venerdì 3 gennaio 2020

"Ti devo dire una cosa"

Quest'oggi ho voglia di condividere una storia che è stata pubblicata ad agosto 2017 su QueerItaly, pagina Facebook dedicata all'attivismo LGBTQIA (acronimo di Lesbian, Gay, Bisexual, Transgender, Queer, Intersex and Asexual), e che mi è capitato di leggere per caso di recente. Mi ha colpita in maniera particolare perché trovo che sia estremamente significativa non soltanto per la situazione raccontata, che magari non capita così di frequente, ma soprattutto perché trasmette un preziosissimo messaggio di apertura nei confronti di chi è in qualche modo diverso da noi. E di messaggi del genere, soprattutto di questi tempi, ce n'è bisogno più che mai...
“Il mio migliore amico aveva le tette”
«In palestra c’era un tipo strano. Più basso degli altri. Molto meno rumoroso. Non si faceva mai la doccia con noi. Quasi un anno fa ho cominciato a parlargli. Eravamo fuori dalla palestra e lui se ne stava lì al gelo vicino alla fermata dell’autobus, il borsone pesante sulla spalla che sembrava davvero segargliela in due.
“Oh, tutto okay?”
Mi ha guardato spaesato. Quasi sorpreso dal mio rivolgergli la parola, ma mi ha sorriso subito con una scrollata di spalle. “L’autobus non passa, mi sa che c’è sciopero” mi ha risposto “scemo io che non ho controllato.” Mia madre mi ha insegnato che se puoi una mano la devi dare. Non sono mai stato San Francesco D’Assisi, ma ‘Luì, ammamma, almeno una mano la devi dare.’ E’ anche vero che in ventitré anni di vita uno impara anche la nobile arte del farsi i cazzi suoi, ma tant’è, che almeno una mano la dovevo dare. “Vuoi un passaggio?” gli ho chiesto quindi e di nuovo mi ha guardato indeciso, vagamente impaurito. Che tipo strano – ho pensato – però sembra un casino gentile. “Guarda, non vorrei disturbare…” ha cominciato poi. “Ma no, ma che ti frega. Tanto non abiti lontano…uuuh- Daniele, giusto?”
“Daniel.”
“Daniel, io sono Luigi. Dov’è che abiti?”
“Via Rinaldi…”
“E che problema c’è, io sono lì vicino. Dai, te ne vuoi stare qua a congelarti le palle?” ho buttato lì la battuta, e lui ha riso. Fare il cretino è sempre stato il miglior modo di stringere amicizia, per me. E quella volta non era stato diverso. Daniel è salito in macchina con me. Lungo il tragitto mi ha ringraziato almeno altre sei o sette volte, e mi ha anche spiegato che in quel momento viveva lontano dai suoi in un monolocale.
“Quanti anni hai, Daniel?”
“Ventitré.”
“Cazzo!” ho esclamato, onestamente al settimo cielo “ma finalmente un mio coetaneo! La palestra è piena di trentenni con due figli, cominciavo a sentirmi una merda!”
Ha riso di nuovo. “Ma poi sembrano tutti parenti di The Rock!” è sbottato poi “Ma come fanno, ma che è!” Ho riso forte anch’io, a quel punto. “Ti piace The Rock?”
“Sono un fan di Fast and Furious” mi ha confessato.
“E lo hai mai visto vestito da fatina dei denti?”
“…Fatina dei denti?”
“’L’Acchiappadenti’. Uscito il 2010. The Rock vestito da fatina dei denti. Ti ho detto abbastanza, ora lo devi assolutamente vedere. E’ tipo, obbligatorio.”
“Lo farò.”
Il tragitto in macchina durava mezz’ora, ma mi sono sembrati cinque minuti. Il tempo parlando era semplicemente volato. L’ultima volta che avevo stretto amicizia così istantaneamente con qualcuno doveva essere stato all’Asilo. Tipo quei momenti all’Asilo dove parli con un bambino per dieci minuti e senti già che è il tuo migliore amico. Ecco. Con Daniel è stato così. Bum. Come all’Asilo.
“Eccoci…oh, allora ci vediamo domani in palestra.”
“Sì…oh, e grazie, eh, sei stato gentilissimo.”
