scrivo una scaletta di cose che da adesso in poi saranno un po' tipo la cosa che io voglio riuscire ad avere, le linee guida, no, per non morire in tutto quello che sto vivendo». E dal momento che io credo molto nella condivisione, voglio condividerla con voi, proprio perché spero che possano aiutare qualcun altro almeno quanto hanno aiutato me.
Quindi la prima cosa che mi sono scritta è "guardare lontano". Perché? Perché quando avevo 13 anni io volevo tantissimo diventare un'atleta professionista e vincere le Olimpiadi, ma l'unica cosa che riuscivo a vedere di fronte a me erano le miniolimpiadi che avrei dovuto vincere di lì a breve, per le quali mi ero preparata per un anno intero perché, anche se io sono molto piccola non si direbbe, in realtà correvo molto veloce, quindi mi ero qualificata per i 100 metri piani, quindi il tipo alza la pistola, spara per la finale, io correvo, correvo, correvo... a un certo punto sono inciampata, ma non tipo inciampata gamba rotta e addio carriera sportiva, no, tipo incespicata su uno scalino, però quello è stato più che sufficiente per farmi vedere che per me il mio meglio non era stato abbastanza, non lo era stato in quel momento, non lo sarebbe mai stato, e quindi io abbandonai un po' l'idea di percorrere questa strada, che magari non mi avrebbe portato alle Olimpiadi, ma mi avrebbe portato ad apprezzare uno sport che in realtà io provavo molto divertimento nel praticare. Quindi quello che mi sono segnata è non guardare alla prossima tappa che affronterai, perché sì, magari sarà un fallimento, ma è soltanto una tappa di un percorso molto più lungo che può portarti ad apprezzare per anni o decenni una disciplina che in realtà ti piace molto, e che sarà forse la disciplina che praticherai per tutta la tua vita.
Poi mi sono segnata "darsi una scadenza", perché ci sono cose, ci sono dadi che vengono tratti in un giorno preciso, indipendente dalla nostra volontà, come per esempio partecipare a un test lavorativo o appunto presentarsi ad un colloquio o partecipare ad una gara. Noi possiamo o partecipare o non partecipare, ma non dipende da noi, quella gara accade comunque. Ci sono cose che invece dipendono proprio da noi, quando noi decidiamo "Oggi è il giorno" e io mi presento, o io faccio accadere questa cosa. Per esempio, anche qui, prendendo da uno spunto personale, quando avevo 15 anni, abbandonata quindi la mia brillante carriera sportiva, ho deciso di intraprendere quella letteraria: volevo diventare una scrittrice, e preparai quindi il mio manoscritto di 500 pagine, bellissimo, tutto già stampato in A4, quindi era una roba abbastanza... un malloppone, stampato, sigillato, ceralacca sopra come gli antichi manoscritti, ed ero pronta a mandarlo ad una casa editrice che adesso non posso menzionare ma dirò un cognome che è solo un cognome, da Mondadori, ma è un cognome, non ci sono riferimenti, comunque ero pronta a mandarla e devo dire che a distanza di anni sono fiera di dove sia finito il mio manoscritto, voi direte in tutte le Mondadori, quindi scusate, di nuovo questo cognome, in tutte le Mondadori d'Italia. Ve lo mostro.

È lì, sul mio comodino, ancora lì ad attendere di essere spedito, perché? Perché per me quel giorno non è mai arrivato. Io ancora mi ricordavo come era stato inciampare ai 100 metri piani, e quindi non volevo assolutamente sentirmi dire «No, guardi, grazie, ma il suo manoscritto non ci interessa». No, io piuttosto mi immaginavo a 90 anni sulla mia sedia a rotelle a propulsione a scrivere il 99º best seller mai pubblicato, ma non perché io non fossi abbastanza brava: per mia scelta, che è molto diverso. Infine mi sono scritta... ah, scusate, in realtà volevo soltanto rimarcare il fatto che era veramente importante quindi darsi una scadenza, essere il nostro capo, essere un po' i datori di lavoro di noi stessi, ma non un datore di lavoro malvagio, crudele o dispotico: un datore di lavoro comprensivo, perché d'altronde siamo noi, no? Ci teniamo che i nostri progetti vadano a buon fine.
Quindi appunto l'ultima cosa che mi sono scritta è "vincere è una vittoria, ma perdere che cos'è?". Col tempo quindi mi sono abituata a tenere questo quadernino che unisca l'utile al motivazionale. Da una parte ho iniziato a scrivere tutte le mie vittorie, che non sono vittorie mastodontiche tipo ho vinto ad un concorso, sono piccole vittorie quotidiane, come ad esempio oggi mi sono confrontata con una persona e questo confronto per me era davvero molto importante, ho saputo gestirlo, oppure oggi ho presentato un lavoro e mi sono stati fatti dei complimenti per come lo avevo svolto. Tante piccole cose che mi ricordano quando sono stata brava o fiera di me stessa. Dall'altra parte avrei potuto scrivere cosa ho fatto male, però sarebbe stato un po' masochista ricordarmi tutte le cose che ho fatto male, onestamente chi vorrebbe ricordarsele? Allora ho scritto una cosa simile ma un po' diversa: ho scritto cosa posso fare meglio, perché sì, sembra la stessa cosa, ma in realtà è una lista non di sconfitte ma di opportunità, perché fintanto che io ho una lista di cosa posso fare meglio posso rendere sempre più lunga la lista delle cose che invece sono stata in grado di fare bene.
All'inizio di questo discorso io vi ho chiesto di ricordarvi un'occasione in cui avete preferito il vostro forse a, magari appunto, lanciare il dado e affrontare questa sfida, una qualunque sfida. Quello che posso dire io è che magari il nostro forse è una situazione di tranquillità, sicuramente è comodo, facile, però è soltanto una sensazione temporanea, perché la cosa più brutta che può accaderci non è lanciare il nostro dado e ricevere un no: è non lanciarlo e poi, a distanza di tempo, anni, decenni, chiederci cosa sarebbe successo se io invece quel dado quella volta l'avessi lanciato. Perché sì, probabilmente noi nella vita affronteremo tanti sì, tanti no, tante risposte che non sono né sì né no ma sono cose nel mezzo che magari non avevamo previsto. Il punto è che magari ci serviranno tanti no per un unico grande sì, ma comunque, qualunque sia il risultato, a distanza di tempo se è brutto non brucia così tanto, non è così forte come il giorno in cui l'abbiamo ricevuto, mentre invece un risultato positivo è in grado di cambiare la nostra vita, il nostro modo di approcciarci al futuro. Per questo il mio invito è quello di lanciare il nostro personale dado, più volte che possiamo, sempre con entusiasmo, e soprattutto con la voglia di trarne il meglio a prescindere dal risultato che ne uscirà. Grazie.

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