“Ma non dirlo neppure- oh, anzi, Daniel, senti un po’-“
“Mh?”
“Se vuoi ti accompagno io alla palestra. Con la macchina. E ti riporto. Insomma-“
“…Oddio, grazie. Guarda- cioè, sì, grazie, mi salvi la vita, io non ho una macchina, quindi-“
“Okay…allora…a domani alle cinque?”
“A domani alle cinque.”
Ma che strana cazzo di cosa è l’amicizia. Quella vera, dico. Parli con una persona per cinque minuti e si sta lì a darsi anche degli idioti e lanciarsi le cose addosso, ma dopo averci parlato ti senti più apposto con te stesso. Un po’ come l’amore – cretino io a dirlo – l’altro se ne va che ti ha lasciato il caldo dentro. Non è troppo diverso, vi dico. Deve comunque scattare la scintilla. E con Daniel era scattata. Una scintilla che scattava sempre solo nei primi incontri con i miei amici più intimi. Era così e basta.
Nei giorni successivi ho cominciato ad accompagnarlo in palestra. Il tragitto in macchina era sempre la sagra del cazzeggio e solo occasionalmente scivolavamo in argomenti più seri e personali. Una volta, al ritorno, ci siamo raccontati la nostra prima cotta e anche quando ormai eravamo sotto il portone di casa sua, siamo rimasti dentro la macchina a ridere come due idioti. Una volta avevo litigato con mia madre, e ne abbiamo parlato fino a che non siamo arrivati. Da quando mio padre non c’era più mia madre era diventata super apprensiva e soffocante, ed era una cosa che Daniel capiva fin troppo bene. Anche lui – mi ha spiegato – aveva un rapporto parecchio complicato con i suoi. Che approfondissimo o no la questione, era bello sapere di poter contare su di lui.
Il mese successivo abbiamo cominciato ad uscire il fine settimana. E’ venuto a casa, gli ho presentato mia madre. Ci siamo chiusi in camera a giocare a Kindom Hearts e la sera siamo usciti con dei miei amici. Siamo andati al pub, e piano piano se ne sono andati tutti, e alle quattro di notte c’eravamo solo noi due che continuavamo a parlare, a confidarci, a commentare i film stupidi con The Rock ed è partita una gara di imitazione culminata in uno scontro a freccette all’ultimo sangue con il barista, ed era decisamente la cosa più idiota e divertente che avevo mai fatto in vita mia. Mi sono preso una bella sbronza, quella sera. Daniel ha guidato fino a casa mia e si è assicurato che dormissi dentro il mio letto.
E così il tempo è passato, e la cosa è andata avanti. Mi ha anche presentato una sua amica. Una tipa bionda veramente carina. Si chiamava Annalisa.
Ci ho messo un po’ a capire quanto la faccenda stesse diventando importante, per me. Nel giro di sei mesi Daniel era diventato il mio migliore amico, quello di cui parlano tutti film, il fratello mancato che tutti i figli unici agognavano senza saperlo. Capita poche volte nella vita, ed era un’occasione che non avevo mancato di sfruttare. Lo invitavo praticamente ovunque andassi. Decideva di lasciarmi per conto mio solo quando cercava di lasciare me e Annalisa da soli. Se ne andava strizzandomi l’occhio come ogni buon compagno di avventure. Abbiamo cominciato ad avere intesa per qualunque cosa, scattava immediata. Annalisa aveva iniziato a chiamarci ‘gemelli diversi’. Era tutto semplice e divertente, e non appena si faceva complicato sapevamo affrontarlo, uscirne fuori. Ci dicevamo praticamente tutto.
“Luì, ti devo dire una cosa.”
Ci eravamo rivelati quasi praticamente tutto. Dalla scomparsa di mio padre, ai litigi con i suoi, la cotta spaventosa che mi stavo prendendo per Annalisa, la sua cotta per la tipa della caffetteria della palestra. Tutto avveniva in maniera abbastanza naturale. Per questo quel tono pomposo mi aveva spaventato. Eravamo al solito pub. Se ne erano andati tutti. Come sempre, i primi ad arrivare, e gli ultimi ad andarsene, come ogni sabato.
“Madonna. E che sarà mai?”
Non mi ha risposto. Ha stretto le labbra. Ha iniziato a tremare. “Ascolta, mi dispiace un casino se non te l’ho detto prima. Non sapevo manco da dove cazzo cominciare- Dio, che casino…”
“Oh oh oh Dan…adesso mi stai facendo venire l’ansia. Che succede?”
E’ rimasto in silenzio un altro po’. Credo volesse piangere.
“Che cazzo ti ho sempre detto, Dan? Cosa ti trattieni a fare, di fronte a me?”
Allora una lacrima gli è spuntata sul serio. E mi sono preoccupato. Cazzo, e se fosse stato malato? Magari qualcosa di grave. Magari come mio padre. Cristo, non so se sarei riuscito a digerire la cosa.
“Io ero una donna.”
“…”
Ah.
“Aspetta. Scusa, aspetta un attimo, in che senso?”
Come la avesse preparata, ha sfoderato la carta di identità. Daniela Lodi.
DanielA.
“Ma aspetta…un attimo, io non ho-“
Di nuovo, come fosse preparato all’evenienza si è tirato su la felpa. Sotto il petto c’erano due solchi. Due cicatrici belle grosse. Ah. Solo dopo aver esibito la mia faccia più spaesata, Daniel è esploso in un fiume in piena di parole e lacrime: “Ti giuro che te l’avrei detto subito. Ma non è che uno può andare in giro con il pannello luminoso- non lo so perché cazzo non l’ho detto subito- sono stato un coglione! Non lo so, speravo di poter fingere di essere nato così, ma non-“
A quel punto è crollato. Si è preso la testa tra le mani e ha iniziato a piangere tirando su con il naso. Come all’asilo. Ed è a quel punto che ho capito una cosa, una realizzazione folgorante: non me ne fregava un cazzo. Daniel piangeva come se mi avesse appena confessato di essere un nazista, e a me invece non fregava un cazzo. Il mio migliore amico aveva avuto le tette e non doveva essere stato facile per lui. Ma perché la cosa avrebbe dovuto rappresentare un problema?
“Okay.”
“…come” ha tirato su con il naso “Scusami- che vuol dire okay-“
“Vuol dire okay. Sai, no, grazie per avermelo detto. Apprezzo che ti fidi di me.”
“…tutto qui?”
“Sì..?”
A quel punto era calato un silenzio quasi imbarazzante. E dentro di me continuavo a ripassare la nozione dentro la testa, la interiorizzavo, e cercavo di capire se la cosa mi avesse scioccato in qualche modo. Forse un po’. Lì per lì. Faceva strano pensarlo, inutile fare il figo, okay: fa strano pensarlo e basta. Una volta Daniel era una bambina. Però ora era Daniel. Era il mio migliore amico. Ero quasi più arrabbiato per la paura che stava avendo in quel momento di dirmelo.
“Certo che sei un po’ stronzo. Potevi dirmelo prima.”
Non mi ha risposto. Ha ricominciato a piangere.
“Sul serio, Dan. Guarda che non mi importa. Non importa proprio.”
E ad ogni frase piangeva di più. E io continuavo a parlare tranquillo, perché lo ero, ero tranquillo. Avevo una domanda o due, ma per quelle ci sarebbe stato tempo. Erano marginali, tutto era marginale. Ciò che contava era veramente un mio amico, uno su un milione, e allora che importanza aveva?
“Sei il mio migliore amico, deficiente. Dai, basta piangere.”
E poi l'ho abbracciato. E andava bene così.
E’ diventata una cosa come tante altre cose che sapevo su di lui. Una tra le tante e nemmeno lontanamente la più rilevante. Daniel è Daniel. A Daniel piace il rosso, Guerre Stellari, tutti i film di Spiderman, la vaniglia, la pasta con un chilo di sale, è Scorpione, preferisce i cani ai gatti, da piccolo ha preso il morbillo, ha un’insana passione per i video con i pappagalli che urlano, gioca solo con la PS, al mare si brucia subito, una volta aveva le tette, e mi scrocca tutti le mie cazzo di tegoline mulinobianco. E per quanto ne so, la cosa più anomala in lui è il fatto che preferisca Guerre Stellari ad Harry Potter e i Minions gli fanno ancora ridere. Ecco, quella sì che è stata una confessione che mi ha fatto incazzare.»
Tratto da una storia vera.
-Jawn

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